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Risorgimento Firenze

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I luoghi

A tu per tu con il Sommo Poeta

24/02/2021 da Sergio Casprini

Casa di Dante
Sulle tracce, vere, presunte o false, di Dante

Mauro Bonciani Corriere Fiorentino 24 febbraio 2021

Firenze è uno scrigno infinito di storie, itinerari, aneddoti, e seguendo le orme del poeta si può scoprire la città da un punto di vista affascinante, facendo dell’anniversario dei 700 anni dalla sua morte un’occasione di arricchimento, non un evento effimero. Marco Ferri nel suo libro Emergenze dantesche (Linea edizioni), fa proprio questo, costruisce un percorso nei luoghi e nelle memorie di Dante Alighieri.

Tutto è racchiuso nel centro di Firenze, in luoghi arcinoti al turismo di massa, da piazza Santa Croce a piazza della Signoria, o agli appassionati del poeta, dalla «casa di Dante» alla vicina chiesetta dei Portinari, la famiglia di Beatrice, ma anche in biblioteche frequentate per lo più da studenti ed in «emergenze» eccentriche rispetto ai tour organizzati e alle camminate dei visitatori che hanno più tempo. C’è il Bargello, i resti della millenaria chiesa di San Pier Scheraggio nel piazzale degli Uffizi, dove secondo la tradizione Dante parlò nella sua veste di politico e uomo pubblico; prima dell’esilio naturalmente. C’è il Battistero — «il mio bel San Giovanni» della Divina Commedia — dove Dante fu battezzato, ci sono le tante lapidi con le terzine sparse per la città.

 C’è soprattutto la curiosità e la passione per la storia di Ferri, che come scrive nella prefazione Cristina Acidini crea «un originale percorso dantesco, attraversando Firenze in diciotto tappe che ci fanno muovere nello spazio ma soprattutto nel tempo. I “luoghi” di Dante Alighieri in città si sa sono noti, amati, aureolati da persistenti leggende. Terreni d’incontro e scontro fra la realtà storica e il mito, a rischio di essere usurati dalle ricorrenti soste e visite di turisti di bocca buona». Questo rischio con il libro di Ferri non esiste, anche se certo si parla del «sasso di Dante» e dei ritratti più o meno autentici, ed anzi le incursioni storiche fanno chiarezza quando possibile di miti e leggende — dubbi e miti a volte restano, ma non può che essere così — e non solo. Fanno scoprire le tante opere d’arte legate al Ghibellin fuggiasco, da Santa Maria Novella al Duomo, da Palazzo Vecchio con la maschera mortuaria di Dante citata anche da Dan Brown agli immancabili Uffizi, fino alla tomba, vuota, di Dante nella basilica Santa Croce.

Dell’autore dalla Vita Nova e della Commedia non esiste neppure un rigo autografo, ma Firenze conserva un documento preziosissimo, che il libro riporta: gli atti della sua condanna all’esilio e poi al rogo se si fosse presentato in città. Dal quel fatidico 1302 cambiò la vita di Dante e il «viaggio» di Ferri ci porta fino all’oggi, in questo caso al Calcio Storico Fiorentino e al suo corteo di figuranti in cui sfila anche la riproduzione del «libro dell’esilio», come accade anche con la Società Dantesca o la Fondazione Zeffirelli in piazza San Firenze. E raccontando la secolare tradizione delle letture di Dante in strada o gli inutili tentativi dei fiorentini di riavere da Ravenna le spoglie del grande esiliato, il libro è un itinerario per tutti su «come e dove incontrare il Sommo Poeta», che non annoia. Una guida da sfogliare e risfogliare.

 San Pier Scheraggio prima della costruzione vasariana degli Uffizi, che l’ha  incorporata

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L’accademia dei Solleciti e la maschera fiorentina di Stenterello 

14/02/2021 da Sergio Casprini

La lapide in memoria di Stenterello in via Borgo Ognissanti n 4 a Firenze

Il palazzo in via Borgo Ognissanti sulla cui facciata si trova la targa di Stenterello ospitava nel XVIII secolo all’interno l’Accademia dei Solleciti.  Il teatro, realizzato e inaugurato nel 1778 su progetto dell’architetto neoclassico Gasparo Maria Paoletti, ebbe notevole celebrità ospitando abitualmente la compagnia diretta dall’attore Luigi del Buono, inventore appunto della maschera fiorentina di Stenterello, ma non disdegnando anche la messa in scena di testi più impegnativi (qui si tenne, ad esempio, nel 1791, la prima italiana dell’Amleto di Shakespeare).  Nonostante la notorietà acquisita in ambito fiorentino il teatro, dal 1886 intitolato a Gioacchino Rossini, cessò la propria attività nel 1887.

