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Risorgimento Firenze

Il sito del Comitato Fiorentino per il Risorgimento.

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Firenze capitale

Decoro urbano e diritto alla salute e alla quiete pubblica

01/05/2019 da Sergio Casprini

“Il governo granducale di Leopoldo II approvò nel 1844 il progetto di un quartiere con al centro una piazza rettangolare all’interno di una zona agricola situata in prossimità dell’ultima cerchia di mura e della Fortezza da Basso, detta anticamente Podere di Barbano, affidandone la realizzazione all’ingegner Flaminio Chiesi. Il piano regolatore prevedeva la costruzione di case e villini rigidamente allineati all’interno di una griglia geometrica di vie attorno alla nuova e spaziosa piazza, chiamata poi negli anni di Firenze Capitale Piazza dell’Indipendenza. Una delle nuove vie nei primi tempi si chiamava Via delle Officine, attualmente via Enrico Poggi, perché fu ideata per insediamenti artigianali, tra cui quelle arti incomode e insalubri come la fabbricazione delle corde di canapa e la cerchiature delle ruote, che si volevano togliere dai luoghi centrali.”
Manfredo Fanfani, Piazza dell’indipendenza a Firenze. Le origini, gli aneddoti le storie di vita. Edizione del centocinquantenario dell’Unita d’Italia.

 

Nell’Ottocento in Europa il tema dei diritti politici, nati con la rivoluzione francese, e quello della sovranità popolare cominciarono ad imporsi agli stati nazionali, sia che fossero regimi assolutisti o costituzionali.  Nello stesso tempo in ogni nazione si avviò anche un processo di modernizzazione dei costumi, dell’economia e della cultura in ragione del consolidarsi della rivoluzione industriale e di conseguenza dell’istruzione e della salute pubblica. Tutto questo non poteva non riflettersi in un forte rinnovamento urbano, in particolare nelle capitali degli stati e staterelli dell’Europa di allora. Anche nella Toscanina dei Lorena Leopoldo II, per dare un’immagine più decorosa di Firenze e risolvere anche questioni di degrado sociale e igienico del vecchio centro medievale (un reticolo di chiassi, vicoli e vie buie, con case ridotte a tuguri addossate ai palazzi nobiliari), cominciò a intervenire per una nuova forma urbis all’altezza del suo ruolo di capitale del Granducato di Toscana. Tra gli interventi più significativi della politica riformistica del Granduca ci fu nel 1837 il progetto di un quartiere nella zona agricola, detta di Barbano nei pressi delle mura e della Fortezza da Basso, per assicurare abitazioni salubri ai poveri che lo sviluppo economico di Firenze andava espellendo dal centro. La piazza che poi ne sarebbe nata avrebbe avuto una valenza fortemente simbolica nella storia del Risorgimento a Firenze come piazza dell’indipendenza.

Dietro quel disegno c’era pure un’emergenza sanitaria. Nel cuore della città molti immobili erano occupati da tessitori, che vivevano in condizioni igieniche precarie: proprio nel 1833 un’epidemia di colera aveva mietuto un migliaio di vittime. Le case del nuovo quartiere negli anni successivi invece sarebbero state ammesse al libero mercato e acquistate da commercianti, professionisti e artisti, assumendo quella configurazione di spazio urbano ordinato e decoroso, che avrebbe conservato fino a oggi.

In merito poi alla questione della quiete pubblica Manfredo Fanfani, nella sua storia della nascita di Piazza Indipendenza, ricorda quest’episodio: nel 1851 fu realizzato un teatro, il Politeama Fiorentino in via delle Officine nei pressi della piazza; nei primi anni ‘60 dell’Ottocento il teatro, distrutto da un incendio, fu trasferito in corso Vittorio Emanuele, oggi corso Italia, anche però o forse  soprattutto per le lamentele del vicino Istituto delle Scuole delle Zitelle Povere, disturbate nei momenti del raccoglimento e dello studio.

Negli anni di Firenze Capitale il processo di riqualificazione urbana della città non solo in termini di decoro, ma anche di salute e quiete pubblica, prosegui in maniera più incisiva con l’architetto Giuseppe Poggi e con il suo Piano di risanamento e di ingrandimento di Firenze del 1865, con la creazione di infrastrutture come i viali di circonvallazione e i lungarni, piazze ampie e larghe vie, moderni fabbricati residenziali e aree di verde pubblico. E proprio per piazza Indipendenza era stato previsto un progetto di giardino con vasca, aiole e alberi, chiuso con una cancellata come gli squares inglesi e purtroppo solo parzialmente realizzato nel corso degli anni.

