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Risorgimento Firenze

Il sito del Comitato Fiorentino per il Risorgimento.

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Sergio Casprini

ORDIRE LA TELA DEL NOSTRO RISCATTO

27/03/2023 da Sergio Casprini

Gerolamo Induno La partenza dei coscritti nel 1866 1878

Risorgimento italiano: prende le mosse dal 1815 il superamento della frammentazione campanilistica del Bel Paese e si forma l’idea di nazione come spazio civile e non solo culturale

Angelo Varni  Il Domenicale del Sole 24 ore 26 marzo 2023

Certo il turbinio del ventennio napoleonico, a cavallo tra ’700 e ’800, molto aveva contribuito a squarciare la cappa di arretratezza gravante, sia pure in forme diverse e con qualche bagliore di innovazione, sull’intera penisola. Parole, concetti, principi nuovi vi erano penetrati.

Costituzione, libertà, sovranità del cittadino coi suoi diritti e doveri, repubblica, uguaglianza di fronte alla legge, laicità di uno Stato sottratto all’arbitrio dell’assolutismo e delle cerchie nobiliari e feudali: questi, e tanto d’altro, i valori, del resto, tradotti in concreti effetti istituzionali, politici, di rapporti sociali, di intraprese economiche, con i quali d’improvviso trovarono a misurarsi quelle generazioni sbalzate per impulso invincibile delle baionette napoleoniche dalle avvizzite consapevolezze di un mondo che sapeva ancora molto di medioevo ad una modernità fino ad allora intravista solo dai ristretti circoli dell’intellettualità illuminata settecentesca, impossibilitata poi a perseguirla davvero nella concretezza del reale.

Ed anche, senza dubbio, il richiamo a un sentimento di patria, di nazione, di italianità che non fosse più solo quell’antica preziosissima comunità culturale della tradizione letteraria, da Dante a Petrarca, al Rinascimento; bensì partecipazione di popolo a un progetto unitario, che vide sventolare i primi tricolori, costruire Stati col nome di Italia, pur con la pesante contraddizione della sudditanza alla “grande nazione” francese; che, ancora, animò il generoso proclama murattiano del 1815 agli “Italiani” e che indusse gli stessi occupanti austriaci di quell’anno di chiusura dell’esperienza napoleonica ad avanzare nelle terre di Romagna richiamandosi subdolamente a una loro pretesa difesa di italianità.

1815 Congresso di Vienna

Quanto di più lontano, però, dalla risistemazione della penisola certificata dal Congresso di Vienna, con una cesura rispetto all’esperienza appena trascorsa, che non fu solo di strutture materiali, ma pure di totale forzata ritessitura degli orditi dipanati lungo la straordinaria cavalcata imposta dal giovane generale corso fino all’Impero e all’irrimediabile Waterloo.

E da qui, da questi anni di profonda rimeditazione per l’intera società del nostro Paese della propria stessa scala di valori, di progetti, di costruzione di futuro, si avvia la ricostruzione della vicenda risorgimentale ora effettuata da Roberto Balzani, nel saggio Genio ed accidentalità di una nazione (1815-1849) di apertura del volume a due voci Risorgimento: costituzione e indipendenza nazionale; l’altra quella di Carlo M. Fiorentino Percorsi per l’Unità (1849-1866).

Una riflessione dell’autore davvero esemplare per la capacità di ricollegare la linearità della narrazione post-risorgimentale che abbiamo tutti appreso fin dai banchi della scuola elementare, con i suoi ben noti eventi canonici (primi moti carbonari, rivolte del ’31, e poi Mazzini, Giovane Italia, i martiri, Gioberti, Pio IX, Carlo Alberto, prima guerra d’indipendenza, Cavour, il ’48, Repubblica Romana, e così via), ad approfondimenti interpretativi che ne colgono un’inedita complessità ricca di variabili anche contraddittorie, che si collocano lungo i crinali spesso decisivi delle relazioni internazionali, delle atmosfere culturali, dei processi economici, del succedersi generazionale, delle condizioni sociali, tali da consentire davvero di ripercorrere quegli anni con la sensazione di essere guidati verso un’accresciuta consapevolezza di quanto accaduto, senza limitarne il percorso di maturazione alla meta “risorgimentale”, ma anzi arricchendolo di nuove ragioni e di nuove interpretazioni.

