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Risorgimento Firenze

Il sito del Comitato Fiorentino per il Risorgimento.

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I luoghi

Giardino delle Rose

22/04/2022 da Sergio Casprini

Viale Giuseppe Poggi 2 Firenze

Il Giardino delle Rose a Firenze è un parco nella zona di Oltrarno sottostante al piazzale Michelangelo verso ovest, in viale Giuseppe Poggi. Il giardino è aperto ogni giorno dell’anno (eccetto Natale e Capodanno) dalle 9 del mattino al tramonto. Fu realizzato nel 1865 dallo stesso architetto del piazzale, Giuseppe Poggi su incarico del Comune di Firenze quando progettò il Piano urbanistico per Firenze Capitale. Copre circa un ettaro di terreno terrazzato dal quale si gode una splendida vista panoramica della città, racchiuso fra l’attuale viale Poggi, via di San Salvatore, e via dei Bastioni.

Già appartenuto a una villetta di proprietà della Congregazione di San Filippo Neri e denominato “podere di San Francesco”, venne poi spartito a terrazzamenti da Attilio Pucci che utilizzò la sua posizione e i muri di sostegno delle terrazze per dar vita ad una collezione di rose. Nel 1895 il giardino venne aperto al pubblico durante la Festa delle Arti e dei Fiori che la Società di belle arti e la Società italiana di orticoltura iniziarono a tenere ogni mese di maggio. Costruito secondo il modello alla francese ha un ambiente naturale bucolico, ma allo stesso tempo razionalizzato. Di particolare interesse è l’impianto di irrigazione, formato da una cisterna posta in alto, in prossimità del piazzale, e da una conduttura che porta l’acqua fino alle numerose prese in giardino.

Nel 1998, il giardino si è arricchito di uno spazio donato dall’architetto giapponese Yasuo Kitayama, un’oasi giapponese Shorai, donata a Firenze dalla città gemellata di Kyoto e dal tempio Zen Kodai-ji.

Dal settembre 2011 il Giardino delle Rose ospita dieci sculture in bronzo e due gessi dell’artista belga Jean Michel Folon, grazie alla donazione fatta dalla vedova dell’artista al Comune di Firenze.  Oggi il giardino conta circa 1000 varietà botaniche con ben 350 specie di rose antiche.

Jean Michel Folon Partir 2005

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Battaglia di Ponte dell’Ammiraglio a San Pier Scheraggio

17/02/2022 da Sergio Casprini

Settant’anni Guttuso dipingeva la «Battaglia di Ponte dell’Ammiraglio», oggi al museo degli Uffizi di Firenze

Chiara Dino Corriere Fiorentino 16 febbraio 2022

Sulla sinistra riverso a terra c’è il suo autoritratto. Renato Guttuso si rappresentava così, 70 anni fa, quando lavora alla Battaglia di Ponte dell’Ammiraglio per la Biennale di Venezia del 1952. Come un garibaldino, partecipe, con le truppe del generale, allo scontro contro i Borbone che vide vittoriosi i Mille sul punto di conquistare Palermo. Non solo, avrebbe scritto lui stesso in una lettera pubblicata dall’Espresso il 10 gennaio 1965: «Nel gruppo dei Garibaldini, in alcune teste, più per mia comodità di sentire viva e vicina una vicenda storica, che per altro, mi sono servito di somiglianze con garibaldini di Spagna e della Resistenza. Tra essi Luigi (e non Giuseppe) Longo, Pajetta, Vidali, Trombadori, e un paio di autoritratti (il contadino morto sul carretto sfasciato) e un altro che voleva essere un omaggio a mio nonno Ciro Guttuso, il quale aveva partecipato allo scontro di Ponte Ammiraglio» (è il garibaldino con la spada sguainata al centro della tela ndr.).