Se veniamo al presente persiste ancora, sia pure in maniera diversa, il problema del degrado urbano, della salute e della quiete pubblica, anche se rispetto alla politica paternalistica dei governanti ottocenteschi i cittadini, non più sudditi, possono svolgere un ruolo di confronto democratico con le istituzioni, esercitando quella sovranità che la costituzione riconosce loro.

E proprio i residenti di Piazza Indipendenza da anni sono esasperati dallo spaccio di droghe, dai bivacchi, dai picnic abusivi, dal frastuono che ogni notte non li fa dormire, con la piazza diventata, con gli ubriachi che la frequentano sia la sera sia la mattina, un bagno pubblico a cielo aperto.

I residenti pertanto si sono organizzati, costituendo un comitato, e con manifestazioni di protesta, con petizioni e sensibilizzando l’opinione pubblica tramite i giornali locali e i social, hanno sollecitato l’amministrazione di Firenze a prendere provvedimenti. In un recente incontro tra assessori e residenti è stato dichiarato dagli amministratori che a breve partiranno i lavori per restituire decoro alla piazza, con nuove panchine, più luci e un giardino recintato e successivamente con divieto di accesso alle auto dei non residenti e ai bus extra urbani, per limitare il traffico che soffoca le strade vicine.

La strada per arrivare al decoro e a una effettiva difesa della salute e della quiete pubblica nelle nostre città è ancora lunga, ma l’esito al momento positivo di questa vicenda è comunque un primo passo per quella piena sovranità politica dei cittadini italiani, riconosciuta dal primo articolo della nostra Costituzione repubblicana.

Fuor di retorica si può dire che, se dal 27 aprile 1859 Piazza Indipendenza è un luogo fortemente simbolico per il Risorgimento a Firenze, quando da qui partì la rivoluzione pacifica di popolo che allontanò il Granduca Leopoldo II e portò a unire la Toscana all’Italia, nella stessa piazza è nato oggi un risorgimento civile per il diritto dei bambini, dei giovani e degli anziani a vivere serenamente nei luoghi in cui sono nati, abitano e spesso lavorano.

 

 

 

 

 

 

 

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Il divenire di Firenze tra passato, presente e futuro

01/03/2019 da Sergio Casprini

Al Museum of Modern Art di New York si trova una tela dipinta dal futurista Umberto Boccioni nel 1910 dal titolo La città che sale, con la visione di palazzi in costruzione,  ciminiere e impalcature nella periferia di Milano. Il centro del quadro è occupato da uomini e da cavalli, fusi insieme in un esasperato sforzo dinamico. In questa metafora visiva Boccioni mette in risalto alcuni tra gli elementi più tipici del futurismo, quali l’esaltazione del lavoro dell’uomo, artefice di un nuovo mondo, e il valore della crescita culturale e sociale della città moderna in ragione del progresso tecnico e industriale

Nel contesto trasgressivo delle avanguardie artistiche dell’inizio del Novecento i futuristi italiani in particolare si distinsero nel provocare l’opinione pubblica inneggiando ai miti della velocità e del dinamismo nella moderna società industriale e nel fare tabula rasa del culto della tradizione artistico-culturale e della conservazione delle tracce del passato.

Il 12 dicembre 1913 al teatro Verdi di Firenze gli esponenti del movimento futurista presentarono la loro visione politica e artistica con performance teatrali e letture poetiche. Tra gli interventi fece soprattutto clamore  fra il numeroso pubblico quello del fiorentino Giovanni Papini, che lesse il suo manifesto dal titolo Contro Firenze passatista. Definì la città “una delle tombe più verminose dell’arte” e invitò i fiorentini a non trasformare la città in un grande museo per i turisti, a vivere nel presente e nel futuro, a ingrandire le stradine strette e a buttare passatisti e dantisti nell’Arno, per creare, finalmente, una città moderna ed europea al posto della Firenze museale e medievale. Papini scatenò una tempesta d’indignazione, perché il pubblico reagì con furia a quest’offesa da parte di un fiorentino alla propria città natale: urlò e fischiò, soffiò il fischietto e il corno, strepitò con sonagli e volarono verso il palcoscenico pomodori, frutta e verdura.

Papini nella sua foga dissacratoria aveva però dimenticato che anni prima a Firenze aveva operato un architetto come Giuseppe Poggi, che negli anni di Firenze Capitale aveva progettato una città moderna ed europea, con la creazione di infrastrutture che aprivano Firenze all’esterno e all’interno verso il fiume, come i viali di circonvallazione e i lungarni, aree di verde pubblico, piazze ampie e larghe vie, moderni fabbricati residenziali, anche per risolvere questioni di ordine igienico date le condizioni di degrado sociale dell’intero centro storico.