Per di più sapendo osservare – come fa Balzani – l’intrecciarsi degli eventi individuandovi a pieno titolo fattori di trasformazione meglio leggibili con l’occhio di un oggi ancora più che mai in essi coinvolto a distanza di due secoli: dalla mondializzazione al ruolo della comunicazione, dallo sviluppo tecnologico alla massificazione della politica, dall’aggregazione sociale allo stesso diffondersi delle epidemie, dai fenomeni migratori alle battaglie di solidarietà umanitaria, fino all’inserimento in una sorta di spazio “occidentale”, liberale e democratico, aperto alle intraprese e alla dialettica delle idee.

Si dipana in tal modo un cammino che porta il Paese a via via superare la frammentazione campanilistica di medievale ricordo, l’unico riferimento culturale rimasto alle pur immutabili classi dirigenti dopo – secondo la suggestiva immagine di Balzani– «l’esplosione della supernova napoleonica» con le sue sparse ricadute di “frammenti”, quali furono i sommovimenti carbonari e le turbolenze territoriali siciliane o romagnole dei decenni Venti e Trenta.

I messaggi rivoluzionari della Grecia, poi di Parigi, del Belgio, della Polonia, di là dagli esiti specifici, fecero intendere che “risorgere” fosse possibile, che si poteva cessare di vivere in un eterno presente e costruire un futuro affidato alle giovani generazioni. E fu Mazzini con le sue parole d’ordine a fare della nazione uno spazio civile e non solo culturale.

Su tutte, prevalente, comunque, l’indipendenza dallo straniero, la libertà di decidere da sé e per sé. Il ’48 “primavera dei popoli”, si chiuse con le tragedie del ’49, ma che aprirono una nuova stagione, laica, piemontese e cavouriana, quella ben spiegata dal successivo saggio di Fiorentino Percorsi per l’Unità (1849-1866); quella della seconda durissima restaurazione a Napoli come a Roma, nei Ducati come nel Lombardo-Veneto e persino a Firenze.

Restava, dunque, è ben noto, solo il Regno Sardo a mantenere costituzione e cittadinanza rappresentativa, sotto la guida ispirata di Cavour, che l’autore segue con lucida attenzione nelle sue delicate relazioni interne e internazionali fino alla guerra del ’59 e alla delusione di Villafranca, mentre le popolazioni dell’Italia centrale reclamarono l’annessione al Regno Sabaudo.

I Mille e il conseguente allargamento del nascente Stato unitario al Sud, sancirono l’irreversibile processo di consolidamento unitario, che la guerra del ’66 completò a est, mentre irrisolta restava la questione della Roma pontificia e, soprattutto, di come trascinare il Paese verso un’equilibrata modernizzazione economica, non meno che culturale e civile.

Risorgimento. Costituzione e indipendenza nazionale

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STORIA DI RAMELLI E DANTE DI NANNI

25/03/2023 da Sergio Casprini

LETTERE al Corriere della Sera 25 marzo 2023

Caro Aldo, non crede che stia emergendo sempre più una deriva violenta in quello che non voglio chiamare antifascismo ma utile idiotismo? La plateale contestazione alla sottosegretaria del ministero dell’Istruzione e del merito a Milano mentre commemorava l’assassino di Sergio Ramelli non ne è forse la conferma? «Utile idiota», d’altronde, è una definizione storicamente nata all’interno della sinistra e che quindi ben si adatta a questo genere di contestatori. Ricordando sempre che se «tutti i democratici sono antifascisti non tutti gli antifascisti sono democratici». Mario Taliani, Noceto

