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Risorgimento Firenze

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I luoghi

LA FORTEZZA DEL RISORGIMENTO A BRESCIA

23/01/2023 da Sergio Casprini

 Ingresso al castello di Brescia

Nel castello sul colle Cidneo si trova il Museo del Risorgimento che ha rinnovato radicalmente le raccolte storiche con il racconto dell’epopea della Leonessa d’Italia da Napoleone alle Dieci Giornate, dall’impresa dei Mille all’unità del Paese.

Valerio Terraroli Sole 20 ore domenica 22 gennaio 2023

Rivoluzione, Dissenso, Insurrezione, Guerra, Unità, Partecipazione, Mito, Eredità: otto parole, otto concetti cardine che appartengono alla nostra storia e alla nostra cultura, ma che sono profondamente innervate nella contemporaneità globale. Otto termini che scandiscono le sezioni di un racconto che si dipana naturalmente, leggero e profondo allo stesso tempo, nel rifondato Museo del Risorgimento di Brescia che riaprirà al pubblico il 29 gennaio.

Si tratta di uno degli interventi più significativi, e anche di grande carica simbolica e ideale, dell’anno di Bergamo e Brescia Capitale della Cultura, sia perché risarcisce la città di un pezzo importante della sua storia civile e politica, dando quindi un ulteriore senso a quell’idea di museo diffuso di cui la città è parte integrante, che dall’area archeologica del Capitolium al complesso di Santa Giulia a Piazza della Loggia testimonia la millenaria storia di Brescia, sia perché la riapertura nell’edificio del Grande Miglio del Museo del Risorgimento rivitalizza ulteriormente il grande progetto di Fondazione Brescia Musei relativo alla riqualificazione del Castello sul colle Cidneo come complesso museale, parco pubblico, luogo delle memorie civiche e storiche, spazio per la contemporaneità.

Il museo, nato con delibera comunale nel 1887, con l’obiettivo, attraverso la raccolta, la conservazione e l’esibizione di documenti, manufatti, oggetti d’arte, di consolidare la memoria cittadina sui processi e gli avvenimenti che avevano portato all’unità d’Italia, aveva trovato collocazione nel Castello nel 1959. Per ragioni legate a nuove visioni della storia e a riflessioni sul senso dei musei storici è stato effettuato, negli anni Duemila, il progressivo smantellamento del museo, privilegiando esposizioni temporanee su temi specifici dell’epopea risorgimentale, fino a una totale chiusura nel 2015. Dal 2020 Fondazione Brescia Musei ha impegnato il Comitato scientifico e il proprio staff scientifico nel ripensamento radicale di quello spazio e di quel patrimonio museale dando vita a un progetto innovativo, multidisciplinare, per certi aspetti audace, con l’intendimento di parlare al pubblico più largo possibile, agli adulti come ai ragazzi in età scolare, ai cittadini come ai turisti, attraverso la messa a punto di media diversi, ma con la volontà di dare il giusto risalto al patrimonio museale esistente.

Non ci si deve aspettare, dunque, un percorso didascalico basato su luoghi comuni, né una partizione cronologica per battaglie ed eroi, né una mitizzazione autoreferenziale di personaggi, episodi e avvenimenti, né, tanto meno, un’esclusiva narrazione della storia del Risorgimento italiano; al contrario, la scelta forte compiuta dal Comitato scientifico e dai curatori, sostenuta con profondo convincimento dal direttore Stefano Karadjov, dalla presidente Francesca Bazoli e dal consiglio di Fondazione Brescia Musei, così come dalla Giunta comunale, è stata quella di estendere l’orizzonte storico, culturale e ideale del museo per ancorarlo indissolubilmente alla città di oggi e al sentire contemporaneo.

Ecco, dunque, la scelta delle otto parole chiave, divenute nel percorso le otto sezioni in cui si muovono i visitatori e, come si diceva in esordio, otto termini che ci riguardano da vicino e che sono strettamente connessi all’attualità e alla cronaca quotidiana: dalle legittime proteste in Iran alla guerra in Ucraina, dal dramma dei migranti ai valori fondativi delle democrazie, che vanno difesi strenuamente proprio conoscendone le origini e le storie.