Il piano urbanistico del Poggi fu realizzato solo parzialmente, perché con il trasferimento della capitale a Roma il Comune di Firenze fece fallimento e il progetto si arenò.  Il piano era stato osteggiato da intellettuali, artisti, esponenti di spicco della società civile, romanticamente ancorati alla salvaguardia di tutte le vestigia della Firenze rinascimentale e medievale, nonostante che l’architetto fosse un serio professionista e non una testa calda come i futuristi.

Anche oggi nella Firenze che sale esiste  una contrapposizione analoga a quella tra futuristi e passatisti sul senso della crescita – se felice o infelice – della città dei Medici.  Ci si interroga e si dissente sulle nuove infrastrutture come la tramvia, sulla destinazione di edifici storici dismessi, sul rapporto tra centro storico e periferie, sulla ridefinizione di una moderna forma urbis. Ma sembrano tornati anche i tempi del Poggi e di Firenze Capitale, visto che ieri come oggi ci si lamenta della speculazione immobiliare, dello spreco di denaro pubblico, della lentezza con cui si realizzano le opere, spesso con le parole d’ordine della lotta alla corruzione e della difesa, senza se e senza ma, della città culla del Rinascimento.

Eppure i Medici avevano un motto in latino, Festìna lente, allegorizzato con l’immagine di una tartaruga sospinta da una vela, con il quale invitavano se stessi e la classe dirigente di allora a operare fattivamente anche se con giudizio e accortezza nelle scelte di gestione della città e del Granducato. A maggior ragione in tempi di democrazia i fiorentini, cittadini e non più sudditi, possono invitare i loro amministratori a pianificare il futuro della città senza farsi sedurre da furori futuristici, ma anche senza consegnare una Firenze museificata al turismo di massa.

 

 

 

 

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Welcome to Florenceland

01/12/2018 da Sergio Casprini

Nel maggio del 2017 fu approvato dal Comune di Firenze un NUOVO REGOLAMENTO di MISURE PER LA TUTELA DEL CENTRO STORICO, patrimonio mondiale UNESCO; un Regolamento, che aveva come finalità generali quella di… “perseguire la tutela del Centro Storico Patrimonio Mondiale UNESCO di Firenze, area di particolare pregio ed interesse storico, artistico, architettonico e ambientale della città, attraverso una generale lotta al degrado contro quegli elementi e quei comportamenti che portano alla lesione di interessi generali, quali la salute pubblica, la civile convivenza, il decoro urbano, il paesaggio urbano storico, l’identità culturale e storico-architettonica del centro della città, anche in coerenza con i programmi di viabilità urbana, con le limitazioni o interdizioni del traffico veicolare e la prevenzione dell’inquinamento sia atmosferico che acustico”.

Da allora per rispondere alle finalità di questo regolamento e alle esigenze dei fiorentini di risiedere in una città con meno degrado, più decoro e migliore qualità della vita, l’amministrazione di Firenze ha fatto delle delibere attuative, soprattutto per regolare e razionalizzare il turismo di massa che negli ultimi anni ha invaso il centro storico,  occupato quotidianamente da torme di visitatori e gremito di servizi commerciali a fini turistici, con il conseguente deterioramento ambientale e la crescita dell’inquinamento acustico. Qualche numero di questa invasione: nel 2017 il territorio metropolitano è stato caratterizzato da una crescita sia degli arrivi (+ 295 mila unità, pari a + 5,9%) sia delle presenze (+ 804 mila pernottamenti pari a +5,7%,  per un totale di 15 milioni!), grazie agli arrivi di tantissimi turisti stranieri, ma anche di molti italiani. (Dati delle rilevazioni ufficiali del Servizio Statistica dell’Ufficio Attività Produttive e Turismo della Città Metropolitana di Firenze ed elaborati dal Centro Studi Turistici di Firenze)

Per cercare di far fronte a questa situazione, un recente Consiglio comunale ha deliberato lo stop ai ‘bagarini’ davanti ai musei, la limitazione della circolazione dei risciò solo in alcune zone del centro e una nuova stretta contro i ‘furbetti’ del trasferimento e dell’ampliamento delle attività alimentari in area Unesco; infine limiti alla circolazione dei cosiddetti ‘bussoni’ turistici nelle aree di particolare sensibilità del centro storico.

Per alleggerire poi la pressione turistica, di concerto con i comuni della Città Metropolitana, con la Regione Toscana e coordinandosi anche con le città italiane ed europee a maggiore vocazione turistica, il Comune sta ipotizzando un intervento di governo e di orientamento dei flussi turistici, offrendo al visitatore che arriva a Firenze valide alternative alle “icone” di Botticelli e di Leonardo agli Uffizi e di Michelangelo alle Gallerie dell’Accademia. Anche le associazioni degli albergatori e le agenzie del marketing culturale chiedono alle istituzioni cittadine di governare il mercato del turismo di massa utilizzando maggiormente gli strumenti digitali per orientare i flussi dell’overtourism.