Nel 1896 è documentato il suo utilizzo come deposito dei volumi del Gabinetto Vieusseux e, poco dopo, come sede della Chiesa Cristiana Evangelica Battista.  L’immobile fu radicalmente rinnovato nel 1908 senza che tuttavia la sala nella quale fu ricavato lo spazio destinato al culto perdesse le caratteristiche della precedente destinazione, segnata com’è da una tipica balconata teatrale ad U sorretta da colonne.

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Lo Stenterello di Borgo Ognissanti, in particolare quello recitato da Lorenzo Cannelli, era il più sboccato di tutta la città (rispetto a quelli che si esibivano al teatro Leopoldo e al teatro della Piazza Vecchia) e non erano infrequenti le impertinenti allusioni al granduca Pietro Leopoldo, tanto che spesso gli spettacoli erano sorvegliati da gendarmi che talvolta arrestavano l’attore, quando troppo insolente, portandolo a passare la notte nelle carceri del Bargello.

Stenterello, come suggerisce il nome, è magrissimo per gli stenti vissuti, pallido, traballante, popolano e povero, ironico e astuto, rappresenta l’uomo che riesce ogni volta a salvare la pelle e allo stesso tempo a criticare e polemizzare con le autorità, il tipo perfetto del fiorentino dei suoi tempi. Calze a righe, e abiti settecenteschi (pantaloni al ginocchio e parrucca) e una passione per il vino lo segnano da sempre, ma soprattutto ha la tipica ironia fiorentina che unita a una buona dose di furbizia riesce a salvarlo dai guai, immancabili nella commedia dell’arte.

E’ Pellegrino Artusi a raccontare che a Stenterello piacciono le frittelle di tondone, quelle descritte dalla ricetta 181: ”Se non sapete cosa sia un tondone, chiedetelo a Stenterello che ne mangia spesso “

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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ARCHISTAR PARLAMENTARE

04/02/2021 da Sergio Casprini

La lotteria in Piazza di Montecitorio Giovanni Paolo Pannini, 1743

Vita e opere di Paolo Comotto, specializzato in edifici democratici. A Torino, Firenze e poi Roma. Nel 1870 mise i sigilli di esproprio al palazzo del Quirinale 

MICHELE MASNERI Il Foglio Quotidiano 2 Febbraio 2021

Mentre si attende l’arrivo di Draghi, o un Conte Ter, o comunque una soluzione dalla crisi che vede il Parlamento nel lockdown più defatigante proprio mentre gli italiani si riaffacciano nelle loro zone gialle, col centocinquantesimo di Roma Capitale incombono anche gli anniversari di fondamentali architetture parlamentari. Nel 1871 fu infatti inaugurato Montecitorio, come sede della Camera dei deputati. Prima, il palazzo disegnato dal Bernini e poi citatissimo in futuro da architetti di ogni epoca, con la facciata curva e le pietre finte-sbrecciate, a simulare una casa di roccia, trionfo di ogni sublimità barocca, era stato commissionato per la famiglia Ludovisi, che non ci andò a stare mai.Fu adibito negli anni a Governatorato di Roma e direzione di polizia pontificia: ma solo coi piemontesi divenne sede del Parlamento. Ovviamente furono necessari dei restyling; fu creato soprattutto l’emiciclo, l’aula assembleare che fu costruita sul cortile; costruita in fretta e furia, per le esigenze del nuovo Parlamento, che era stato prima a Torino e poi a Firenze, seguendo i destini del Regno. Tanto frenetico era lo spostamento di capitali e di sedi istituzionali che si crearono specializzazioni, e personalità.

Centrale fu il vercellese Paolo Comotto, che per i Savoia divenne architetto parlamentare. Ingegnere in origine, si specializzò in quella strana branca delle costruzioni, che ha molto a che fare coi simboli e un po’ con la scenografia, più che con l’architettura vera e propria. Faceva dei tentativi: e non sempre i suoi setting piacevano. A palazzo Carignano a Torino, la rivista Mondo Illustrato così descriveva il parlamento subalpino: “Di ordine lombardo a una sola e ampia galleria composta di ventun arcate, molto e forse troppo elevata per le tribune dei corpi dello Stato. Una tinta grigia e verde chiaro con poche dorature”.