L’avvio del racconto si innerva su Napoleone e la caduta degli antichi regimi, sulla Repubblica bresciana (1797) fino al congresso di Vienna (1815) e all’avvio della dominazione austriaca. Da qui in poi la scansione degli avvenimenti si muove sul doppio registro delle ricadute locali, in particolare l’episodio eroico delle Dieci Giornate, i giovani bresciani che parteciparono all’impresa dei Mille, le battaglie di Solferino e San Martino, il mito di Garibaldi e dei protagonisti dell’unità d’Italia, e della cornice politica nazionale e internazionale esperibile attraverso una calibrata e intelligente distribuzione di strumenti multimediali che, a dispetto di quanto ci si potrebbe aspettare, non prevaricano né distraggono il visitatore da una personale scelta di visita, né da un rapporto visivo, forte e coinvolgente, con i manufatti e le opere d’arte che sono il vero sostegno e senso del museo e in cui brillano opere di Appiani, Sala, Joli, Beaucé, Bouvier, Inganni, Ghidoni, Zanelli, Glisenti, Wildt. Al contrario, la documentazione visiva e documentaria fornita in ogni sezione è rigorosamente selezionata, utile e ricca e, con l’ausilio delle letture di testi letterari, cronachistici e politici fatte giovani da attori e attrici di teatro, si accende l’empatia con i protagonisti di quella storia e si consolida la comprensione di quegli accadimenti e del loro senso.

In realtà, non è tanto uno schema di percorso, quanto l’emozione che guida lo spettatore, coadiuvata dalla curiosità di scoprire la continuazione di quella storia di popoli raccontata senza retorica e autocelebrazione poiché la narrazione prosegue concentrandosi sui complessi problemi sociali, culturali ed economici della raggiunta unità, aprendo anche la strada del consolidarsi del mito risorgimentale e della sua eredità: dai memorabilia garibaldini al diffondersi dell’iconografia di Garibaldi, Mazzini, Cavour, Vittorio Emanuele II, fino alla costruzione del Vittoriano di Roma e alla figura di Giuseppe Zanardelli e al primo conflitto mondiale. Il percorso si chiude, da una parte, con l’ascesa di Mussolini e l’uso strumentale che il regime fece del Risorgimento a partire dalla diffusione dei monumenti ai caduti quale ulteriore legittimazione del fascismo inteso come «atto conclusivo e necessario» dell’epopea risorgimentale, dall’altro con la Resistenza e la nascita della Repubblica. Le ultimi immagini riguardano i funerali delle  vittime della strage neofascista di Piazza della Loggia (28 maggio 1974), intesi quale simbolo di unità e di partecipazione durante i quali vennero richiamate le Dieci Giornate e i valori risorgimentali di libertà, unità e giustizia.

 Ma il racconto non si conclude qui. Uscendo, il complesso del Castello, la Salita della memoria, le pietre di inciampo ci accompagnano nuovamente fino a Piazza della Loggia e, se si volesse, fino al Cimitero Vantiniano tessendo un filo profondo e resistente che ci può fare da guida, e sostegno consapevole, alla comprensione di chi siamo oggi.

Nella sezione dedicata al Dissenso è ricostruito un salotto politico del Risorgimento

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VASTO

11/12/2022 da Sergio Casprini

In visita ai luoghi dell’esule Gabriele Rossetti

Luca Bergamin

Sole 24 Ore  Il Domenicale 11/112/2022

Qualcuno si tuffa ancora tra lo scoglio su cui si lascia ammirare la silhouette bronzea della Sirenetta, qui chiamata La Bagnante, e le vestigia del porto dell’antica Histonium. Riemergendo dall’Adriatico quasi sempre cheto, lo sguardo coglie, lassù sulla collina, la sagoma di Casa Rossetti, ricostruita 70 anni fa e già Biblioteca Comunale, dalla quale si è dipanata un’avventura doppia nella storia della poesia e dell’arte. Essa è assisa su quella Loggia Amblingh che rappresenta la balconata-belvedere più emozionante e scenografica sulla costa marchigiana, sugli ulivi che digradano verso l’azzurro liquido.

