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Risorgimento Firenze

Il sito del Comitato Fiorentino per il Risorgimento.

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I luoghi

La Villa di Quarto a Firenze

10/04/2021 da Sergio Casprini

La Villa di Quarto, o di Castelquarto, a Firenze, si trova in via Pietro Dazzi 9, nella zona collinare ai piedi del Monte Morello. La villa si trova alle spalle della chiesa di Santa Maria a Quarto e il suo parco confina con quello della Villa La Petraia.

Quarto è uno dei toponimi che ricalcano le pietre miliari romane, tra i quali il più famoso in questa zona è Sesto Fiorentino

La villa  di origine quattrocentesca nel XVII secolo ebbe una prima ristrutturazione ad opera di Alfonso Parigi, l’architetto dell’ampliamento del giardino mediceo di Boboli. Nel XIX secolo appartenne a Gerolamo Bonaparte, ex re di Vestfalia, il quale la lasciò in eredità alla figlia Matilde, sposa del principe russo Anatolij Demidoff. Fu in questo periodo che la villa assunse la struttura definitiva che si ammira anche oggi.

Emanuel Stockler. Una camera della villa nel 1853

Dopo ulteriori passaggi di proprietà nel 1908 venne acquistata dai baroni Ritter de Zahony, che ne curarono un restauro complessivo. Negli anni 80 del Novecento infine la villa fu divisa tra diverse proprietà.

Tra gli ospiti illustri si ricordano lo storico e statista francese Adolph Thiers e lo scrittore statunitense Mark Twain, la cui moglie spirò proprio in questa villa.

L’edificio ha un impianto assai semplice, con tre piani nella parte a monte, mentre dal lato sul giardino si apre una loggia ottocentesca con tre archi su colonne binate, in sostituzione di un più antico loggiato settecentesco.

L’entrata principale si trova a lato monte, con ampio portale si accede a un atrio arricchito da busti marmorei e da una volta affrescata; dall’atrio inizia una monumentale scala in pietra grigia che porta al primo piano dove si trova il salone principale, quest’ultimo alto circa 6 metri e dal soffitto voltato e affrescato con motivi ottocenteschi.

Il salone è collegato ad altre sale altrettanto grandiose e alla galleria che corre parallela al terrazzo posto sopra al portico esterno da cui si gode della vista dell’ampio giardino all’italiana e del grande prato del parco all’inglese. 

Il giardino all’italiana e la villa sorgono su un terrazzamento che li eleva sopra al restante parco all’inglese, quasi a creare una netta distinzione tra il formalismo dell’uno e la naturalità del secondo. Il giardino all’italiana è cinto da una balaustrata sormontata da statue settecentesche, lo stesso motivo è riscontrabile nel terrazzo sopra al loggiato che su questo giardino si affaccia. Sul lato sud si trova una limonaia, con due corpi rialzati che anticamente ospitavano gli alloggi della servitù. Più oltre si estende il parco ottocentesco, composto da una macchia di verde di grande suggestione che fa da sfondo all’edificio principale. È un tipico parco romantico all’inglese, con un grande prato circondato da un vialetto, con un tempietto classico che ha come scenografia alcune piante resinose e querce, un laghetto e diverse statue che lo punteggiano. 

Le specie arboree sono numerose: acero montano, ippocastano, corbezzolo, cipresso dell’Arizona, cipresso comune, ginkgo biloba, siepi di alloro, varie specie di pini, platani, lecci, farnia, quercia rossa, olmo e viburno .

 

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il Canto degli Aretini a Firenze

15/03/2021 da Sergio Casprini

A Firenze, in via di Ripoli all’altezza dell’incrocio con via Benedetto Accolti, si trova un triangolo di terreno racchiuso da una ringhiera, all’interno della quale è posta una colonna spezzata.