Caro Mario, Sergio Ramelli fu ammazzato quando non aveva ancora 19 anni e non aveva fatto nulla di male. Non c’è niente di antifascista in quell’orrendo delitto. Non c’è niente di antifascista nel contestare chi giustamente tiene viva la memoria di quel ragazzo e la condanna dei suoi assassini. L’antifascismo è il colonnello Montezemolo che tace sotto le torture e prima di essere ucciso dai nazisti con un colpo alla nuca grida «Viva l’Italia». L’antifascismo è il tenente dei carabinieri Genserico Fontana che alle Fosse Ardeatine conforta la moglie che le SS obbligano ad assistere all’eccidio: «Coraggio cara, siamo uomini e siamo italiani, dobbiamo affrontare il destino da uomini e da italiani». L’antifascismo è don Pietro Pappagallo cui viene offerto di avere salva la vita ma sceglie di morire con gli altri 334 martiri, tentando con le mani legate di impartire loro l’estrema unzione. L’antifascismo però è anche Dante Di Nanni, il gappista comunista che asserragliato in una casa di Torino resiste fino all’ultima cartuccia, poi per non essere preso vivo si getta nel vuoto dopo aver salutato la folla con il pugno chiuso e gridato, anche lui, «Viva l’Italia». Per questo, gentile signor Taliani, dire «tutti i democratici sono antifascisti ma non tutti gli antifascisti sono democratici» è una brillante formula perfetta per discutere oggi nei talk show, ma uno scioglilingua privo di spessore umano e significato politico quando c’era da decidere da quale parte stare: se con quelli che portavano gli ebrei ad Auschwitz, o contro quelli che portavano gli ebrei ad Auschwitz.

Aldo Cazzullo

Giardino Sergio Ramelli a Milano

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VITTORIO EMANUELE II NON ERA VLADIMIR PUTIN

21/03/2023 da Sergio Casprini

Monumento di Vittorio Emanuele II a Firenze

LETTERE al  Corriere della Sera 17 marzo 2023

Caro Aldo, visto l’aggettivo farsa attribuito ai referendum organizzati da Putin in Ucraina, quale aggettivo è possibile attribuire al Plebiscito indetto il 21 e 22 ottobre 1866 nelle Provincie Venete e in quella di Mantova? Il Plebiscito riguardava l’annessione di tali Provincie al Regno d’Italia, all’indomani delle sconfitte da questo subite a Custoza e a Lissa. Le operazioni di voto consistevano nella consegna all’elettore di due schede di colore diverso, contrassegnate, rispettivamente, dalle parole Sì e No, da deporre, una delle due, nella corrispondente urna posta su un tavolo diversa dall’altra, e contrassegnate anch’esse, rispettivamente con le parole Sì e No. All’elettore che deponeva la scheda del No nella corrispondente urna del No venivano immediatamente richieste le generalità. Questo alla faccia della libertà di espressione della propria scelta! Il risultato del Plebiscito è riportato in una targa posta sotto il porticato (lato laguna) del Palazzo Ducale di Venezia. Teseo Norrito

Caro Teseo, non paragonerei Putin a Vittorio Emanuele II. Il Veneto non fu invaso dalle truppe italiane. Il Veneto si ribellò al dominio austriaco nel 1848, quando insorsero tutte le sue città, tranne Verona che era uno dei perni del quadrilatero, quindi la caserma degli asburgici (ma fu una Verona festante quella che gli austriaci dovettero lasciare nel 1866, sparando sulla folla e uccidendo una donna incinta, Carlotta Aschieri). Massimo d’Azeglio — un uomo straordinario del tutto assente dalla memoria nazionale — accorse al fianco dei difensori di Vicenza e fu ferito gravemente. Alessandro Poerio cadde in difesa di Venezia: gli amputarono una gamba, spirò a casa del comandante delle truppe napoletane, Guglielmo Pepe, morto in esilio a Torino, che gli ha dedicato una statua.