Casa Rossetti

Anche Gabriele Rossetti era solito affacciarsi per cogliere ispirazioni per le sue poetiche: guardava il Gargano quando si concedeva alla vista, e persino le Isole Tremiti remote eppure geograficamente così vicine come del resto i rugosi rilievi del dirimpettaio Molise. La loggia perpetua il nome di Guglielmo Amblingh, austriaco segretario di quel Cesare Michelangelo d’Avalos che abitava l’altro iconico Palazzo, appunto d’Avalos, capace più di tutti di scandire lo skyline medioevale di Vasto in cui la quattrocentesca Porta Santa Maria affacciata ad oriente sulle antiche mura di questa città di collina e mare, dall’arco a sesto acuto sormontato da una loggetta di pregevole fattura, pare una cornice sul paesaggio.

Porta Santa Maria

Insomma, un belvedere lirico in cui era solito indugiare Gabriele Rossetti. Nato 140 anni fa, si appassionò alla Divina Commedia durante i propri studi a Napoli, dedicando molti saggi critici all’opera dantesca, ma la sua adesione ai moti liberali carbonari del 1821 che scatenarono la durissima reazione di re Ferdinando I spalleggiato dagli austriaci, lo obbligò a fuggire dall’Italia e quindi anche da Vasto. Avrebbe riparato prima sull’isola di Malta e poi a Londra: nella capitale inglese si guadagnò da vivere e scrivere all’inizio dando lezioni private, sino a ottenere un incarico ufficiale al prestigioso King’s College. Fu proprio la stabilità finanziaria a ridargli quella spensieratezza che gli permise di riprendere l’attività poetica. Nelle raccolte intitolate Iddio e l’uomo, Il veggente in solitudine, e l’Arpa evangelica, composte a metà dell’800, emergono gli ideali patriottici, e si è resi partecipi dei sentimenti verso la terra natia. Quegli afflati aleggiano nelle stanze di quello che adesso è il Centro Europeo di Studi Rossettiani, dedicatosi negli ultimi decenni con profonda partecipazione alla riscoperta della figura di Gabriele Rossetti e della sua opera, impiegando anche documenti scovati nell’Archivio di Stato di Napoli, in particolare dai rapporti redatti dalle spie segrete della Polizia borbonica, che lo pedinavano.

E viene inevitabile, in queste sale, in particolare in quella della Biblioteca, intuire un’influenza di queste atmosfere negli scenari rarefatti, eterei che pervadono le celeberrime tele di Dante Gabriel Rossetti, secondogenito dell’esule vastese e di Francesca Maria Lavinia Polidori, figlia di quel Gaetano Polidori, che fu segretario particolare di Vittorio Alfieri, costretto anch’egli a lasciare il nostro Paese.

 

Vasto. Monumento a Gabriele Rossetti

 

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Villa della Rinchiostra

11/08/2022 da Sergio Casprini

Via Mura della Rinchiostra Nord 7 MASSA

 Durante il governo del duca Carlo II Cybo Malaspina, nei tre ultimi decenni del Seicento, fu costruita la villa della Rinchiostra, nella pianura verso la marina, dove la signoria possedeva una “vigna”. Sulla decisione probabilmente contò non poco la volontà della principessa Teresa Pamphili, giunta da Roma in sposa del duca. La villa sorse così nella campagna divenendo un luogo di soggiorno, ricco dei candidi marmi apuani.

Un alto muro delimitò la nuova proprietà circondando sia l’edificio sia l’ampio parco attorno. L’incarico di disegnare ed erigere la villa fu affidato all’architetto di corte Alessandro Bergamini che ripropose il lessico di ‘famiglia’ già evidenziato al palazzo ducale di Massa. L’intenzione ispiratrice del progetto fu quella mirante ad un edificio non di rappresentanza ma di utilizzo privato; elemento reso ancora più evidente dalla presenza non di una ma di due facciate che dovessero assecondare il gusto della committenza e non l’etichetta di corte. La maggiore ricchezza e bellezza è riscontrabile nell’architettura esterna dell’edificio, con le mosse volumetrie tese a una funzione di belvedere verso la costa e verso la montagna, con le due propaggini pentagonali, le terrazze, le due torrette e la profusione di marmi che modulano i loggiati, con ampio uso di colonne e forti riquadrature.