Pur apprezzando l’impegno del Comune nel cercare soluzioni possibili per un fenomeno, quello del turismo selvaggio, sempre più drammatico, negli amministratori fiorentini non sembra esserci la consapevolezza che, dati i numeri sempre crescenti, bisogna ormai decidersi a ridurre gli accessi turistici nel centro storico, pena il suo degrado irreversibile. Non si tratta certo di rialzare le mura medievali che l’architetto Poggi negli anni di Firenze Capitale buttò giù in nome del decoro urbano e di moderne infrastrutture, degne appunto di un città che doveva confrontarsi con le altre cosmopolitiche capitali europee; né tantomeno proporre balzelli onerosi a chi entra in città.

Si dovrebbe invece individuare una strategia per ridurre il numero di ingressi quotidiani agli Uffizi e all’Accademia, cioè i musei di maggior richiamo per i visitatori sia italiani che stranieri, per esempio (d’accordo col Ministero dei Beni culturali che li gestisce) tramite prenotazioni obbligatorie , con periodiche aperture riservate ai residenti della Città metropolitana e ai giovani italiani e stranieri, a prezzi ovviamente ridotti.  Solo così avremmo un orientamento virtuoso dei flussi turistici e di fatto una minore pressione sul centro storico.

Ma allora il turismo come risorsa economica, come occasione di reddito e di occupazione? E l’immagine di Firenze con il suo valore umanistico di bellezza universale, di una città che non può anacronisticamente chiudersi in se stessa quando oggi ormai viviamo in una società aperta e globale? Queste e altre ancora sarebbero le obiezioni che sicuramente verrebbero fatte a chi propone una politica di contenimento del turismo di massa per la salvaguardia della identità urbana, della memoria storica di una città come Firenze. Non si tratta però di mettere in discussione il valore del turismo, ma solo di regolarlo in modo più razionale. Altrimenti l’unica seria alternativa a questa situazione di implosione del centro storico sarebbe quella di decidere che i fiorentini risiedono altrove, al di là delle mura e dei viali di circonvallazione, riservando ai soli turisti il Centro Storico Patrimonio Mondiale UNESCO, facendolo così diventare definitivamente un nonluogo, secondo la felice definizione del sociologo francese Marc Augé, come gli aeroporti e i grandi centri commerciali, dove la gente transita, consuma, ma non ci vive.

E nei fine settimana anche i fiorentini residenti in periferia potrebbero andare a visitare Florenceland e a fare shopping, come fanno le famiglie parigine che in mezz’ora vanno a Disneyland Paris.

Sergio Casprini

 

 

 

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Palazzo Corsini al Prato

03/07/2018 da Comitato Fiorentino per il Risorgimento

Via Il Prato 58 Firenze

Alessandro Acciaioli, grande appassionato di botanica, aveva nella sua casa in Borgo Ognissanti un giardino pensile da lui utilizzato per coltivazioni sperimentali. Nel 1591, necessitando di maggiore spazio decise di comprare un terreno nella zona chiamata “Prato di Ognissanti” e incaricò Bernardo Buontalenti del progetto della sua nuova abitazione.

Nel 1621 rovesci finanziari costrinsero la famiglia Acciaioli a vendere la proprietà, con l’edificio costruito ma non completato, a Filippo di Lorenzo Corsini. Questi incaricò Gherardo Silvani di portare a termine la costruzione della villa e del giardino. Nacque così il “giardino all’italiana” dal disegno tuttora immutato. Il giardino è diviso in due parti da un viale centrale ai cui lati sono poste statue su basi di altezza decrescente per ottenere un effetto di maggiore profondità. Ai lati del viale lo spazio è spartito da aiuole di forma regolare bordate di bosso con all’interno conche in terracotta contenenti piante di agrumi. Per molto tempo usato prevalentemente come residenza estiva dei Corsini, dal 1834 diventò abitazione permanente di Neri Corsini di Laiatico e sua moglie Eleonora Rinuccini. Furono realizzati interventi di ampliamento dell’edificio su progetto di Gaetano Baccani ed inoltre, acquistando terreni limitrofi, fu riprogettato il giardino in chiave romantica. Venne costruita una collinetta un piccolo lago e furono realizzati sentieri sinuosi all’interno di boschetti. Altro intervento di trasformazione del palazzo avvenne con Vincenzo Micheli che realizzò un nuovo edificio in stile rinascimentale con una terrazza dalla quale poter assistere alla corsa dei cavalli, il Palio dei Barberi. che passava dalla Porta al Prato.