Credo, gentile signor Norrito, che quando parliamo del Risorgimento dovremmo avere più rispetto per due generazioni di compatrioti per i quali l’Italia era un ideale che valeva la vita. Purtroppo il Risorgimento non è di nessuno. La sinistra lo considerò un moto borghese (e in parte lo fu davvero, ma non sarebbero bastati i «sciuri» per cacciare gli austriaci da Milano). I cattolici lo considerarono un affronto al Papa, senza comprendere che liberarsi dal potere temporale fu una straordinaria fortuna per i Pontefici, ora riconosciuti non come leader politici ma come autorità spirituali e universali. La destra reazionaria lo aborre; preferisce separatisti e briganti. La consultazione che si tenne in Veneto, e prima in Emilia, nelle Romagne, in Toscana non era un referendum democratico, ma appunto un plebiscito. Quelli indetti dai francesi a Nizza e nella Savoia ebbero un esito analogo. Servivano a sancire decisioni prese altrove. Ma il Risorgimento fu una rivoluzione nazionale, non sociale. Solo un Paese che in fondo si disprezza e si vuole male come il nostro può infangarlo a ogni occasione, anziché coltivarne un ricordo orgoglioso e commosso. Aldo Cazzullo

Episodio delle 5 giornate di Milano
Baldassare Verazzi 1848

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NAZIONE POP

17/03/2023 da Sergio Casprini

L’idea di Patria attraverso la musica

L’idea di Nazione continua a proporsi in varie forme e gradazioni. A volte, come avverte Michael Billig, penetra nel nostro quotidiano in modi silenziosi, inavvertiti, “banali”. Spesso non viene neppure nominata, eppure sopravvive e prospera. Le «banali profondità della coscienza nazionalista» si riproducono in una ricca molteplicità di manifestazioni. Tra queste c’è anche la musica. Ripercorrendo il legame tra musica e nazione alla luce della Filosofia della musica di Mazzini e dei Prolegomena sul patriottismo di Michels, il volume arriva fino al pop. Dall’analisi del caso italiano emerge una teoria di frasi, sintagmi, ritornelli inseriti in molte canzoni dagli anni Settanta a oggi. Nella musica popolare di massa il tema nazionale si presenta attraverso la celebrazione dell’amore o della nostalgia dell’Italia, il ricordo della storia patria, la critica al carattere e al malcostume italiani.

Leonardo Varasano (Perugia 1978), laureato in Scienze Politiche (indirizzo storico-politico) presso l’Università di Perugia, collaboratore della cattedra di storia delle dottrine politiche presso la facoltà di Scienze della formazione dell’Università di Perugia.
È giornalista pubblicista; ha collaborato con diversi quotidiani sia locali che nazionali come il Foglio, il Giornale dell’Umbria e l’Università, periodico ufficiale dell’Ateneo di Perugia.
È autore del volume L’Umbria in camicia nera (1922-1943), Rubbettino, 2011. Curatore, insieme ad Alessandro Campi, del volume di R.Michels, Corso di sociologia politica, Rubbettino, 2009.

Autore   Leonardo Varasano

Editore   Rubbettino

Anno      2023

Prezzo    € 16,00

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L’arte della moda. L’età dei sogni e delle rivoluzioni. 1789-1968

15/03/2023 da Sergio Casprini

18 marzo / 2 luglio 2023  

Musei San Domenico di Forlì

Tintoretto, William Hamilton, George Romney, Francesco Hayez, Silvestro Lega, Telemaco Signorini, James Tissot, Giovanni Boldini, Vittorio Corcos, Henry Matisse, Josef Hoffmann, Giacomo Balla, Piet Mondrian, Umberto Boccioni, Giorgio de Chirico, Damien Hirst insieme con Charles Frederick Worth, Ventura, Mariano Fortuny, Paul Poiret, Salvatore Ferragamo, Coco Chanel, Germana Marucelli, Valentino Garavani e Pierpaolo Piccioli, Giorgio Armani, Christian Dior di John Galliano, Gucci, Prada, Tom Ford, Cristobal Balenciaga, Yohij Yamamoto: sono soltanto alcuni dei 100 artisti e dei 50 stilisti e couturier protagonisti di L’arte della moda. L’età dei sogni e delle rivoluzioni, 1789 – 1968, la mostra in programma dal 18 marzo al 2 luglio 2023, negli spazi dei Musei San Domenico di Forlì.