Il gioco cromatico ripete il contrasto tra i toni bianchi dei marmi e il forte rosso della tinteggiatura. Il fronte occidentale più severo è caratterizzato dall’ingresso con colonne tuscaniche e da un terrazzo. Il fronte orientale da un vestibolo a tre archi con scalinate laterali di accesso al piano nobile, ampio e aereo loggiato, colonne poggianti su balaustra.
L’interno vede come leitmotiv il ripetersi dei portali sui cui architravi campeggiano i nomi dei membri dei committenti, soprattutto Teresa Pamphili colei che aveva “fatto nascere quella deliziosa villa”.  Teresa morì nel 1704 e, in una sorta di continuità femminile, il suo ruolo fu assunto da Ricciarda Gonzaga, coniuge di Alderano Cybo, che volle fare della villa il suo ‘buen retiro’. Furono apportate migliorie soprattutto al parco, con un nuovo disegno, con la piantumazione di nuove specie arboree, e la collocazione di statue e busti in marmo. Furono anche edificate le scuderie, oggi casa di riposo per anziani.  Ma già nel 1722 iniziò lo spoglio delle statue presenti in villa. Fu l’inizio di un periodo di decadenza, accentuata poi dall’occupazione napoleonica della città, per la quale si rischiò l’asportazione in toto degli arredi marmorei dell’edificio: balaustre, colonne, cornici, vasi.


Dall’Ottocento inizia per la villa, a dimostrazione della sua bellezza, un susseguirsi di proprietari prestigiosi: forse direttamente per intercessione di Elisa Baciocchi, Hector Sonolet, e poi, quasi a metà secolo, Carlo Lodovico di Borbone. Questi operò un ripristino e riqualificazione dell’edificio e del parco con l’inserimento, secondo il gusto romantico, di alberi d’alto fusto che andarono ad inserirsi sull’impianto del giardino di tradizione italiana. Seguirono poi le presenze tutt’oggi verificabili di lecci, platani, cipressi, tassi, eucalipti, canfore, cedri e limoni.
Dalla fine dell’Ottocento alla metà del Novecento la villa passò a vari proprietari, tra cui la famiglia Robson e alcuni istituti religiosi. Infine il parco fu diviso con l’istituzione del dopolavoro Dalmine, per poi oggi essere ricomposto nella proprietà comunale. Durante la seconda guerra mondiale l’edificio subì notevoli danni sotto i bombardamenti, per essere infine ricostruito seguendo il progetto originario.

Oggi la villa è sede del  Museo civico Raccolta “ Gigi Guadagnucci, scultore massese del ‘900 di fama internazionale.

 

Sito Comune di Massa

 

 

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Museo Nazionale dell’Italiano a Firenze

08/07/2022 da Sergio Casprini

E’ stata inaugurata mercoledì 6 luglio 2022 la prima sezione del Museo Nazionale dell’Italiano (Mundi), presso l’ex monastero della Santissima Concezione, all’interno del complesso di Santa Maria Novella, a Firenze. 
In mostra nelle prime due sale del Museo alcuni cimeli straordinari, tra cui un’iscrizione pompeiana che testimonia i cambiamenti del latino parlato, preludio ai volgari d’Italia; il “Placito capuano”,  in prestito dall’Abbazia di Montecassino, l’atto giuridico del 960 nel quale appare la prima testimonianza ‘ufficiale’ redatta in italiano: “Sao ko kelle terre…“; il manoscritto Riccardiano 1035 nel quale Giovanni Boccaccio, a pochi anni dalla morte di Dante, copia di propria mano la Divina Commedia. 
Il Mundi nell’esposizione sottolinea il rapporto con il latino, lingua madre, ma nello stesso tempo rimanda all’italiano come lingua del mondo, ricordando come il patrimonio linguistico italiano sia considerato un bene culturale di interesse internazionale. 
Il nome del Museo, si legge in una nota, “vuole segnalare il legame tra le radici latine della nostra lingua e la sua presenza nel mondo globale di oggi”.
Il Comitato scientifico del Mundi è coordinato dallo storico della lingua italiana Luca Serianni e composto da Giuseppe Antonelli, Francesco Bruni, Michele Cortelazzo, Paolo D’Achille, Nicoletta Maraschio, Marco Mancini e Lucilla Pizzoli.
Anche l’Accademia della Crusca, che fa parte del comitato scientifico e organizzativo, collabora al progetto con il prestito di opere di primaria importanza, provenienti dalla propria Biblioteca e dall’Archivio storico. Si tratta di due capisaldi editoriali come la prima edizione delle “Prose della volgar lingua” di Pietro Bembo, pubblicate a Venezia nel 1525, opera che codifica il modello linguistico del fiorentino trecentesco,