Il fatto è che dovette realizzarlo in soli 113 giorni, cominciando subito dopo l’incontro di Teano.

La committenza era prestigiosa ma mobile. Nel 1865, trasferita la capitale a Firenze, il Comotto si spostò e fece il suo progetto per la sala dei Cinquecento a palazzo Vecchio; ma dopo sei anni, la capitale si spostò nuovamente, per l’ultima tappa, a Roma. E lì, forse non tenendo conto del microclima, il Comotto si butta su un progetto definitivo che vede una struttura di zinco, che trasforma il cortile in una specie di serra. Rovente d’estate e gelida d’inverno: “In quella grande caldaia politica bollivano tutti i temperamenti, e tutti i caratteri delle regioni italiche si manifestavano”, scriveva Matilde Serao nella sua “Conquista di Roma”. Non c’era solo l’ardore dei deputati di nuova nomina, c’era proprio un caldo micidiale. “I siciliani si davano a quella loro foga simpatica, mescolata d’ironia e di buon senso; i napoletani gridavano e gesticolavano; i romani aspettavano, attenti, temporeggiando”. Ma nel 1893, nel pieno del dibattito parlamentare sullo scandalo della Banca romana, furono necessari degli idranti a spruzzare d’acqua fredda il tetto superconduttore; sotto, i deputati sventolano ampi ventagli – da cui la cerimonia.

Montecitorio prima versione dette comunque sempre problemi: infiltrazioni, caduta di calcinacci, crepe. Un disastro. Nel 1900 fu dichiarata pericolante. Ci pensò poi il Basile, a Novecento inoltrato, a fare il nuovo emiciclo com’è oggi (e soprattutto a trasformare il retro in una nave da crociera appunto detta il Transatlantico, dove adesso magari si potrebbe ambientare il Sanremo covidico). Il Comotto però era già morto (1897), dopo aver ricevuto un orologio d’oro dal presidente della Camera come premio per la sua lunga attività architettonico-parlamentare. Nella sua carriera ricca di peculiari incarichi immobiliari aveva anche applicato, personalmente, i sigilli al Quirinale de-vaticanizzato: era il 9 novembre 1870. 

  Ernesto Basile Il Transatlantico 

 

 

 

 

 

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Villino Bernhardt

22/01/2021 da Sergio Casprini

Via  Della Robbia 104- 106 Firenze

 

Il Villino Bernhardt, costruito sulla base di un progetto redatto nel 1871 dall’ingegnere Renato Fucini, presenta le  caratteristiche del villino ottocentesco, con tre assi su tre piani, il portone sormontato dal  balcone, il terreno con paramento in pietra e gli angoli sottolineati da bugne sfalsate.

Renato Fucini, poeta, romanziere, giornalista, era nato a Monterotondo Marittimo in provincia di Grosseto nel 1843 e  in gioventù aveva tentato anche l’esperienza della progettazione architettonica. Giunto a Firenze nel 1864 con un diploma in agraria e impiegatosi con funzioni di “ingegnere di seconda classe” al Comune di Firenze per un breve periodo svolse assistenza in alcuni cantieri di lavoro nell’ambito del piano Poggi  per Firenze Capitale e si impegnò nei progetti di un’arena sportiva e nell’unica sua realizzazione, quella del Villino Arthur Bernhard in via della Robbia.

… Se nella produzione letteraria fuciniana primeggiava il gusto del bozzettismo verista, in quella architettonica prevaleva la banale imitazione della maniera neocinquecentesca… Carlo Cresti Firenze, capitale mancata.

 Cento anni fa Renato Fucini moriva ad Empoli il 25 febbraio 1921 

Oggi il Villino Bernhardt  rispetto al progetto originario 

si presenta con gli spazi occupati sia sinistra che a destra da nuovi edifici

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La palazzina Brogi

12/01/2021 da Sergio Casprini

Lungarno delle Grazie 4/6 rosso Firenze 

La palazzina Brogi è stata realizzata dall’architetto Luigi Fusi nel 1890 circa su commissione del fotografo Giacomo Brogi che qui ebbe i propri studi; è caratterizzata da finestroni grandi e contigui, in ragione delle necessità di illuminazione dell’atelier con molta luce naturale, vista la scarsa sensibilità delle pellicole dell’epoca. L’elegante palazzina ottocentesca del Brogi, caratterizzata da un affaccio verso Via Tintori e l’Arno, è un edificio organizzato su quattro assi e sviluppato su due piani e ha una facciata sull’Arno dalla decorazione eclettica, dove spicca la serie di ampi finestroni ed un fastigio a timpano sul cornicione.