L’opera, un manifesto del realismo storico del pittore siciliano, che cita con linguaggio differente la Guernica di Picasso, arrivò agli Uffizi, nel 2004, su proposta di Antonio Natali, allora direttore del Dipartimento dell’Arte Contemporanea, che chiuse l’affare con Farsetti Arte per 750 mila euro convincendo la casa d’aste a non metterla all’incanto. E con il sostegno dell’allora direttore Antonio Paolucci. «Era il 2004 — ricorda Natali — in Galleria c’era già, dall’83, donata da Franco Muzzi, la Battaglia di San Martino di Corrado Cagli, (con l’esercito piemontese, guidato da Vittorio Emanuele che, supportati dalle truppe di Napoleone III, nel 1859, sconfigge gli austriaci dell’imperatore Francesco Giuseppe ndr.). Quando vidi la monumentalità dell’opera pensai che il suo posto fosse in San Pier Scheraggio, di fronte all’altra battaglia. Per il suo messaggio civile, per la celebrazione della laicità della Stato, ritenevo necessario che fosse disponibile al godimento pubblico».

In effetti il tema politico nella tela del maestro di Bagheria è evidente. Il suo settantesimo anniversario è una buona occasione per ricordarne le implicazioni e per ritornare anche sulle polemiche che generò quando arrivò in Biennale. «L’opera usa la vicenda dei Mille per riportare quell’eroismo rivoluzionario alla contemporaneità. Guttuso si serve del Risorgimento per parlare della Resistenza — continua Natali — Siamo negli anni ’50, le lotte di liberazione sono vicine ma c’è già chi vuole mettere il silenziatore su quella storia. Penso che, sebbene la giubba rossa fosse il colore dei Mille, la tonalità così accentuata fosse un manifesto politico». Non a caso tre anni dopo una nuova versione della Battaglia sarebbe stata commissionata dal Pci per le Frattocchie. E non a caso sia Guttuso che Pajetta avevano partecipato alle lotte partigiane. Il doppio legame anche personale con l’opera è manifesto, ma c’è dell’altro. Per l’artista — che da tempo rappresentava le battaglie contadine siciliane — questa sarebbe stata la prima prova al cospetto della «storia nazionale» con un’opera immensa (circa tre metri per cinque).

«Per farlo si era documentato sui costumi dei soldati borbonici visitando il Museo del Risorgimento di Roma e quello di san Martino a Napoli». (Guttuso racconta come è nato il grande quadro su Garibaldi sul Corriere della Sera, 20 dicembre 1982). E aveva lavorato producendo decine di disegni e bozzetti preliminari a Villa Massimo a Roma dove risiedeva. Ma soprattutto inseriva quest’opera in quella che, in un saggio sull’opera che Chiara Perin ha pubblicato sull’Uomo Nero, individuava come una scelta consapevole e di partito. «Nel 1951— scrive la studiosa — inscenare l’epopea nazionale significava adeguarsi al processo di appropriazione dell’immagine politica e iconografica di Garibaldi che la sinistra italiana stava conducendo da oltre una decade. Come i patrioti risorgimentali avevano sconfitto le potenze straniere e poi i partigiani l’esercito nazifascista, ora gli italiani erano pronti a spingere ogni forma di ingerenza». Che in questo caso era l’imperialismo statunitense per Perin. Le ragioni delle polemiche vanno cercate, però, per Natali oltre il messaggio politico dell’opera. «La tela in cui si riconoscono anche la sagoma del monte Pellegrino e un carretto siciliano, era espressione di un realismo violento e titanico che si contrapponeva all’astrattismo classico di autori come il Nativi e il Berti. E su questi due linguaggi figurativi allora in Italia si dibatteva parecchio». Quell’opera vale la pena di rivederla. Quando finiranno i lavori in corso in San Pier Scheraggio.

Interno di San Pier Scheraggio

La battaglia di Guttuso a destra e quella di Cagli a sinistra 

 

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LA LOGGETTA PLATONICA

20/01/2022 da Sergio Casprini

Via Aselli , Ponte nuovo a Careggi, Firenze

La loggetta faceva parte del Giardino di Ponente della Villa Medicea di Careggi che Lorenzo il Magnifico scelse come sua residenza preferita.