la “Quarantana” dei Promessi Sposi, edizione definitiva del capolavoro di Alessandro Manzoni e un volume della bella copia del “Vocabolario degli Accademici della Crusca”, manoscritto autografo di Bastiano De’ Rossi (l’accademico Segretario), da lui portato a Venezia per la stampa della prima edizione del Vocabolario (1612). Altro vero monumento della nostra lingua, mai uscito prima dall’archivio dell’Accademia.

Le prime due sale del Mundi sono aperte al pubblico da giovedì 7 luglio 2022.  L’orario di apertura a regine dal mercoledì alla domenica è dalle ore 10 alle 17 (resta chiuso lunedì e martedì). L’ingresso gratuito è in Piazza della Stazione 6. 

 

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TABERNACOLO DI RIMAGGINO

11/06/2022 da Sergio Casprini

Rimaggino, frazione di  Bagno a Ripoli in Provincia di Firenze

XIV Secolo

Il Tabernacolo fa parte di quelle strutture architettoniche che, nel corso del Medioevo costellavano le vie delle campagne intorno a Firenze. A quel tempo infatti, i tabernacoli venivano usati come luoghi di culto e di incontro

Il tabernacolo sorge lungo via della Croce, proprio di fronte alla casa denominata “Il Gello”. All’inizio di via della Croce si trova l’Oratorio di Santa Croce a Varliano, fatto costruire sul finire del ‘200 dalla ricca famiglia dei Peruzzi e che ha successivamente dato il nome alla strada.  La famiglia era particolarmente legata alla figura di San Francesco e  la sua immagine si trova infatti anche nell’affresco del tabernacolo.

Il tabernacolo si compone di una tettoia di epoca rinascimentale, all’interno troviamo una nicchia con l’affresco tardo trecentesco attribuito a Niccolò di Piero Gerini.

Madonna in trono con il Bambino
affiancata dai Santi Giovanni Battista e Francesco e tra due angeli reggicortina

Lo spazio del tabernacolo era talmente ampio da “permettere che vi si celebrasse la messa” come si legge nel testo di Guido Carrocci, I Dintorni di Firenze pubblicato a Firenze nel 1906.

 

 

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Giardino delle Rose

22/04/2022 da Sergio Casprini

Viale Giuseppe Poggi 2 Firenze

Il Giardino delle Rose a Firenze è un parco nella zona di Oltrarno sottostante al piazzale Michelangelo verso ovest, in viale Giuseppe Poggi. Il giardino è aperto ogni giorno dell’anno (eccetto Natale e Capodanno) dalle 9 del mattino al tramonto. Fu realizzato nel 1865 dallo stesso architetto del piazzale, Giuseppe Poggi su incarico del Comune di Firenze quando progettò il Piano urbanistico per Firenze Capitale. Copre circa un ettaro di terreno terrazzato dal quale si gode una splendida vista panoramica della città, racchiuso fra l’attuale viale Poggi, via di San Salvatore, e via dei Bastioni.

Già appartenuto a una villetta di proprietà della Congregazione di San Filippo Neri e denominato “podere di San Francesco”, venne poi spartito a terrazzamenti da Attilio Pucci che utilizzò la sua posizione e i muri di sostegno delle terrazze per dar vita ad una collezione di rose. Nel 1895 il giardino venne aperto al pubblico durante la Festa delle Arti e dei Fiori che la Società di belle arti e la Società italiana di orticoltura iniziarono a tenere ogni mese di maggio. Costruito secondo il modello alla francese ha un ambiente naturale bucolico, ma allo stesso tempo razionalizzato. Di particolare interesse è l’impianto di irrigazione, formato da una cisterna posta in alto, in prossimità del piazzale, e da una conduttura che porta l’acqua fino alle numerose prese in giardino.