Il Palio dei Barberi si svolgeva ogni anno il 24 giugno in occasione di San Giovanni. Per la corsa si usava una particolare razza di cavalli, il berbero, che – storpiata dal popolo in “Barbero” – diede il nome alla competizione: Palio dei Barberi, appunto, detta anche corsa dei Barberi. L’origine sarebbe, secondo più fonti, medioevale: perfino Dante cita nel ventiseiesimo canto del Paradiso questo gioco. La partenza era sempre nello stesso punto, Ponte alle Mosse (il ponticino sul Mugnone da cui ha preso il nome l’omonima via): da qui prendeva le mosse la gara.Il tracciato del palio passava da Porta a Prato, per poi snodarsi lungo le vie del centro (via Palazzuolo, via degli Strozzi, via del Corso, arco di San Pierino). Il traguardo era a Porta alla Croce, al centro di piazza Beccaria. Chi arrivava primo riceveva in premio un costoso drappo decorato con il giglio, che dal ‘700 fu sostituito con un premio in denaro. Il palio dei Barberi fu corso ogni anno fino al 1858, quando i lavori per Firenze Capitale cambiarono il tracciato.

Numerosi ed illustri sono stati gli ospiti del palazzo Corsini da Federico IV di Danimarca al Principe di Galles Carlo Edoardo Stuart alle regine Vittoria d’Inghilterra e Margherita di Savoia. In tempi recenti Olivia di Collabiano è intervenuta sul giardino scegliendo i fiori e le piante aromatiche da porre all’interno delle aiuole.

 

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Una capitale europea: società, cultura, urbanistica nella Firenze post-unitaria

09/05/2018 da Comitato Fiorentino per il Risorgimento

Atti delle giornate di studio per i 150 anni di Firenze Capitale

 

Curatori Piero Marchi e Laura Lucchesi
Editore Edizioni dell’Assemblea
Temi Biografie, Cultura, Storia
Formato 17×24
Pagine 626
Anno 2018

 

Volume in distribuzione gratuita

 

Contributi

Carla Zarrilli, Zeffiro Ciuffoletti, Rosalia Manno, Simonetta Soldani, Maria Teresa Mori, Elisabetta Benucci, Adalberto Scarlino, Laura Lucchesi, Fabio Bertini, Grazia Gobbi Sica, Ulisse Tramonti, Silvestra Bietoletti, Francesca Carrara e Francesca Parrini, Enrico Colle, Antonio Chiavistelli, Gianluca Belli, Mauro Cozzi, Andrea Giuntini, Raimondo Innocenti, Giuseppina Carla Romby, Mario Bencivenni, Anna Maria Testaverde, Leonardo Spinelli, Antonella Bartoloni, Maria Alberti, Víctor Sánchez Sánchez, Francesca Simoncini, Mila De Santis, Marcello de Angelis, Gregorio Nardi, Antonio Rostagno, Fiamma Nicolodi, Antonella D’Ovidio

 

Per ricordare il 150° anniversario della proclamazione di Firenze a Capitale del Regno d’Italia, presso l’Archivio di Stato di Firenze si è svolta una serie di giornate di studio tematiche, che ha visto coinvolte altre istituzioni e studiosi delle varie discipline. I temi trattati in queste giornate, di cui qui si pubblicano gli atti, vogliono riproporre un’immagine quanto più possibile variegata della Firenze di quegli anni e dei rapporti della città con i movimenti culturali che si agitavano in Europa. Sullo sfondo delle tematiche politiche che sottendono ai mutamenti organizzativi statali, gli studi sull’architettura e sull’urbanistica, nonché quelli su temi più latamente artistici, ci restituiscono l’immagine che la città andò assumendo in quegli anni, in una società in cui, tra l’altro, la componente femminile acquistava sempre più rilevanza. Ampia attenzione è stata dedicata inoltre all’analisi della programmazione e produzione teatrale e musicale del periodo.

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Momenti storici di Firenze Capitale quando la folla capì di essere italiana

04/05/2018 da Comitato Fiorentino per il Risorgimento

150 Anniversario

Festeggiamenti fiorentini

Matrimonio Umberto e Margherita di Savoia

Sabato 5 maggio ore 15

Villa Medicea di Poggio Imperiale  Sala Rosa

Convegno

Momenti storici di Firenze Capitale quando la folla capì di essere italiana

Locandina con programma allegato

 

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Nascita di una Nazione tra Guttuso, Fontana e Schifano? E’ Giotto il vero padre dell’Arte italiana !

01/05/2018 da Sergio Casprini

Credette Cimabue ne la pittura / tener lo campo, e ora ha Giotto il grido, / sì che la fama di colui è scura. Dante Purgatorio Canto XI

Il 16 marzo si è aperta a palazzo Strozzi a Firenze la mostra Nascita di una Nazione. Tra Guttuso, Fontana e Schifano: un viaggio nell’arte, nella politica e nella società dell’Italia tra gli anni Cinquanta e il periodo della contestazione attraverso ottanta opere di artisti, tra i quali, oltre ai tre citati nel titolo, Burri, Vedova, Castellani, Manzoni, Merz e Pistoletto.