La Villa Medicea di Careggi in una stampa di Giuseppe Zocchi 1774

Per volere di Cosimo il Vecchio nel 1459, con Marsilio Ficino, fu istituita l’Accademia Platonica di cui facevano parte eminenti personalità dell’epoca quali Pico della Mirandola, Cristoforo Landino, Nicola Cusano, Leon Battista Alberti, Agnolo Poliziano, Bartolomeo Scala ed altri. Si venne così a creare un centro culturale artistico d’eccellenza e proprio nei pressi della loggetta si riunivano i membri dell’Accademia per disquisire di importanti tematiche che avevano grande influenza sulla vita e sull’arte. All’inizio del 1900 la loggetta entrò a far parte dei terreni dell’ospedale e tutt’oggi appartiene all’Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi. Si ipotizza che la costruzione originaria sia di epoca quattrocentesca, con rifacimenti successivi.

La loggetta si trova al termine di una viottola, parzialmente ricostruita, che dalla Villa conduceva appunto alla costruzione, la cosiddetta “porta sul Terzolle“. Si tratta di una struttura semplice costituita da un muro con nella parte superiore una merlatura che ricorda quella del corpo centrale della Villa; nella parte centrale c’è una porta in passato coperta da una tettoia.

Lo stato attuale della Loggetta Platonica

 

 

 

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Pieve di San Pietro

14/11/2021 da Sergio Casprini

Gropina, Loro Ciuffenna- Arezzo

La pieve, già ricordata nel 774, costituisce uno degli esempi più alti dell’architettura romanica in Toscana: nel sottochiesa si trovano i resti di una prima chiesa (V-VI secolo) e di una seconda a due navate (VIII-IX secolo). La tradizione popolare ne attribuisce la fondazione alla duchessa di Toscana Matilde di Canossa.

La chiesa, che ha un impianto basilicale  a tre navate con abside semicircolare, ha all’interno una  decorazione  particolarmente ricca: di grande interesse un pulpito di epoca tardo-longobarda (datato all’anno 825) scolpito con figure zoomorfe e motivi geometrizzanti.

Il programma iconografico dei capitelli è una vera “enciclopedia sacra” con evidente intento didascalico: vi sono raffigurate infatti scene tratte dall’Antico e Nuovo Testamento.

All’esterno dalla facciata sobria, con portale, tre monofore e copertura a salienti, si arriva all’abside, maggiormente decorata, dove spicca l’originale motivo a doppie arcate cieche, spartite da lesene. Da notare nel centro le due colonne tortili che ripropongono il disegno del pulpito all’interno.

 

 

 

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Andare per la Linea Gotica

09/11/2021 da Sergio Casprini

Autore  Andrea Santangelo

Editore  Il Mulino

Collana  Ritrovare l’Italia

Anno    2021

Pagine   160

Prezzo   € 12,00

 

La grande muraglia italiana La Linea Gotica – l’articolato sistema difensivo tedesco che sbarrò agli eserciti alleati provenienti dal Sud l’accesso alla pianura padana – fu teatro, tra la primavera del 1944 e l’estate del 1945, di immani tragedie belliche. Dei 320 km di muraglia che partiva da Pesaro e finiva a Marina di Massa, vengono suggeriti cinque itinerari condotti seguendo la cronologia degli eventi. Dalla grande battaglia per Rimini alla strana guerra nelle aree umide del Ravennate e del Ferrarese; dai cruenti combattimenti per la liberazione del Bolognese e dell’Imolese alla Garfagnana, zona dell’ultima offensiva tedesca e fascista, per giungere infine al ricordo delle terribili stragi nazifasciste di Sant’Anna di Stazzema e Monte Sole. Arricchito da testimonianze storiche di coloro che ne serbano ancora un vivo ricordo, il volume è un ideale viatico anche per chi intende intraprendere il cammino in uno dei più affascinanti paesaggi appenninici, prodigo, tra l’altro, di qualità storico-naturalistiche ed enogastronomiche.

Andrea Santangelo, laureato in Storia antica, ha lavorato come archeologo, editor e direttore editoriale per case editrici specializzate. Appassionato di storia militare, in questo campo ha al suo attivo una decina di monografie e centinaia di articoli. Tra le sue ultime pubblicazioni: Operazione Compass. La Caporetto del deserto (Salerno, 2012), Facciamo l’Italia (Palabanda Edizioni, 2013). Nel 2019 scrive con Lia Celi Le due vite di Lucrezia Borgia (UTET).