Nel 1998, il giardino si è arricchito di uno spazio donato dall’architetto giapponese Yasuo Kitayama, un’oasi giapponese Shorai, donata a Firenze dalla città gemellata di Kyoto e dal tempio Zen Kodai-ji.

Dal settembre 2011 il Giardino delle Rose ospita dieci sculture in bronzo e due gessi dell’artista belga Jean Michel Folon, grazie alla donazione fatta dalla vedova dell’artista al Comune di Firenze.  Oggi il giardino conta circa 1000 varietà botaniche con ben 350 specie di rose antiche.

Jean Michel Folon Partir 2005

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Battaglia di Ponte dell’Ammiraglio a San Pier Scheraggio

17/02/2022 da Sergio Casprini

Settant’anni Guttuso dipingeva la «Battaglia di Ponte dell’Ammiraglio», oggi al museo degli Uffizi di Firenze

Chiara Dino Corriere Fiorentino 16 febbraio 2022

Sulla sinistra riverso a terra c’è il suo autoritratto. Renato Guttuso si rappresentava così, 70 anni fa, quando lavora alla Battaglia di Ponte dell’Ammiraglio per la Biennale di Venezia del 1952. Come un garibaldino, partecipe, con le truppe del generale, allo scontro contro i Borbone che vide vittoriosi i Mille sul punto di conquistare Palermo. Non solo, avrebbe scritto lui stesso in una lettera pubblicata dall’Espresso il 10 gennaio 1965: «Nel gruppo dei Garibaldini, in alcune teste, più per mia comodità di sentire viva e vicina una vicenda storica, che per altro, mi sono servito di somiglianze con garibaldini di Spagna e della Resistenza. Tra essi Luigi (e non Giuseppe) Longo, Pajetta, Vidali, Trombadori, e un paio di autoritratti (il contadino morto sul carretto sfasciato) e un altro che voleva essere un omaggio a mio nonno Ciro Guttuso, il quale aveva partecipato allo scontro di Ponte Ammiraglio» (è il garibaldino con la spada sguainata al centro della tela ndr.).

L’opera, un manifesto del realismo storico del pittore siciliano, che cita con linguaggio differente la Guernica di Picasso, arrivò agli Uffizi, nel 2004, su proposta di Antonio Natali, allora direttore del Dipartimento dell’Arte Contemporanea, che chiuse l’affare con Farsetti Arte per 750 mila euro convincendo la casa d’aste a non metterla all’incanto. E con il sostegno dell’allora direttore Antonio Paolucci. «Era il 2004 — ricorda Natali — in Galleria c’era già, dall’83, donata da Franco Muzzi, la Battaglia di San Martino di Corrado Cagli, (con l’esercito piemontese, guidato da Vittorio Emanuele che, supportati dalle truppe di Napoleone III, nel 1859, sconfigge gli austriaci dell’imperatore Francesco Giuseppe ndr.). Quando vidi la monumentalità dell’opera pensai che il suo posto fosse in San Pier Scheraggio, di fronte all’altra battaglia. Per il suo messaggio civile, per la celebrazione della laicità della Stato, ritenevo necessario che fosse disponibile al godimento pubblico».

In effetti il tema politico nella tela del maestro di Bagheria è evidente. Il suo settantesimo anniversario è una buona occasione per ricordarne le implicazioni e per ritornare anche sulle polemiche che generò quando arrivò in Biennale. «L’opera usa la vicenda dei Mille per riportare quell’eroismo rivoluzionario alla contemporaneità. Guttuso si serve del Risorgimento per parlare della Resistenza — continua Natali — Siamo negli anni ’50, le lotte di liberazione sono vicine ma c’è già chi vuole mettere il silenziatore su quella storia. Penso che, sebbene la giubba rossa fosse il colore dei Mille, la tonalità così accentuata fosse un manifesto politico». Non a caso tre anni dopo una nuova versione della Battaglia sarebbe stata commissionata dal Pci per le Frattocchie. E non a caso sia Guttuso che Pajetta avevano partecipato alle lotte partigiane. Il doppio legame anche personale con l’opera è manifesto, ma c’è dell’altro. Per l’artista — che da tempo rappresentava le battaglie contadine siciliane — questa sarebbe stata la prima prova al cospetto della «storia nazionale» con un’opera immensa (circa tre metri per cinque).