Ritratto di Emiliana Concha de Ossa (1888) Giovanni Boldini

Diretta da Gianfranco Brunelli e curata da Cristina Acidini, Enrico Colle, Fabiana Giacomotti e Fernando Mazzocca, l’esposizione è dedicata al rapporto fra arte e moda. Il periodo preso in considerazione attraversa tre secoli: dall’Ancien Régime al secondo Novecento. Un racconto unico. Un percorso espositivo di confronti che comprende oltre 300 opere, tra quadri, sculture, accessori, abiti d’epoca e contemporanei. L’esposizione forlivese, la prima del suo genere, somiglia a un vero e proprio kolossal. Le opere, che a partire dal Settecento attraversano la Rivoluzione francese, il Romanticismo, la Macchia, l’Impressionismo, il Simbolismo e tutte le Avanguardie novecentesche fino a oggi, identificano un rapporto tra arte e moda dove l’arte rispecchia, crea e si fa moda e la moda appartiene definitivamente alle arti. La moda dipinta, ritratta, scolpita, realizzata dai grandi artisti. L’abito che modella, nasconde, dissimula e promette il corpo. L’abito come segno di potere, di ricchezza, di riconoscimento, di protesta. Come cifra distintiva di uno stato sociale o identificativa di una generazione. La moda come opera e comportamento. L’arte come racconto e come sentimento del tempo.

Il panciotto di Marinetti (1924) Fortunato Depero

Tra le opere esposte Ritratto dell’avvocato Carlo Manna (1907) di Umberto Boccioni, Ritratto di Emiliana Concha de Ossa (1888) di Giovanni Boldini, Grande composizione A con nero, rosso, grigio giallo e blu (1919) di Piet Mondrian, Donna e anemoni (1920-1921) di Henry Matisse a cui fanno da contrappunto due completi ricamati di Giorgio Armani, il Panciotto di Marinetti (1923 – 1924) di Fortunato Depero, la Camicia Orlando (A/I 2001-02) di Gianfranco Ferré, il Delphos in seta con sopravveste in velluto (1920 circa) di Mariano Fortuny in dialogo con una Kore di tipo Eleusi della fine del II secolo, l’Abito da giorno “Linea Assira” (1961) di Germana Marucelli e un abito da sera inedito di Elsa Schiaparelli.

Accompagnato dal catalogo edito da Dario Cimorelli Edizioni, il progetto espositivo, curato dall’architetto Alessandro Lucchi, si è avvalso della preziosa collaborazione dei più importanti musei d’arte, degli archivi, dei musei e maison di moda.

FINESTRE SULL’ARTE-Rivista online d’Arte Antica e Contemporanea

Delphos (1920) Mariano Fortuny

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Le celebrazioni del 17 MARZO nel corso della storia dell’Italia dal 1911 al 2011

10/03/2023 da Sergio Casprini

La monorotaia di Torino, costruita per l’occasione delle celebrazioni del Centenario del 1961

Il Presidente del Consiglio Comunale Luca Milani
Il Comitato Fiorentino per il Risorgimento

In occasione della ricorrenza della
Giornata dell’ Unità nazionale, della Costituzione, dell’inno e della bandiera


Sono lieti di invitare la S.V. alla tavola rotonda
Le celebrazioni del 17 MARZO nel corso della storia dell’Italia dal 1911 al 2011
Venerdì 17 marzo 2023, ore 16,30
Palazzo Vecchio – Sala Firenze Capitale (III piano)


Diretta sulla pagina FacebooK del Comitato Fiorentino per il Risorgimento

PROGRAMMA
Saluti Istituzionali
Luca Milani, Presidente del Consiglio Comunale di Firenze
Interventi
Il Cinquantenario del 1911
Christian Satto, Coordinatore dei Comitati Toscani per il Risorgimento
Il Centenario del 1961
Gabriele Paolini, Direttore del Comitato di Livorno dell’Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano
Il Centocinquantenario del 2011
Fabio Bertini, Coordinamento Nazionale delle Associazioni Risorgimentali
Introduce e coordina
Sergio Casprini, Comitato Fiorentino per il Risorgimento

Posti limitati, è necessaria la prenotazione
scrivendo a elisabetta.bartolini@comune.fi.i
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La Resistenza delle donne

06/03/2023 da Sergio Casprini

Le donne furono protagoniste della Resistenza: prestando assistenza, combattendo in prima persona, rischiando la vita. Una «metà della Storia» a lungo silenziata a cui Benedetta Tobagi ridà voce e volto, a partire dalle fotografie raccolte in decine di archivi. Ne viene fuori un inedito album di famiglia della Repubblica, in cui sono rimesse al loro posto le pagine strappate, o sminuite: le pagine che vedono protagoniste le donne.