L’architetto Fusi è stato un valente professionista che operò a Firenze alla fine dell’Ottocento; fece progetti per privati e realizzò opere pubbliche, tra cui va ricordata la razionalizzazione dell’intero complesso dell’Ospedale degli Innocenti in piazza Santissima Annunziata, di cui integrò  la facciata rinascimentale con un attico inaugurato nel 1895

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Il fiorentino Giacomo Brogi è stato un fotografo del XIX secolo. All’età di 11 anni iniziò a lavorare presso l’editore Batelli e frequentò la scuola d’incisione del Perfetti. Successivamente passò a lavorare con il calcografo Achille Paris come ritoccatore. Iniziò la sua attività lavorativa di fotografo nel 1856 circa e fondò una propria ditta attorno al 1864, Edizioni Brogi Firenze, specializzata in ritrattistica e successivamente in fotografie di opere d’arte, in particolare nella riproduzione della scultura e nelle panoramiche. Eseguì diverse campagne fotografiche nelle regioni italiane e ne organizzò una importante in Medio Oriente, in particolar modo fotografando i Luoghi Santi, venendo insignito per questo ultimo lavoro di medaglia d’argento dal papa Pio IX. La Ditta Brogi partecipò nel 1873 all’esposizione di Vienna, nel 1881 a quella di Milano e nel 1889 partecipò all’Esposizione Universale di Firenze, esponendo opere fuori concorso a puro titolo di patrocinio. Alla sua morte la gestione dell’attività passò al figlio Carlo Brogi (1850-1925), uno dei promotori della Società Fotografica Italiana, e cessò nel 1950.  

 

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VEDERE PER CREDERE

06/01/2021 da Sergio Casprini

Il Padiglione del Risorgimento all’Esposizione di Torino 1884

Il racconto museale dell’Italia unita

Per fare gli italiani servirono le Gallerie

Questo è un libro di geografia, di geografia museale. Un po’ speciale però E che si muove da una serie di interrogativi. Come costruire, all’indomani dell’Unità d’Italia, un pantheon patriottico che avesse la capacità di raccontare il passato attraverso la collezione di documenti, oggetti, cimeli? In che modo alfabetizzare un popolo al culto della Patria? Erano sufficienti l’erezione di monumenti e lapidi, la titolazione di vie e piazze, la commemorazione di uomini ed eventi, per proporre “il Risorgimento come arsenale di simboli in grado di rafforzare il senso di appartenenza dei cittadini allo stato­-nazione”?…

Massimo Bucciantini Il Sole 20 ore domenica 3 gennaio 2021

 

Autore    Massimo Baioni

Editore    Viella

Anno       2020

Pag.         265

Prezzo    € 24,00 

Risorgimento, Grande guerra, Fascismo, Resistenza. Gli snodi cruciali dell’Italia contemporanea sono passati anche attraverso la loro “messa in scena” tramite oggetti, dipinti, documenti. Parte integrante del paesaggio memoriale, i musei costituiscono un dispositivo narrativo che contribuisce a plasmare una peculiare lettura e trasmissione del passato.

Il libro ricostruisce vicende ed evoluzioni dei musei storici – con particolare riferimento a quelli intitolati al Risorgimento – dagli ultimi decenni dell’Ottocento agli anni Sessanta del secolo scorso, quando il loro impianto “patriottico” mostra incrinature sempre più vistose.

Coinvolgimento delle istituzioni e ruolo dei direttori, linguaggi e tipologie degli allestimenti, battaglie politiche e ricadute sociali: l’operazione museale si rivela un osservatorio ricco di implicazioni, utile anche a decifrare l’attuale fase di ripensamento dei modelli di rappresentazione, comunicazione e uso pubblico della storia. 

Massimo Baioni (1963, Alfonsine-Ferrara), Afferisce attualmente al Dipartimento di Studi storici dell’Università di Milan . Ha insegnato Storia contemporanea all’Università di Siena dal 1996 all’aprile 2018. Nel dicembre 2013 ha ottenuto l’abilitazione a professore ordinario. È stato professeur invité all’Université Paris 8 e all’École Pratique des Hautes Études di Parigi. Dal 2000 è membro del collegio dei docenti del Dottorato in Studi umanistici, Università di Urbino. Dal 1998 è membro della direzione scientifica della rivista di storia contemporanea “Memoria e Ricerca” (Il Mulino, Bologna). È membro del comitato scientifico della rivista “Laboratoire italien”. Dirige con Fulvio Conti la collana di storia contemporanea “Le ragioni di Clio” (Pacini, Pisa).