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La Linea Gotica e la tenace risalita degli alleati

Eliana de Caro Il Domenicale del Sole 24 ore 7 novembre

…. la narrazione del passato, ricorda l’autore, passa attraverso la conoscenza del territorio: perchè la storia sia compresa veramente, ” deve essre vissuta” sui luoghi dov’è passata, là si poter “sentire” dove si è sedimentata e dove ha lasciato evidenti tracce di sé.  Ecco perché è importante la cultura del viaggio non meno di quella “tradizionale”. Lungo la Linea Gotica se ne ha una compiuta dimostrazione.

Toscana: La Linea Gotica a Borgo a Mozzano

 

 

 

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Villa Oppenheim

21/10/2021 da Sergio Casprini

Viale Niccolò Machiavelli 18 Firenze

Altre denominazioni: Villa Cora, Grand Hotel Villa Cora, villino Eugenia.

La villa, con le sue pertinenze ed il suo giardino, è da considerare l’emergenza architettonica più significativa di questo primo tratto del viale dei Colli, oltre a risultare una delle poche pienamente apprezzabili dallo stradone, alla cui bellezza contribuisce non poco andando a collocarsi in una grande ansa confinante con gli spazi verdi del Bobolino, in posizione preminente rispetto all’asse viario.

Sappiamo come il lotto di terreno fosse stato acquistato dal barone Gustavo Oppenheim (Gustav Adolphus barone Oppenheim) nel 1869, a seguito del suo matrimonio con la nipote del banchiere fiorentino Carlo Fenzi e come, dopo aver tentato inutilmente di coinvolgere lo stesso Giuseppe Poggi nella progettazione della residenza, ci si fosse poi affidati all’architetto Pietro Comparini Rossi che portò a conclusione l’impresa nel 1872, proponendo un edificio di stile neorinascimentale ovvero, come proprio del gusto altoborghese del tempo, ispirato alla tradizione aulica cinque secentesca locale.

Villino Oppenheim( viale dei colli Firenze) Prof. Pietro Comparini Architetto

“All’architetto Pietro Comparini Rossi, formatosi presso lo studio di Giuseppe Poggi, si deve il progetto generale del complesso e l’impianto dei prospetti esterni. Gli interni, dominati da un gusto eclettico proprio del tempo ma relativamente in sintonia con il gusto poggiano, sono dell’ingegnere torinese Edoardo Gioia, che al Comparini succedette nell’ultima fase dei lavori. Nel 1876 l’edificio fu abitato per nove mesi dall’ex imperatrice di Francia Eugenia Bonaparte con il figlio Napoleone. Dopo che nel 1879 era stata residenza del sovrano egiziano Ismail Pascià, la villa passò di proprietà della ricchissima baronessa russa Nadiezda von Meck, grande amica di Ciaikovskij (il quale abitava nella vicina via di San Leonardo); presso di lei, nel 1880, fu il giovanissimo Claude Debussy, in quegli anni entrato a far parte del trio personale della baronessa. Dopo essere stata dei Cora e dei Bastogi oggi, restaurata con cura e rispetto della storia del luogo, la villa è Grand Hotel.

Si notino i bei cancelli in ghisa fusi dalle officine Lorenzetti di Pistoia su disegno dell’intagliatore Francesco Morini, al quale tra l’altro si devono i fastosi arredi neorinascimentali della sala da pranzo” (Paolini 2004).

La facciata principale che guarda al viale si mostra organizzata su due alti piani per cinque assi, con la zona centrale leggermente aggettante ed evidenziata da due rampe di scale in aderenza agli assi laterali che conducono a una terrazza balaustrata dalla quale si accede ad un grande salone in stile neorococò, già sala da ballo. Al piano superiore, le tre grandi finestre corrispondenti sono incorniciate da semicolonne e da una trabeazione ionica.

La facciata posteriore (che è quella dove è l’accesso all’attuale albergo) replica lo stesso disegno con alcune semplificazioni, ma si arricchisce di una elegante marquise in ghisa e cristalli, funzionale a fornire un passaggio coperto dalla strada carrozzabile alla villa.