Ha subito però creato sconcerto tra gli storici del Risorgimento che, a partire dal manifesto di presentazione della mostra con un tripudio di bandiere rosse stilizzate di un’opera del 1949 del pittore Giulio Turcato (non il tricolore italiano!), i promotori dell’esposizione abbiano scelto“Nascita di una Nazione” come titolo di una mostra che si occupa del periodo dall’immediato dopoguerra al Sessantotto quasi che l’Italia venisse alla luce solo con la Repubblica e non nel 1861.E non a caso negli anni cruciali in cui si realizzava l’Unità italiana nasceva  infatti a Firenze il 13 luglio 1859 il giornale La Nazione, fondato da un gruppo di patrioti, amici di Bettino Ricasoli per affermare appunto la volontà unitaria dei Toscani.

Non è stato sottolineato invece dagli storici dell’arte l’errore di interpretazione storico- artistica che il curatore Luca Massimo Barbero, noto storico dell’arte e curatore di molte prestigiose mostre internazionali, ha dato all’esposizione, il cui valore sia per gli autori presentati e per il pregevole allestimento delle loro opere è indiscutibile.

Si legge infatti sul depliant distribuito all’ingresso a Palazzo Strozzi che…la mostra racconta la nascita del senso di Nazione attraverso gli occhi e le pratiche di artisti che fanno arte di militanza ed impegno politico e reinventano i concetti di identità, appartenenza e collettività negli anni successivi al cupo periodo  del fascismo e della guerra…Un nuovo senso di Nazione sul piano culturale nascerebbe quindi con la militanza e l’impegno politico di artisti schierati per lo più sul fronte ideologico dell’Internazionalismo proletario? E poi il cupo periodo del fascismo, che certamente è stata una pagina tragica per la libertà e la democrazia del popolo italiano, sarebbe stato anche un momento di oscurantismo nella storia dell’arte e della cultura italiana?

In questi mesi a Milano alla Fondazione Prada, istituzione nata per valorizzare tematiche e opere dell’ arte contemporanea, c’è la mostra “Post Zang Tumb Tuuum. Art Life Politics: Italia 1918–1943″, concepita e curata da Germano Celant, un critico presente pure con i suoi artisti dell’Arte Povera a Palazzo Strozzi, un’esposizione che esplora il sistema dell’arte e della cultura in Italia tra le due guerre mondiali, di cui si ravvisano gli aspetti di modernità e di vitalità, con gli artisti ovviamente mai in dissenso aperto nei confronti della dittatura di Mussolini. E prima del Fascismo chi può negare il valore artistico dei futuristi nel costruire una significativa e moderna identità nazionale nel clima delle avanguardie europee del primo novecento

Ed in pieno Risorgimento non possiamo dimenticare i Macchiaioli che combatterono nei campi di battaglia ma anche nel campo dell’arte e dovettero trovare , parole del critico e sostenitore Diego Martelli, …un’arma ed una bandiera e fu trovata la macchia in opposizione alla forma…

Quando nasce allora la Nazione italiana in campo artistico?

Nell’ottobre del 1891 a Vicchio nel Mugello il celebre e ormai anziano poeta Giosuè Carducci,il poeta simbolo allora della nazione, ospite di una illustre famiglia vicchiese, ha l’idea di innalzare  un monumento a Giotto nella piazza principale di Vicchio, paese natale del pittore toscano che nel trecento aveva creato l’idioma nazionale della pittura contro il predominio di un’arte straniera come quella bizantina al pari di Dante nell’ambito della lingua italiana. E Carducci aveva già fatto parte della Commissione nazionale che aveva promosso la realizzazione della statua di Dante in piazza Santa Croce negli anni di Firenze Capitale. In breve viene costituita una commissione presieduta dallo stesso Carducci per giudicare i tanti e diversi progetti e, così che il 16 luglio del 1897 fu commesso allo scultore Italo Vagnetti l´incarico di eseguire una statua di bronzo di Giotto. Il monumento fu poi inaugurato l´8 Settembre 1901, con una solenne cerimonia durata fino al 15 Settembre.

Definire le ragioni storiche e culturali della nascita della nazione italiana non è un puntiglio accademico tra addetti ai lavori e tantomeno un gioco intellettualistico in una ricerca fiscale e nozionistica di corretti paletti storiografici, rientra nei compiti delle istituzioni politiche, sociali e museali nel garantire ai cittadini una seria formazione culturale nel rispetto della memoria storica del loro Paese

In particolare i giovani che già coltivano una visione distorta del presente sui social-network ritrovano pure le fake news sulla storia artistica dell’Italia in mostre di prestigio, come quella attualmente in corso a Palazzo Strozzi di Firenze !