Questo luogo è chiamato Canto degli Aretini, ed è una sorta di enclave Aretina in terra di Firenze, a tutti gli effetti di proprietà, e sotto la giurisdizione del comune Arezzo. Questa colonna sta a ricordare la storica battaglia di Campaldino, combattuta nell’omonima piana oltre il passo della Consuma,l’11 giugno 1289. Alla battaglia, che decretò la sconfitta dei Ghibellini, Dante ventiquattrenne partecipò in qualità di feditore a cavallo. (una sorta di prima linea scelta) Un contributo decisivo alla vittoria delle truppe Guelfe lo fornì Corso Donati, che undici anni più tardi, all’incirca nel 1300,quando i Guelfi si erano divisi in due fazioni,(bianchi e neri) con un colpo di mano, rovesciò il governo Fiorentino allora in carica, e fu determinante nel causare l’esilio di Dante. La battaglia causò circa 1700 morti e 2000 feriti fra le fila ghibelline. Circa un migliaio di prigionieri feriti furono trasferiti nelle carceri fiorentine, e molti di loro morirono di stenti di li a poco. Di un centinaio di questi(dei più poveri) nessuno reclamò il corpo, cosicché furono sepolti in una fossa comune nei pressi dell’attuale via di Ripoli. La colonna fu collocata nel 1921 ( tre anni dopo la vittoria italiana nella grande Guerra, che vide uniti gli italiani di ogni campanile),per volontà del comune di Arezzo e sulla base furono scolpite le seguenti parole commemorative dettate da Isidoro del Lungo:

SVLLA VIA LUNGO LA QVALE L’OSTE FIORENTINA MOVEVA LE INSEGNE PER ANDARE IN TERRA DI NEMICI,QVESTO COSIDDETTO CANTONE DI AREZZO,CHE È DEL COMUNE GHIBELLINO PROPRIETA’,D’IGNOTA SECOLARE ORIGINE,RICEVEVA DAL VERSO IMMORTALE DEL POETA COMBATTENTE IN CAMPALDINO,MEMORIA DEGLI INFAVSTI ODII DA CITTA’ A CITTA’,OGGI NELL’ITALIANA CONCORDE POTENZA,ABOLITI PER SEMPRE.

Il poeta combattente in Campaldino è Dante Alighieri,

che ricorda la battaglia all’inizio del XXII canto dell’Inferno:

Io vidi già cavalier muover campo,
e cominciare stormo e far lor mostra,
e talvolta partir per loro scampo; 
corridor vidi per la terra vostra,
o Aretini…

 

Da Itinerari Danteschi a cura di ROBERTO NALDINI

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A tu per tu con il Sommo Poeta

24/02/2021 da Sergio Casprini

Casa di Dante
Sulle tracce, vere, presunte o false, di Dante

Mauro Bonciani Corriere Fiorentino 24 febbraio 2021

Firenze è uno scrigno infinito di storie, itinerari, aneddoti, e seguendo le orme del poeta si può scoprire la città da un punto di vista affascinante, facendo dell’anniversario dei 700 anni dalla sua morte un’occasione di arricchimento, non un evento effimero. Marco Ferri nel suo libro Emergenze dantesche (Linea edizioni), fa proprio questo, costruisce un percorso nei luoghi e nelle memorie di Dante Alighieri.

Tutto è racchiuso nel centro di Firenze, in luoghi arcinoti al turismo di massa, da piazza Santa Croce a piazza della Signoria, o agli appassionati del poeta, dalla «casa di Dante» alla vicina chiesetta dei Portinari, la famiglia di Beatrice, ma anche in biblioteche frequentate per lo più da studenti ed in «emergenze» eccentriche rispetto ai tour organizzati e alle camminate dei visitatori che hanno più tempo. C’è il Bargello, i resti della millenaria chiesa di San Pier Scheraggio nel piazzale degli Uffizi, dove secondo la tradizione Dante parlò nella sua veste di politico e uomo pubblico; prima dell’esilio naturalmente. C’è il Battistero — «il mio bel San Giovanni» della Divina Commedia — dove Dante fu battezzato, ci sono le tante lapidi con le terzine sparse per la città.