Negli spazi interni le sale presentano affreschi e decorazioni dovute a Angelo Pietrasanta, Ernesto Bellandi e Luigi Samoggia. Da segnalare inoltre la bella figura femminile posta sul caminetto in bianco di Carrara del salottino terreno (ora denominato Sala bianca), opera dello scultore Augusto Passaglia.

 

Fonte: Repertorio Architetture civili di Firenze. Palazzo Spinelli on line

Scheda a cura di Claudio Paolini

 

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Una Memoria della Grande Guerra a Firenze

19/09/2021 da Sergio Casprini

Via Kyoto

Quartiere di Gavinana

NEL CINQUANTENARIO DELLA VITTORIA

QUESTO FRAMMENTO DEL CARSO

TRIESTE

CON FRATERNO AMORE DONAVA

AUGURIO DI PROSPERITA’ E DI PACE

 

NOVEMBRE 1918/ NOVEMBRE 1968

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VILLA PAOLINA

04/09/2021 da Sergio Casprini

Via di Castello 66, Quinto Alto, Sesto Fiorentino

La villa, nel XV secolo di proprietà della famiglia fiorentina Petrucci, poi nel 1553 venne ceduta ad Antonio Torrigiani, che possedeva altre ville nella zona. Nel 1659 fu acquistata da Benedetto Dragomanni e nel 1825 divenne di proprietà del Principe venne acquistata dal Principe Camillo Borghese nel 1825. L’edificio verrà indicata d’ora in poi come Villa Paolina, in onore della moglie di Camillo, la principessa Paolina Bonaparte Borghese, sorella di Napoleone.

Esempio unitario di villa in stile neoclassico, la residenza di campagna venne completamente ristrutturata, tra il 1826 ed il 1831, su progetto dell’Ingegnere Antonio Carcopino, con decorazioni di Giuseppe Bezzuoli e Francesco Pozzi, mentre le statue e i bassorilievi allegorici della facciata furono scolpiti da Aristodemo Costoli L’ingegnere fu incaricato di trasformare ed ampliare l’edificio ed i terreni circostanti in una residenza principesca corredata da un vasto parco romantico,  con una grotta artificiale, con concrezioni spugnose, un anfiteatro ed alcune statue in pietra serena. e da un giardino a parterre con aiuole fiorite.

Ingresso al parco romantico

La necessità di collegare la villa con il terreno boscoso retrostante, che diventerà l’odierno parco piantato a cipressi, lecci e castagni venne risolta con la costruzione di un ponte in ghisa e legno che attraversa l’antica via Quintigiana, mettendo in comunicazione il piano nobile della residenza con il livello sopraelevato della collina.

 

Il ponte di legno e ghisa

 

 

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La Piramide Etrusca di Bomarzo

22/08/2021 da Sergio Casprini

Il mistero della Piramide Etrusca di Bomarzo,

rimasta per secoli avvolta nella vegetazione

 

FRANCESCA MANCUSO

https://www.greenme.it/viaggiare/

 

Non occorre andare in Egitto per ammirare le piramidi. Anche negli angoli più suggestivi della nostra Italia è possibile farlo. Di recente infatti è stata scoperta una misteriosa piramide di origine etrusca nei boschi della Tuscia, nel cuore di un bosco di Bomarzo, diventato famoso per il parco dei mostri. Un luogo già di per sè affascinante ma che oggi si carica di un’ulteriore valenza artistica e storica. Bomarzo è nota soprattutto per il celebre parco caratterizzato dalle gigantesche statue e dai volti mostruose, ma anche la misteriosa piramide etrusca gioca un ruolo di primo piano.

Nascosta tra i boschi, e avvolta dalla vegetazione della Tuscia, essa venne scoperta oltre 100 anni fa, nel 1911, ma non fu mai studiata in modo approfondito dall’archeologia ufficiale. Per anni, questo luogo carico di mistero rimase abbandonato ma nel 2008 lo studioso Salvatore Fosci decise di prendersene cura, occupandosi sia della vegetazione che della manutenzione dei sentieri per raggiungerlo.