«Per farlo si era documentato sui costumi dei soldati borbonici visitando il Museo del Risorgimento di Roma e quello di san Martino a Napoli». (Guttuso racconta come è nato il grande quadro su Garibaldi sul Corriere della Sera, 20 dicembre 1982). E aveva lavorato producendo decine di disegni e bozzetti preliminari a Villa Massimo a Roma dove risiedeva. Ma soprattutto inseriva quest’opera in quella che, in un saggio sull’opera che Chiara Perin ha pubblicato sull’Uomo Nero, individuava come una scelta consapevole e di partito. «Nel 1951— scrive la studiosa — inscenare l’epopea nazionale significava adeguarsi al processo di appropriazione dell’immagine politica e iconografica di Garibaldi che la sinistra italiana stava conducendo da oltre una decade. Come i patrioti risorgimentali avevano sconfitto le potenze straniere e poi i partigiani l’esercito nazifascista, ora gli italiani erano pronti a spingere ogni forma di ingerenza». Che in questo caso era l’imperialismo statunitense per Perin. Le ragioni delle polemiche vanno cercate, però, per Natali oltre il messaggio politico dell’opera. «La tela in cui si riconoscono anche la sagoma del monte Pellegrino e un carretto siciliano, era espressione di un realismo violento e titanico che si contrapponeva all’astrattismo classico di autori come il Nativi e il Berti. E su questi due linguaggi figurativi allora in Italia si dibatteva parecchio». Quell’opera vale la pena di rivederla. Quando finiranno i lavori in corso in San Pier Scheraggio.

Interno di San Pier Scheraggio

La battaglia di Guttuso a destra e quella di Cagli a sinistra 

 

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LA LOGGETTA PLATONICA

20/01/2022 da Sergio Casprini

Via Aselli , Ponte nuovo a Careggi, Firenze

La loggetta faceva parte del Giardino di Ponente della Villa Medicea di Careggi che Lorenzo il Magnifico scelse come sua residenza preferita.

La Villa Medicea di Careggi in una stampa di Giuseppe Zocchi 1774

Per volere di Cosimo il Vecchio nel 1459, con Marsilio Ficino, fu istituita l’Accademia Platonica di cui facevano parte eminenti personalità dell’epoca quali Pico della Mirandola, Cristoforo Landino, Nicola Cusano, Leon Battista Alberti, Agnolo Poliziano, Bartolomeo Scala ed altri. Si venne così a creare un centro culturale artistico d’eccellenza e proprio nei pressi della loggetta si riunivano i membri dell’Accademia per disquisire di importanti tematiche che avevano grande influenza sulla vita e sull’arte. All’inizio del 1900 la loggetta entrò a far parte dei terreni dell’ospedale e tutt’oggi appartiene all’Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi. Si ipotizza che la costruzione originaria sia di epoca quattrocentesca, con rifacimenti successivi.

La loggetta si trova al termine di una viottola, parzialmente ricostruita, che dalla Villa conduceva appunto alla costruzione, la cosiddetta “porta sul Terzolle“. Si tratta di una struttura semplice costituita da un muro con nella parte superiore una merlatura che ricorda quella del corpo centrale della Villa; nella parte centrale c’è una porta in passato coperta da una tettoia.

Lo stato attuale della Loggetta Platonica

 

 

 

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Pieve di San Pietro

14/11/2021 da Sergio Casprini

Gropina, Loro Ciuffenna- Arezzo

La pieve, già ricordata nel 774, costituisce uno degli esempi più alti dell’architettura romanica in Toscana: nel sottochiesa si trovano i resti di una prima chiesa (V-VI secolo) e di una seconda a due navate (VIII-IX secolo). La tradizione popolare ne attribuisce la fondazione alla duchessa di Toscana Matilde di Canossa.