Museo Nazionale del Risorgimento Palazzo Carignano Torino

 

 

 

 

 

 

 

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Villa Il Giullarino 

29/12/2020 da Sergio Casprini

Via Pian de’ Giullari 12 Firenze

 

La villa, situata davanti a Villa Capponi e vicini all’Osservatorio Astrofisico di Arcetri,è di origine quattrocentesca, ma venne ristrutturata nel XVI e nel XVII secolo.  All’inizio è appartenuta alla famiglia Bartolommei, tra cui discendenti merita ricordare il marchese Ferdinando, protagonista nell’Ottocento del Risorgimento toscano e primo gonfaloniere di Firenze redenta, come recita una lapide in sua memoria nel suo palazzo di via Lambertesca.

Ferdinando Bartolommei Cesare Fantacchiotti 1893 Palazzo Vecchio

Ai Bartolommei subentrò poi la famiglia Passerini, che ai primi dell’Ottocento la cedette al barone De Fabrot. Dagli inizi del Novecento ci furono ulteriori passaggi di proprietà tra famiglie di ricchi americani che restaurarono la villa ed alzarono una torretta. Nel 1938 la villa fu acquistata dal collezionista piemontese Riccardo Gualino, che vi raccolse un’importante collezione d’arte e vi morì nella primavera del 1964. Oggi è frazionata in appartamenti privati.

La villa ha un doppio ingresso. Quello al n.12 è particolarmente monumentale. Esso è composto da un piano rialzato dalla strada dove si aprono un portale, con lo stemma Bartolommei

la facciata marmorea di una cappellina e un tabernacolo dove si trova affrescato un Crocifisso, con la scritta Hyeronimus Bartolomeus restituit Anno MDCLX. Il tabernacolo ha la dimensione di una finestra, tale da far sembrare la piazzetta un cortile interno, e sul frontone è decorato dal Trigramma di Cristo entro un sole raggiante in pietra.

 

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Villa La Casaccia a Bellariva

16/12/2020 da Sergio Casprini

Lungarno Cristoforo Colombo n.1/3  Firenze

Le rive dell’Arno fin dal Quattrocento, fuori dalle mura in aperta campagna, accolsero le nobili famiglie fiorentine per i periodi estivi.  In un luogo particolare sulla riva destra del fiume, conosciuto come La Bella Riva, fu costruita Villa della Casaccia.  Già nel 1500 Leonardo da Vinci, durante le ricerche dedicate al corso dell’Arno allo scopo di progettare possibili deviazioni e regimentazioni del fiume, riportava nei suoi manoscritti tracce della Casaccia.

La villa appartenne in origine alla famiglia Alighieri per poi passare, nel Quattrocento, a una compagnia di pittori alla cui testa fu Giuliano di Jacopo, trasformandosi in bottega d’arte. Successivamente fu affittata dai Tommasi, famiglia di pittori livornesi, che qui adunarono e ospitarono noti e meno noti pittori “macchiaioli”, tra i quali spiccano Giovanni Fattori, Silvestro Lega e  Odoardo Borrani. Numerosi i dipinti che hanno per soggetto l’Arno a Bellariva furono creati in quei fervidi anni per la sua luce “speciale”; luce che si rifletteva nelle acque, conferendo al paesaggio una lucente morbidezza..

Odoardo Borrani Pescatore sull’Arno alla Casaccia 1871

Frequentatori della Villa furono anche importanti scrittori come Giosuè Carducci, Enrico Panzacchi e Anna Franchi. Il “Cenacolo di Bellariva”, così fu definita Villa La Casaccia, fu quindi importante luogo di incontro e scambio artistico e culturale.

Anna Franchi 1895 

La villa alla fine del XX secolo, dopo un accurato piano di recupero, è stata completamente rinnovata e ospita oggi un hotel 5 stelle, Le Ville sull’Arno, un  ristorante ed una SPA.

 

 

 

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Villa Albizi o del Teatro a Fiesole

09/12/2020 da Sergio Casprini

Villa Albizi via Vecchia Fiesolana  n. 70 Fiesole

La villa fu costruita nel 1772 su disegno di Zanobi del Rosso, che nel 1765  era stato nominato architetto delle fabbriche reali ai tempi del granducato dei Lorena.  Tra le opere che aveva realizzato vanno ricordati diversi  edifici per lo svago della Corte granducale, tra cui  il Kaffehaus a Boboli uno dei migliori esempi di stile rococò a Firenze. 