La Resistenza delle donne è dedicato «A tutte le antenate»: se fosse una mappa, alla fine ci sarebbe un grosso «Voi siete qui». Insieme alle domande: E tu, ora, cosa farai? Come raccoglierai questa eredità ?

Benedetta Tobagi è nata a Milano nel 1977. Laureata in filosofia, Ph.D in storia presso l’Università di Bristol, continua a lavorare sulla storia dello stragismo. È stata conduttrice radiofonica per la Rai e collabora con «la Repubblica». Dal 2012 al 2015 è stata membro del consiglio di amministrazione della Rai. Si occupa di progetti didattici e formazione docenti sulla storia del terrorismo con la Rete degli archivi per non dimenticare. Per Einaudi ha pubblicato Come mi batte forte il tuo cuore. Storia di mio padre (2009 e 2011), Una stella incoronata di buio. Storia di una strage (2013 e 2019), Piazza Fontana. Il processo impossibile (2019) e La Resistenza delle donne (2022).

Autrice    Benedetta Tobagi

Editore    Einaudi

Anno       2022

Pag.          376

Prezzo     € 22,00

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DONNE IN EQUILIBRIO

03/03/2023 da Sergio Casprini

Museo Salvatore Ferragamo Piazza di Santa Trinita,5R, Firenze

19 maggio 2022 / 17 aprile 2023

Wanda Miletti Ferragamo dal 1960 fino alla sua scomparsa, il 19 ottobre 2018, è stata la guida del brand Salvatore Ferragamo, cercando sempre un equilibrio tra la dimensione lavorativa e la famiglia. Nell’agosto del 1960, alla morte del marito, decide di non chiudere l’azienda ma anzi di trasformare un laboratorio artigianale di calzature da donna in una casa di moda, dove i figli possano dare continuità a quel solco di innovazione e creatività iniziato dal marito Salvatore. Donna riservata, Wanda Ferragamo non amava parlare di sé e ostentare i successi raggiunti. Per questo motivo è stato deciso di onorarne la memoria con una mostra che esaminasse la complessa realtà femminile in Italia tra gli anni Cinquanta e Sessanta, periodo in cui Wanda ha cambiato la propria vita. Sono gli anni del “miracolo economico”, contrassegnati da una profonda trasformazione del Paese, nel quale le donne si affacciano ai diversi settori della società, contribuendo alla costruzione dell’Italia repubblicana. Sono donne alla ricerca di nuovi modelli di esistenza che continua a interrogare il nostro presente, come dimostrano le interviste raccolte in un documentario in mostra.

 Il percorso espositivo, attraverso oggetti, abiti, opere d’arte, filmati, fotografie, intende così tratteggiare le attività e le scelte di donne di età diversa, anche in ambiti lavorativi fino ad allora riservati quasi esclusivamente agli uomini: donne delle professioni, dell’arte, della cultura, della politica e del lavoro che attraverso le loro esperienze personali illuminano la più lunga rivoluzione dell’età contemporanea, quella che ha segnato la fine della separazione dei ruoli sessuali.

Sito Museo Ferragamo

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17 MARZO. CELEBRAZIONE DELL’UNITÀ D’ITALIA, DELLA LIBERTÀ E DEMOCRAZIA

01/03/2023 da Sergio Casprini

Il 17 marzo (Giornata dell’Unità nazionale), il 4 novembre, il 25 aprile e il 2 giugno sono le date fondamentali della nostra storia. Le prime due segnano la conclusione del processo risorgimentale con l’affermazione dell’Unità e dell’Indipendenza dell’Italia, le altre due la riconquista della libertà del nostro Paese e la sua trasformazione in repubblica democratica, sancita dal voto popolare.