Sergio Casprini

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Una Porta per Firenze

01/02/2018 da Comitato Fiorentino per il Risorgimento

L’ex scuola carabinieri sarà la porta di Firenze. Così secondo il Comune di Firenze dovrebbero diventare i grandi spazi vuoti del complesso di Santa Maria Novella, dove fino al dicembre 2016 era ospitata la scuola sottufficiali dei Carabinieri. Così si evince dalle sette idee e quattro linee guida per usare e valorizzare i giganteschi spazi vuoti del complesso di Santa Maria Novella. Le sette idee sono quelle del concorso bandito da Palazzo Vecchio, le quattro linee guida quelle deliberate dalla giunta comunale con le quali saranno lanciati entro il 2018 i bandi di concessione degli spazi. E, come ha dichiarato il Sindaco Dario Nardella, per una «Santa Maria Novella porta della città» che si apra innanzitutto ai 36 milioni di persone che arrivano o partono dalla stazione del Michelucci, ai turisti, ai fiorentini e ai giovani, Palazzo Vecchio punta quindi sulle funzioni di «sicurezza, cultura, ricerca e alta formazione e servizi». Sul fronte sicurezza, una parte del complesso immobiliare rimarrà a disposizione dei Carabinieri, con un presidio fisso a disposizione dei cittadini 24 ore su 24. Per gli spazi culturali ci sarà l’ampliamento del percorso museale e la nuova sede di «Firenze com’era» e dell’archivio fotografico del Comune di Firenze con 112.000 immagini.

Ci sarà anche una nuova area di accoglienza con biglietteria, bookshop, guardaroba e caffetteria.

Se andiamo a vedere poi le idee progettuali proposte, tra cui quella di Palazzo Spinelli ( creare un  polo per il restauro, la valorizzazione e la formazione dei giovani volto alla tutela e alla conservazione dei beni storico-artistici) oppure di Polimoda (una nuova sede per la sua attività, con aule, laboratori e uffici nonché uno spazio per attività culturali ed eventi) ed anche dell’Istituto storico della Resistenza in Toscana (con la realizzazione di una casa della cultura e della storia del Novecento e del tempo presente a Firenze) potremmo valutare positiva questa moderna infastruttura  culturale se non ci fosse il rischio che la cosiddetta Porta sia aperta soprattutto per i milioni di persone che arrivano o partono, insomma per la massa dei turisti piuttosto che per i Fiorentini giovani o anziani, che di fatto verrebbero respinti dal numero preponderante dei forestieri, come di fatto avviene da tempo agli Uffizi o alle Gallerie dell’Accademia.

Ne è conferma il progetto dell’azienda di Bolzano Schweigkofler Communications che prevede la realizzazione di un “Visitor Center 2.0” ( non poteva ovviamente mancare l’ennesimo anglismo) ovvero un luogo digitale per turisti e non solo ( bontà loro), visto come porta d’ingresso digitale per la città, che racconta la sua storia, nonché un luogo per eventi e congressi pubblici e privati.

Una porta d’ingresso all’insegna del contemporaneo, della pervasività del digitale e di eventi mediatici, spalancata quindi al turismo di massa, che a parole gli amministratori di Firenze vorrebbero governare e orientare e che invece nei fatti con questi progetti verrebbe incentivato.

Un turismo ancor più selvaggio non solo accentuerebbe le condizioni attuali di degrado urbano, ma soprattutto stravolgerebbe l’immagine e l’identità di Firenze e farebbe sentire  ancor più i residenti, che  ci vivono e lavorano , stranieri nella loro città.

E’ la globalizzazione, bellezza! Risponderebbe Humphrey Bogart, se vivesse ancora tra di noi.

E certamente la globalizzazione porta senz’altro dei benefici come l’apertura di nuovi orizzonti  sociali e culturali se non diventasse il più delle volte un processo di colonizzazione e di subalternità economica e culturale per chi la subisce passivamente.

E la salvaguardia della identità urbana, della memoria storica di una città come Firenze potrebbe allora essere l’unico modo per i cittadini di vivere positivamente le contraddizioni, le luci e le ombre della globalizzazione senza dover rimpiangere i tempi di Firenze Capitale del Poggi o la Firenzina dei Lorena!