La chiesa, che ha un impianto basilicale  a tre navate con abside semicircolare, ha all’interno una  decorazione  particolarmente ricca: di grande interesse un pulpito di epoca tardo-longobarda (datato all’anno 825) scolpito con figure zoomorfe e motivi geometrizzanti.

Il programma iconografico dei capitelli è una vera “enciclopedia sacra” con evidente intento didascalico: vi sono raffigurate infatti scene tratte dall’Antico e Nuovo Testamento.

All’esterno dalla facciata sobria, con portale, tre monofore e copertura a salienti, si arriva all’abside, maggiormente decorata, dove spicca l’originale motivo a doppie arcate cieche, spartite da lesene. Da notare nel centro le due colonne tortili che ripropongono il disegno del pulpito all’interno.

 

 

 

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Andare per la Linea Gotica

09/11/2021 da Sergio Casprini

Autore  Andrea Santangelo

Editore  Il Mulino

Collana  Ritrovare l’Italia

Anno    2021

Pagine   160

Prezzo   € 12,00

 

La grande muraglia italiana La Linea Gotica – l’articolato sistema difensivo tedesco che sbarrò agli eserciti alleati provenienti dal Sud l’accesso alla pianura padana – fu teatro, tra la primavera del 1944 e l’estate del 1945, di immani tragedie belliche. Dei 320 km di muraglia che partiva da Pesaro e finiva a Marina di Massa, vengono suggeriti cinque itinerari condotti seguendo la cronologia degli eventi. Dalla grande battaglia per Rimini alla strana guerra nelle aree umide del Ravennate e del Ferrarese; dai cruenti combattimenti per la liberazione del Bolognese e dell’Imolese alla Garfagnana, zona dell’ultima offensiva tedesca e fascista, per giungere infine al ricordo delle terribili stragi nazifasciste di Sant’Anna di Stazzema e Monte Sole. Arricchito da testimonianze storiche di coloro che ne serbano ancora un vivo ricordo, il volume è un ideale viatico anche per chi intende intraprendere il cammino in uno dei più affascinanti paesaggi appenninici, prodigo, tra l’altro, di qualità storico-naturalistiche ed enogastronomiche.

Andrea Santangelo, laureato in Storia antica, ha lavorato come archeologo, editor e direttore editoriale per case editrici specializzate. Appassionato di storia militare, in questo campo ha al suo attivo una decina di monografie e centinaia di articoli. Tra le sue ultime pubblicazioni: Operazione Compass. La Caporetto del deserto (Salerno, 2012), Facciamo l’Italia (Palabanda Edizioni, 2013). Nel 2019 scrive con Lia Celi Le due vite di Lucrezia Borgia (UTET).

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La Linea Gotica e la tenace risalita degli alleati

Eliana de Caro Il Domenicale del Sole 24 ore 7 novembre

…. la narrazione del passato, ricorda l’autore, passa attraverso la conoscenza del territorio: perchè la storia sia compresa veramente, ” deve essre vissuta” sui luoghi dov’è passata, là si poter “sentire” dove si è sedimentata e dove ha lasciato evidenti tracce di sé.  Ecco perché è importante la cultura del viaggio non meno di quella “tradizionale”. Lungo la Linea Gotica se ne ha una compiuta dimostrazione.

Toscana: La Linea Gotica a Borgo a Mozzano

 

 

 

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il Comitato Fiorentino per il Risorgimento
è associato al Coordinamento nazionale Associazioni Risorgimentali FERRUCCIO

L’editoriale del direttore

17 MARZO. CELEBRAZIONE DELL’UNITÀ D’ITALIA, DELLA LIBERTÀ E DEMOCRAZIA

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Ubaldino Peruzzi Sindaco, il video integrale del Convegno

Prossimi appuntamenti

Le celebrazioni del 17 MARZO nel corso della storia dell’Italia dal 1911 al 2011

10/03/2023

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La coscienza ecologica tra passato e presente

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