Celebrare queste ricorrenze permette di perpetuare i valori e gli ideali del Risorgimento e della Resistenza consegnandoli ai giovani cittadini di oggi, ma rafforza anche la nostra identità nazionale e la coesione sociale. Tanto più questo è necessario in un periodo di smarrimento degli italiani, dovuto alla vicenda tragica della pandemia, allo shock del ritorno della guerra in Europa per l’aggressione della Russia all’Ucraina, alle contrapposizioni ideologiche spesso prive di vera attenzione all’interesse generale, alla crisi dell’etica pubblica. Sono, insomma, date costitutive di quella religione civile che in tutto l’occidente democratico salvaguarda la memoria storica e l’identità politico-culturale di ogni paese, come il 14 luglio in Francia o il 4 luglio negli Stati Uniti.

Dal 2013 con una Circolare della Presidenza del Consiglio dei ministri è stata istituita come solennità civile la data del17 marzo – “Giornata dell’Unità nazionale, della Costituzione, dell’inno e della bandiera”da celebrare in ogni città italiana, nei quartieri, nei luoghi istituzionali e soprattutto nelle aule scolastiche. Nei fatti, dopo i festeggiamenti del 2011 per i 150 anni dell’Unità nazionale e nonostante che le scuole siano invitate a programmare momenti di riflessione in proposito, l’attenzione sul significato di questa data progressivamente si è persa tra gli italiani di ogni età.

Per le nuove generazioni la scuola è il luogo non solo della formazione culturale, ma anche di una prima maturazione politica, con l’acquisizione degli strumenti di comprensione critica della realtà sociale in cui vivono, a partire da un’adeguata conoscenza storica del loro Paese.

Dovrebbe essere compito quindi delle scuole ricordare agli studenti che il 17 marzo 1861 nacque l’Italia, a conclusione di alcuni decenni di ideali e di sacrifici tendenti a questo scopo. Anche perché è una storia di cui i giovani furono più volte protagonisti: basti pensare al Battaglione dei Volontari toscani a Curtatone e Montanara nel 1848, alle Camicie rosse guidate da Garibaldi, ai “Ragazzi del ‘99” che si sacrificarono sulla linea del Piave fino alla riscossa di Vittorio Veneto e agli scugnizzi napoletani che parteciparono all’insurrezione popolare con la quale, tra il 27 e il 30 settembre 1943, Napoli fu liberata dall’occupazione nazista.

Gli scugnizzi nelle 4 Giornate di Napoli

Il Risorgimento italiano è stato un lungo processo storico arrivato in un certo senso fino a metà novecento; e le date importanti come il 17 marzo servono da occasione per conoscere e comprendere meglio il passato da cui veniamo. Anche la lotta eroica del popolo ucraino contro l’aggressione russa può – se non altro – farci meglio “realizzare” (cioè percepire vividamente) la durezza delle lotte risorgimentali contro “lo straniero” e della resistenza alla distruttiva e spesso spietata invasione hitleriana.

Oggi le manifestazioni studentesche sembrano di rado all’altezza dei problemi attuali, in gran parte perché risentono di un’insufficiente preparazione culturale e soprattutto di quella storica, senza la quale non si può comprendere la complessità del mondo.  Certo è stata utile l’iniziativa ambientalista di Greta Thunberg, oggi rimpiazzata nelle cronache dagli imbrattamenti “nonviolenti” di “Ultima generazione”, con i quali però si costruisce ben poco. Per il resto, il mondo studentesco si esprime quasi solo con le ripetitive occupazioni scolastiche di minoranze faziose e ideologizzate, che conducono sgangherate battaglie contro il governo di turno e, quel che è peggio, contro il diritto allo studio della maggioranza dei loro compagni, mentre le istituzioni, prive di coerenza democratica e di fermezza, si guardano bene dal tutelarli.