 C’è soprattutto la curiosità e la passione per la storia di Ferri, che come scrive nella prefazione Cristina Acidini crea «un originale percorso dantesco, attraversando Firenze in diciotto tappe che ci fanno muovere nello spazio ma soprattutto nel tempo. I “luoghi” di Dante Alighieri in città si sa sono noti, amati, aureolati da persistenti leggende. Terreni d’incontro e scontro fra la realtà storica e il mito, a rischio di essere usurati dalle ricorrenti soste e visite di turisti di bocca buona». Questo rischio con il libro di Ferri non esiste, anche se certo si parla del «sasso di Dante» e dei ritratti più o meno autentici, ed anzi le incursioni storiche fanno chiarezza quando possibile di miti e leggende — dubbi e miti a volte restano, ma non può che essere così — e non solo. Fanno scoprire le tante opere d’arte legate al Ghibellin fuggiasco, da Santa Maria Novella al Duomo, da Palazzo Vecchio con la maschera mortuaria di Dante citata anche da Dan Brown agli immancabili Uffizi, fino alla tomba, vuota, di Dante nella basilica Santa Croce.

Dell’autore dalla Vita Nova e della Commedia non esiste neppure un rigo autografo, ma Firenze conserva un documento preziosissimo, che il libro riporta: gli atti della sua condanna all’esilio e poi al rogo se si fosse presentato in città. Dal quel fatidico 1302 cambiò la vita di Dante e il «viaggio» di Ferri ci porta fino all’oggi, in questo caso al Calcio Storico Fiorentino e al suo corteo di figuranti in cui sfila anche la riproduzione del «libro dell’esilio», come accade anche con la Società Dantesca o la Fondazione Zeffirelli in piazza San Firenze. E raccontando la secolare tradizione delle letture di Dante in strada o gli inutili tentativi dei fiorentini di riavere da Ravenna le spoglie del grande esiliato, il libro è un itinerario per tutti su «come e dove incontrare il Sommo Poeta», che non annoia. Una guida da sfogliare e risfogliare.

 San Pier Scheraggio prima della costruzione vasariana degli Uffizi, che l’ha  incorporata

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L’accademia dei Solleciti e la maschera fiorentina di Stenterello 

14/02/2021 da Sergio Casprini

La lapide in memoria di Stenterello in via Borgo Ognissanti n 4 a Firenze

Il palazzo in via Borgo Ognissanti sulla cui facciata si trova la targa di Stenterello ospitava nel XVIII secolo all’interno l’Accademia dei Solleciti.  Il teatro, realizzato e inaugurato nel 1778 su progetto dell’architetto neoclassico Gasparo Maria Paoletti, ebbe notevole celebrità ospitando abitualmente la compagnia diretta dall’attore Luigi del Buono, inventore appunto della maschera fiorentina di Stenterello, ma non disdegnando anche la messa in scena di testi più impegnativi (qui si tenne, ad esempio, nel 1791, la prima italiana dell’Amleto di Shakespeare).  Nonostante la notorietà acquisita in ambito fiorentino il teatro, dal 1886 intitolato a Gioacchino Rossini, cessò la propria attività nel 1887.

Nel 1896 è documentato il suo utilizzo come deposito dei volumi del Gabinetto Vieusseux e, poco dopo, come sede della Chiesa Cristiana Evangelica Battista.  L’immobile fu radicalmente rinnovato nel 1908 senza che tuttavia la sala nella quale fu ricavato lo spazio destinato al culto perdesse le caratteristiche della precedente destinazione, segnata com’è da una tipica balconata teatrale ad U sorretta da colonne.

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Lo Stenterello di Borgo Ognissanti, in particolare quello recitato da Lorenzo Cannelli, era il più sboccato di tutta la città (rispetto a quelli che si esibivano al teatro Leopoldo e al teatro della Piazza Vecchia) e non erano infrequenti le impertinenti allusioni al granduca Pietro Leopoldo, tanto che spesso gli spettacoli erano sorvegliati da gendarmi che talvolta arrestavano l’attore, quando troppo insolente, portandolo a passare la notte nelle carceri del Bargello.