Sergio Casprini

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Il Ponte alle Grazie

29/12/2017 da Comitato Fiorentino per il Risorgimento

Terzo ponte per data di costruzione, fu realizzato nel 1237 quando il podestà dell’epoca, Rubaconte da Mandello, pose la prima pietra insieme a Lapo, padre di Arnolfo di Cambio. Per questo a lungo il suo nome di ponte Rubaconte. Costruito subito interamente in pietra, con nove arcate, nel punto più ampio del fiume, era il ponte più lungo di Firenze. Anche sul Ponte alle Grazie (o Rubaconte) erano state erette un certo numero di costruzioni, casette in legno, perlopiù tabernacoli, poi trasformati in cappelle (1471), romitori e botteghe, simili a quelle esistenti sul Ponte Vecchio, ma più pregevoli da un punto di vista architettonico. Fra questi c’erano le celle delle Murate, dove viveva sin dal 1320 una piccola comunità di monache di clausura trasferite poi nel Quattrocento nel monastero omonimo in via Ghibellina. Fra queste cappelle vi era una con una Madonna di patronato degli Alberti presente sul primo pilone dell’antica struttura, detta Santa Maria alle Grazie (attribuita al Maestro della Santa Cecilia, fine XIII – inizi XIV secolo), per via delle sue proprietà miracolose che tradizionalmente riuscivano a fare la grazia, cioè ad esaudire i desideri di chi vi si rivolgeva. Da questo tabernacolo il ponte prese il nome attuale.

Sulla testa di questo ponte nel 1273 le fazioni fiorentine dei Guelfi e dei Ghibellini siglarono una pace solenne alla presenza del pontefice Gregorio X. Solo dopo quattro giorni la pace saltava e le ostilità riprendevano più accanite di prima. Il ponte resistette a tutte le alluvioni, anche a quella disastrosa del 1333. Nel 1347 due delle arcate sulla riva sinistra furono chiuse per ampliare piazza dei Mozzi. Da notare che era anche il più antico, data la ricostruzione del Ponte Vecchio nel 1345-

Almeno fino  agli anni di Firenze Capitale, quando  con il Piano Poggi di ingrandimento della città e con la realizzazione dei Lungarni Torrigiani e Serristori venne modernizzato:  nel 1876 i Romitori, ormai abbandonati, furono tutti distrutti per allargare la carreggiata del ponte e farvi passare sopra la linea tranviaria, creando i marciapiedi e le spallette in ghisa. Sparirono tutte le costruzioni che vi si trovavano e il ponte da aggraziato, divenne anonimo, come lo è ancora oggi dopo la ricostruzione post bellica.  In quell’occasione il venerato tabernacolo fu spostato sull’attuale Lungarno Diaz in un oratorio che prese il nome di Santa Maria delle Grazie.

Nell’agosto del 1944 le sue possenti arcate vennero distrutte dallo scoppio delle mine tedesche in seguito alla ritirata nazista. L’anno successivo (1945) fu bandito un concorso per la ricostruzione del ponte e risultò vincitore il progetto del gruppo formato dagli architetti Giovanni Michelucci, Edoardo Detti, Riccardo Gizdulich e Danilo Santi e dall’ingegnere Piero Melucci. Un progetto che prevedeva, stavolta, una soluzione di sole cinque arcate, e fu realizzato dopo notevoli variazioni rispetto alle idee iniziali. Venne inaugurato nel 1957.

L’attuale Ponte alle Grazie si presenta come una struttura convenzionale e funzionale, ma non ha assolutamente niente del fascino antico e robusto del predecessore, nonostante la scelta di uno stile moderatamente moderno che si armonizza con le strutture storiche attigue. Il cemento armato e il calcestruzzo furono usati ampiamente, ma per i piloni si ricorse alla  tradizionale pietraforte per coprire i materiali moderni.

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XX Settembre a Firenze

18/09/2017 da Comitato Fiorentino per il Risorgimento

 

Mercoledì 20 settembre 

Ore 11,30 Palazzo Pitti Lorenzi  piazza Santa Maria Novella 21

Deposizione Corona di Alloro davanti alla Lapide

in memoria di Garibaldi che in quel palazzo

il 22 ottobre 1867, negli anni di Firenze Capitale, pronunciò la storica frase “O Roma o morte

Intervento di Sergio Casprini

Comitato Fiorentino per il Risorgimento 

*****

Ore 12,00, Salone della Fratellanza Militare, piazza Santa Maria Novella,

Commemorazione del XX SETTEMBRE 

Saluti istituzionali

Andrea Ceccarelli

Consiglio Comunale di Firenze 

 

Interventi dei rappresentanti delle Associazioni

che hanno  promosso la manifestazione 

 Comitato Fiorentino per il Risorgimento, Circolo Piero Gobetti, Fondazione Ernesto Rossi e Gaetano Salvemini, Circolo Fratelli Rosselli, Associazione per l’iniziativa radicale “Andrea Tamburi”, Associazione veterani e reduci garibaldini, Unione degli atei e degli agnostici razionalisti, Firenze Radicale-Per gli Stati Uniti d’Europa

 

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L’editoriale del direttore

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