Ricordare oggi il 17 marzo sia a livello istituzionale che nelle scuole e nella società civile significa quindi tenere aperto il fronte basilare delle battaglie per la libertà, la democrazia e la solidarietà umana. E questo deve continuare a essere l’impegno, se possibile con ancora più forza, di tutti i comitati e le associazioni che si ispirano ai valori risorgimentali.

Sergio Casprini

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La Nazione «pragmatica» antidoto al sovranismo

21/02/2023 da Sergio Casprini

Francesco Chiamulera Corriere della Sera 20 febbraio 2023

Uno spettro si aggira per l’Europa: il sovranismo.

Al turbolento decennio delle nuove destre è dedicato il saggio del politologo dell’Università di Perugia Alessandro Campi. Una delle premesse del Il fantasma della nazione Per una critica del sovranismo è che un un po’ tutta «la variopinta compagnia filosofica contemporanea» ci ha descritto la nazione come un costrutto artificiale, moribondo; ma allora come spieghiamo la sua residua capacità di sbancare le urne in Usa come in India, in Svezia come Polonia, in Italia con il primo governo di destra-centro? Lasciamo quindi da parte il giudizio dello storico Hobsbawm, che la considerava un passaggio transitorio: magari in futuro andrà così, ma per ora, scrive Campi, il ventunesimo secolo, dalla Catalogna e Scozia al Kurdistan, mostra che la nazione è viva. E lotta insieme a noi. Proprio il conflitto in Ucraina non è solo uno scontro tra totalitarismo e democrazia, ma tra il «principio imperiale» della Russia di Putin, impegnata a fare quello che sempre fanno gli imperi, cioè invadere e assoggettare, e il «principio nazionale» degli ucraini. Che al grido di Slava Ukraïni! lottano per difendere il diritto all’autodeterminazione. La questione però si complica, se si vuole capire «cosa sia esattamente la nazione dal punto di vista di coloro che continuano a difenderla alla stregua di un’eredità storica da rivendicare con orgoglio. Si può ancora offrirne una concezione chiusa, organicistica e totalizzante, come si è fatto spesso in passato?» No. Soprattutto: possono i sovranisti, con la loro retorica che santifica il popolo come sempre buono, giusto e moralmente probo, proporsi come interpreti credibili di questa idea? Tanto meno. Perché se il nazionalismo, pur con tutti i suoi infiniti limiti (e macerie e morti), era animato almeno da una spinta di progetto, secondo Campi il sovranismo (in Italia rappresentato soprattutto dall’esperimento di coalizione gialloverde nel 2018/19) è veramente un affare di modesto calibro. Più che un’ideologia nel senso nobile del termine è «l’espressione di un umore collettivo, di un sentimento di massa segnati da una sensazione di decadenza, debolezza e incertezza, è la traduzione dell’angoscia e dello smarrimento provocati dal mondo globalizzato». Il sovranismo è difensivo e protezionista. Con i suoi vaghi appelli per il made in Italy in un mondo «segnato irreversibilmente dalla libera circolazione delle merci» è più dannoso che utile. Ignorando i vincoli che legano l’Italia «all’Europa, agli Stati Uniti e all’Occidente» dimentica gli interessi della nazione. E mentre il giudizio sul governo Meloni sembra rinviato, Campi identifica infine l’unica «nazione possibile»: quella che vada al di là della retorica alla Rousseau, ma anche di triadi intrinsecamente violente (perché imposte) come Dio, patria e famiglia.

Una nazione «pragmatica», «funzionale», aperta al mondo, che risponda alle esigenze dei cittadini mentre essi si riconoscono in essa conciliando diritti e doveri. Resta solo da trovarla.

Il fantasma della nazione

Autore Alessandro Campi

Editore Marsilio

Pag.      208

Prezzo  € 15

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il Comitato Fiorentino per il Risorgimento
è associato al Coordinamento nazionale Associazioni Risorgimentali FERRUCCIO

L’editoriale del direttore

17 MARZO. CELEBRAZIONE DELL’UNITÀ D’ITALIA, DELLA LIBERTÀ E DEMOCRAZIA

Video

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