Stenterello, come suggerisce il nome, è magrissimo per gli stenti vissuti, pallido, traballante, popolano e povero, ironico e astuto, rappresenta l’uomo che riesce ogni volta a salvare la pelle e allo stesso tempo a criticare e polemizzare con le autorità, il tipo perfetto del fiorentino dei suoi tempi. Calze a righe, e abiti settecenteschi (pantaloni al ginocchio e parrucca) e una passione per il vino lo segnano da sempre, ma soprattutto ha la tipica ironia fiorentina che unita a una buona dose di furbizia riesce a salvarlo dai guai, immancabili nella commedia dell’arte.

E’ Pellegrino Artusi a raccontare che a Stenterello piacciono le frittelle di tondone, quelle descritte dalla ricetta 181: ”Se non sapete cosa sia un tondone, chiedetelo a Stenterello che ne mangia spesso “

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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ARCHISTAR PARLAMENTARE

04/02/2021 da Sergio Casprini

La lotteria in Piazza di Montecitorio Giovanni Paolo Pannini, 1743

Vita e opere di Paolo Comotto, specializzato in edifici democratici. A Torino, Firenze e poi Roma. Nel 1870 mise i sigilli di esproprio al palazzo del Quirinale 

MICHELE MASNERI Il Foglio Quotidiano 2 Febbraio 2021

Mentre si attende l’arrivo di Draghi, o un Conte Ter, o comunque una soluzione dalla crisi che vede il Parlamento nel lockdown più defatigante proprio mentre gli italiani si riaffacciano nelle loro zone gialle, col centocinquantesimo di Roma Capitale incombono anche gli anniversari di fondamentali architetture parlamentari. Nel 1871 fu infatti inaugurato Montecitorio, come sede della Camera dei deputati. Prima, il palazzo disegnato dal Bernini e poi citatissimo in futuro da architetti di ogni epoca, con la facciata curva e le pietre finte-sbrecciate, a simulare una casa di roccia, trionfo di ogni sublimità barocca, era stato commissionato per la famiglia Ludovisi, che non ci andò a stare mai.Fu adibito negli anni a Governatorato di Roma e direzione di polizia pontificia: ma solo coi piemontesi divenne sede del Parlamento. Ovviamente furono necessari dei restyling; fu creato soprattutto l’emiciclo, l’aula assembleare che fu costruita sul cortile; costruita in fretta e furia, per le esigenze del nuovo Parlamento, che era stato prima a Torino e poi a Firenze, seguendo i destini del Regno. Tanto frenetico era lo spostamento di capitali e di sedi istituzionali che si crearono specializzazioni, e personalità.

Centrale fu il vercellese Paolo Comotto, che per i Savoia divenne architetto parlamentare. Ingegnere in origine, si specializzò in quella strana branca delle costruzioni, che ha molto a che fare coi simboli e un po’ con la scenografia, più che con l’architettura vera e propria. Faceva dei tentativi: e non sempre i suoi setting piacevano. A palazzo Carignano a Torino, la rivista Mondo Illustrato così descriveva il parlamento subalpino: “Di ordine lombardo a una sola e ampia galleria composta di ventun arcate, molto e forse troppo elevata per le tribune dei corpi dello Stato. Una tinta grigia e verde chiaro con poche dorature”.

Il fatto è che dovette realizzarlo in soli 113 giorni, cominciando subito dopo l’incontro di Teano.

La committenza era prestigiosa ma mobile. Nel 1865, trasferita la capitale a Firenze, il Comotto si spostò e fece il suo progetto per la sala dei Cinquecento a palazzo Vecchio; ma dopo sei anni, la capitale si spostò nuovamente, per l’ultima tappa, a Roma. E lì, forse non tenendo conto del microclima, il Comotto si butta su un progetto definitivo che vede una struttura di zinco, che trasforma il cortile in una specie di serra. Rovente d’estate e gelida d’inverno: “In quella grande caldaia politica bollivano tutti i temperamenti, e tutti i caratteri delle regioni italiche si manifestavano”, scriveva Matilde Serao nella sua “Conquista di Roma”. Non c’era solo l’ardore dei deputati di nuova nomina, c’era proprio un caldo micidiale. “I siciliani si davano a quella loro foga simpatica, mescolata d’ironia e di buon senso; i napoletani gridavano e gesticolavano; i romani aspettavano, attenti, temporeggiando”. Ma nel 1893, nel pieno del dibattito parlamentare sullo scandalo della Banca romana, furono necessari degli idranti a spruzzare d’acqua fredda il tetto superconduttore; sotto, i deputati sventolano ampi ventagli – da cui la cerimonia.