La forma del suo tronco ricorda quella degli altari religiosi ma quella di Bomarzo è una vera e propria piramide, dalla datazione ancora incerta. Tradizionalmente chiamata “sasso del predicatore” o “altare piramidale”, sorge in una zona ricchissima di reperti archeologici risalenti sia al periodo etrusco che a quello preistorico. Essa si può ammirare entrando dall’ingresso principale de La tagliata delle Rocchette. Una volta percorso tutto, occorre addentrarsi nel bosco seguendo il sentiero più grande per circa 400 metri, fino a raggiungere il doppio segnale in salita tra gli alberi. A quel punto la piramide apparirà facilmente agli occhi del visitatore attraverso le due rampe di scale. Una volta in cima, si raggiunge l’ara maggiore in cui probabilmente i sacerdoti etruschi officiavano i riti agli dei degli Inferi.

 

Sito archeologico in Italia

Indirizzo: 01020 Bomarzo- Viterbo

Telefono: 3343954883

 

Parco dei Mostri Bomarzo

 

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ANDARE PER CAFFE’ STORICI

09/08/2021 da Sergio Casprini

 Caffè Florian-Venezia

 

Autore  Massimo Ceruli

Editore  Il Mulino

Anno    2021

Pag.     141

Prezzo   € 12,00 

 

Una socialità tutta italiana: sorti sulle tracce delle coffeehouses inglesi, i Caffè italiani hanno rappresentato un’autentica rivoluzione sociale.

Caffè Pedrocchi– Padova

A differenza dei salotti aristocratico-elitari, vi si poteva infatti accedere senza essere invitati, disponendo di libertà di parola e senza distinzione di genere. Spazi incubatori della nuova società borghese e della nascente nazione, luoghi di germinazione per avanguardie artistiche e cenacoli letterari, tra i loro tavoli sono maturati anche i più importanti movimenti politici che segneranno la storia d’Italia.

Caffè Al Bicerin– Torino

L’itinerario considera quei Caffè storici che sono rimasti ancora tali, negli indirizzi e negli arredi: tra questi, il più antico, il veneziano Florian, il padovano Pedrocchi, il torinese Al Bicerin, il triestino Tommaseo, il fiorentino Gilli, il romano Antico Caffè Greco, il napoletano Gambrinus.

Caffè Tommaseo– Trieste

 Massimo Cerulo, professore di Sociologia nel Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università degli studi di Perugia e chercheur associé al CERLIS (CNRS), Université de Paris. Studia il ruolo delle emozioni nelle interazioni sociali contemporanee. È direttore della collana “Teoria sociale” per l’editore Orthotes. È orgoglioso di essersi specializzato presso la Scuola Internazionale di Alti Studi “Scienze della Cultura” della Fondazione San Carlo di Modena, sotto la guida dell’indimenticato Remo Bodei. I suoi libri in italiano più recenti sono: Andare per Caffè storici (il Mulino 2021); Giovani e social network (con E. Bissaca e C.M. Scarcelli, Carocci 2020), Sociologia delle emozioni (il Mulino 2018).

 Antico Caffè Greco-Roma

La società italiana in una tazzina di caffè 

Giulio Busi  Il sole 24 ore 8 agosto 2021

Gran Caffè Gambrinus– Napoli

Cercate la Storia, quella con la “esse” maiuscola? Per una volta, lasciate perdere biblioteche e musei, evitate le accademie e i parlamenti, e mettetevi comodi. Bevetevi un bel caffè, in uno degli splendidi locali d’epoca sparsi per l’Italia, e sfogliate un libro.  Andare per Caffè storici di Massimo Carulo contiene tutto quello che serve per gettare uno sguardo insolito sulla società italiana degli ultimi tre secoli e, soprattutto, la riflessione sul passato in un piacere conviviale.  Anche se spesso non ne siamo consapevoli, proprio qui, nell’ambito egualitario ed avvolgente dei caffè si è sviluppato uno spazio discorsivo nuovo, fondamentale per la coscienza collettiva europea…

Caffè Gilli– Firenze

 

 

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