In questa villa ebbe la sua residenza l’Accademia dei Generosi, fondata da Giuseppe Nelli e Alberto Micheli  nell’aprile 1771 con l’intento di promuovere la cultura e condividere il piacere delle arti . Con l’aiuto di architetti, pittori e artisti, l’Accademia dei Generosi in pochi anni eresse un vero teatro: la stampa dell’epoca racconta che, in circa venti anni di attività si allestirono spettacoli teatrali e musicali, tra i quali L’idolo cinese di Giovanni Paisiello e l’intermezzo L’amore artigiano (oggi perduto) del giovanissimo Luigi Cherubini, l’Eugenie di Racine, concerti e feste da ballo.

Una scena dell‘Idolo cinese

Agli inizi del Novecento, Luigi Albizzi, proprietario dell’edificio trasformato in residenza agli inizi dell’Ottocento, volle far rivivere l’Accademia dei Generosi e i luoghi che la videro nascere, organizzando concerti e feste da ballo di cui si conservano foto, programmi e inviti. Da un punto di vista architettonico la villa non ha elementi di particolare interesse, eccezion fatta per il piccolo ma curato giardino, che si estende come una terrazza davanti alla facciata.

 Una lapide vicino al cancello di ingresso, fatta apporre da Luigi degli Albizi e dettata da Giovanni Rosadi ricorda come qui, nell’autunno del 1775, fu messa in scena l’opera L’idolo cinese di Giovanni Paisiello, raffigurato sul medaglione in terracotta oggi quasi illeggibile.

 

Giovanni Rosadi, l’autore dell’epigrafe, è stato un politico e avvocato nell’Italia post-unitaria. Laureatosi in giurisprudenza a Pisa, esercitò la sua professione di avvocato a Firenze. Esponente della destra liberale, fu deputato dal 1900 al 1924, anno in cui venne nominato senatore. Fu Sottosegretario di Stato della Pubblica istruzione nei diversi governi che si sono succeduti dal 1914 al 1921.  Fu precursore dell’ambientalismo e fu l’artefice – insieme a Benedetto Croce – della prima legge sulla protezione del paesaggio in Italia.

 

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Villino Coppini

29/11/2020 da Sergio Casprini

Viale della Giovine Italia 1 Firenze

 

L’edificio presenta le caratteristiche proprie della villa, seppure di dimensioni contenute, con i fronti mossi e articolati da portici e terrazze, tutti arretrati rispetto alla linea stradale in modo da lasciare spazio a un breve giardino che lo circonda su tutti i lati.

 

Sulla base dei disegni pubblicati sul periodico “Ricordi di Architettura” il villino è riconducibile all’attività dell’architetto Pietro Berti, già attivo con varie realizzazioni su committenza alto borghese nelle nuove zone segnate dall’espansione edilizia della seconda metà dell’Ottocento sia sui lungarni sia sui nuovi viali a partire dal Piano di Giuseppe Poggi di ingrandimento e risanamento della città negli anni di Firenze Capitale.  La datazione è documentata dall’iscrizione nei cartigli posti in prossimità del fronte di via Pietro Thouar, con la scritta “Anno D. MDCCCXC“.

 

 Si tratta comunque di una fabbrica decisamente signorile, eretta con sfarzo e volontà di segnare con la propria presenza la zona, anche facendo ricorso ad elementi decorativi di pregio. Si vedano ad esempio (per quanto consentono di osservare le fronde degli alberi), gli scudi con le insegne di Firenze e le statue allegoriche femminili poste agli angoli alti dell’edificio, in capienti nicchie

 

Attualmente il villino dopo un recente restauro è tornato al decoro originario ed è sede della Banca Generali Private

Fonte. Repertorio delle architetture civili di Firenze. Palazzo Spinelli

 

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Berti Pietro, architetto toscano, residente a Firenze, ove studiò all’Accademia di Belle Arti. Vinse diversi premi. Costruì la chiesa russa; una villa a Tula per il principe Galitzin; la tribuna delle Cascine; restaurò la sala di guardia del palazzo Strozzi a Firenze

Angelo Gubernatis Piccolo Dizionario dei contemporanei italiani Roma 1895

 

RICORDI DI ARCHITETTURA 

TIRATOIO DELL’ARTE DELLA LANA FIRENZE 1878 PIETRO BERTI

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