Montecitorio prima versione dette comunque sempre problemi: infiltrazioni, caduta di calcinacci, crepe. Un disastro. Nel 1900 fu dichiarata pericolante. Ci pensò poi il Basile, a Novecento inoltrato, a fare il nuovo emiciclo com’è oggi (e soprattutto a trasformare il retro in una nave da crociera appunto detta il Transatlantico, dove adesso magari si potrebbe ambientare il Sanremo covidico). Il Comotto però era già morto (1897), dopo aver ricevuto un orologio d’oro dal presidente della Camera come premio per la sua lunga attività architettonico-parlamentare. Nella sua carriera ricca di peculiari incarichi immobiliari aveva anche applicato, personalmente, i sigilli al Quirinale de-vaticanizzato: era il 9 novembre 1870. 

  Ernesto Basile Il Transatlantico 

 

 

 

 

 

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Villino Bernhardt

22/01/2021 da Sergio Casprini

Via  Della Robbia 104- 106 Firenze

 

Il Villino Bernhardt, costruito sulla base di un progetto redatto nel 1871 dall’ingegnere Renato Fucini, presenta le  caratteristiche del villino ottocentesco, con tre assi su tre piani, il portone sormontato dal  balcone, il terreno con paramento in pietra e gli angoli sottolineati da bugne sfalsate.

Renato Fucini, poeta, romanziere, giornalista, era nato a Monterotondo Marittimo in provincia di Grosseto nel 1843 e  in gioventù aveva tentato anche l’esperienza della progettazione architettonica. Giunto a Firenze nel 1864 con un diploma in agraria e impiegatosi con funzioni di “ingegnere di seconda classe” al Comune di Firenze per un breve periodo svolse assistenza in alcuni cantieri di lavoro nell’ambito del piano Poggi  per Firenze Capitale e si impegnò nei progetti di un’arena sportiva e nell’unica sua realizzazione, quella del Villino Arthur Bernhard in via della Robbia.

… Se nella produzione letteraria fuciniana primeggiava il gusto del bozzettismo verista, in quella architettonica prevaleva la banale imitazione della maniera neocinquecentesca… Carlo Cresti Firenze, capitale mancata.

 Cento anni fa Renato Fucini moriva ad Empoli il 25 febbraio 1921 

Oggi il Villino Bernhardt  rispetto al progetto originario 

si presenta con gli spazi occupati sia sinistra che a destra da nuovi edifici

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La palazzina Brogi

12/01/2021 da Sergio Casprini

Lungarno delle Grazie 4/6 rosso Firenze 

La palazzina Brogi è stata realizzata dall’architetto Luigi Fusi nel 1890 circa su commissione del fotografo Giacomo Brogi che qui ebbe i propri studi; è caratterizzata da finestroni grandi e contigui, in ragione delle necessità di illuminazione dell’atelier con molta luce naturale, vista la scarsa sensibilità delle pellicole dell’epoca. L’elegante palazzina ottocentesca del Brogi, caratterizzata da un affaccio verso Via Tintori e l’Arno, è un edificio organizzato su quattro assi e sviluppato su due piani e ha una facciata sull’Arno dalla decorazione eclettica, dove spicca la serie di ampi finestroni ed un fastigio a timpano sul cornicione.

L’architetto Fusi è stato un valente professionista che operò a Firenze alla fine dell’Ottocento; fece progetti per privati e realizzò opere pubbliche, tra cui va ricordata la razionalizzazione dell’intero complesso dell’Ospedale degli Innocenti in piazza Santissima Annunziata, di cui integrò  la facciata rinascimentale con un attico inaugurato nel 1895

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Il fiorentino Giacomo Brogi è stato un fotografo del XIX secolo. All’età di 11 anni iniziò a lavorare presso l’editore Batelli e frequentò la scuola d’incisione del Perfetti. Successivamente passò a lavorare con il calcografo Achille Paris come ritoccatore. Iniziò la sua attività lavorativa di fotografo nel 1856 circa e fondò una propria ditta attorno al 1864, Edizioni Brogi Firenze, specializzata in ritrattistica e successivamente in fotografie di opere d’arte, in particolare nella riproduzione della scultura e nelle panoramiche. Eseguì diverse campagne fotografiche nelle regioni italiane e ne organizzò una importante in Medio Oriente, in particolar modo fotografando i Luoghi Santi, venendo insignito per questo ultimo lavoro di medaglia d’argento dal papa Pio IX. La Ditta Brogi partecipò nel 1873 all’esposizione di Vienna, nel 1881 a quella di Milano e nel 1889 partecipò all’Esposizione Universale di Firenze, esponendo opere fuori concorso a puro titolo di patrocinio. Alla sua morte la gestione dell’attività passò al figlio Carlo Brogi (1850-1925), uno dei promotori della Società Fotografica Italiana, e cessò nel 1950.  

 

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VEDERE PER CREDERE

06/01/2021 da Sergio Casprini

Il Padiglione del Risorgimento all’Esposizione di Torino 1884

Il racconto museale dell’Italia unita

Per fare gli italiani servirono le Gallerie

Questo è un libro di geografia, di geografia museale. Un po’ speciale però E che si muove da una serie di interrogativi. Come costruire, all’indomani dell’Unità d’Italia, un pantheon patriottico che avesse la capacità di raccontare il passato attraverso la collezione di documenti, oggetti, cimeli? In che modo alfabetizzare un popolo al culto della Patria? Erano sufficienti l’erezione di monumenti e lapidi, la titolazione di vie e piazze, la commemorazione di uomini ed eventi, per proporre “il Risorgimento come arsenale di simboli in grado di rafforzare il senso di appartenenza dei cittadini allo stato­-nazione”?…

Massimo Bucciantini Il Sole 20 ore domenica 3 gennaio 2021

 

Autore    Massimo Baioni

Editore    Viella

Anno       2020

Pag.         265

Prezzo    € 24,00 

Risorgimento, Grande guerra, Fascismo, Resistenza. Gli snodi cruciali dell’Italia contemporanea sono passati anche attraverso la loro “messa in scena” tramite oggetti, dipinti, documenti. Parte integrante del paesaggio memoriale, i musei costituiscono un dispositivo narrativo che contribuisce a plasmare una peculiare lettura e trasmissione del passato.

Il libro ricostruisce vicende ed evoluzioni dei musei storici – con particolare riferimento a quelli intitolati al Risorgimento – dagli ultimi decenni dell’Ottocento agli anni Sessanta del secolo scorso, quando il loro impianto “patriottico” mostra incrinature sempre più vistose.

Coinvolgimento delle istituzioni e ruolo dei direttori, linguaggi e tipologie degli allestimenti, battaglie politiche e ricadute sociali: l’operazione museale si rivela un osservatorio ricco di implicazioni, utile anche a decifrare l’attuale fase di ripensamento dei modelli di rappresentazione, comunicazione e uso pubblico della storia. 

Massimo Baioni (1963, Alfonsine-Ferrara), Afferisce attualmente al Dipartimento di Studi storici dell’Università di Milan . Ha insegnato Storia contemporanea all’Università di Siena dal 1996 all’aprile 2018. Nel dicembre 2013 ha ottenuto l’abilitazione a professore ordinario. È stato professeur invité all’Université Paris 8 e all’École Pratique des Hautes Études di Parigi. Dal 2000 è membro del collegio dei docenti del Dottorato in Studi umanistici, Università di Urbino. Dal 1998 è membro della direzione scientifica della rivista di storia contemporanea “Memoria e Ricerca” (Il Mulino, Bologna). È membro del comitato scientifico della rivista “Laboratoire italien”. Dirige con Fulvio Conti la collana di storia contemporanea “Le ragioni di Clio” (Pacini, Pisa).

Museo Nazionale del Risorgimento Palazzo Carignano Torino

 

 

 

 

 

 

 

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Villa Il Giullarino 

29/12/2020 da Sergio Casprini

Via Pian de’ Giullari 12 Firenze

 

La villa, situata davanti a Villa Capponi e vicini all’Osservatorio Astrofisico di Arcetri,è di origine quattrocentesca, ma venne ristrutturata nel XVI e nel XVII secolo.  All’inizio è appartenuta alla famiglia Bartolommei, tra cui discendenti merita ricordare il marchese Ferdinando, protagonista nell’Ottocento del Risorgimento toscano e primo gonfaloniere di Firenze redenta, come recita una lapide in sua memoria nel suo palazzo di via Lambertesca.

Ferdinando Bartolommei Cesare Fantacchiotti 1893 Palazzo Vecchio

Ai Bartolommei subentrò poi la famiglia Passerini, che ai primi dell’Ottocento la cedette al barone De Fabrot. Dagli inizi del Novecento ci furono ulteriori passaggi di proprietà tra famiglie di ricchi americani che restaurarono la villa ed alzarono una torretta. Nel 1938 la villa fu acquistata dal collezionista piemontese Riccardo Gualino, che vi raccolse un’importante collezione d’arte e vi morì nella primavera del 1964. Oggi è frazionata in appartamenti privati.

La villa ha un doppio ingresso. Quello al n.12 è particolarmente monumentale. Esso è composto da un piano rialzato dalla strada dove si aprono un portale, con lo stemma Bartolommei

la facciata marmorea di una cappellina e un tabernacolo dove si trova affrescato un Crocifisso, con la scritta Hyeronimus Bartolomeus restituit Anno MDCLX. Il tabernacolo ha la dimensione di una finestra, tale da far sembrare la piazzetta un cortile interno, e sul frontone è decorato dal Trigramma di Cristo entro un sole raggiante in pietra.

 

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Villa La Casaccia a Bellariva

16/12/2020 da Sergio Casprini

Lungarno Cristoforo Colombo n.1/3  Firenze

Le rive dell’Arno fin dal Quattrocento, fuori dalle mura in aperta campagna, accolsero le nobili famiglie fiorentine per i periodi estivi.  In un luogo particolare sulla riva destra del fiume, conosciuto come La Bella Riva, fu costruita Villa della Casaccia.  Già nel 1500 Leonardo da Vinci, durante le ricerche dedicate al corso dell’Arno allo scopo di progettare possibili deviazioni e regimentazioni del fiume, riportava nei suoi manoscritti tracce della Casaccia.

La villa appartenne in origine alla famiglia Alighieri per poi passare, nel Quattrocento, a una compagnia di pittori alla cui testa fu Giuliano di Jacopo, trasformandosi in bottega d’arte. Successivamente fu affittata dai Tommasi, famiglia di pittori livornesi, che qui adunarono e ospitarono noti e meno noti pittori “macchiaioli”, tra i quali spiccano Giovanni Fattori, Silvestro Lega e  Odoardo Borrani. Numerosi i dipinti che hanno per soggetto l’Arno a Bellariva furono creati in quei fervidi anni per la sua luce “speciale”; luce che si rifletteva nelle acque, conferendo al paesaggio una lucente morbidezza..

Odoardo Borrani Pescatore sull’Arno alla Casaccia 1871

Frequentatori della Villa furono anche importanti scrittori come Giosuè Carducci, Enrico Panzacchi e Anna Franchi. Il “Cenacolo di Bellariva”, così fu definita Villa La Casaccia, fu quindi importante luogo di incontro e scambio artistico e culturale.

Anna Franchi 1895 

La villa alla fine del XX secolo, dopo un accurato piano di recupero, è stata completamente rinnovata e ospita oggi un hotel 5 stelle, Le Ville sull’Arno, un  ristorante ed una SPA.

 

 

 

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