Palazzina della Meridiana Palazzo Pitti Firenze
Con le nuove otto sale completato l’allestimento dal Settecento ai primi anni Duemila della preziosa collezione di abiti e accessori nel Museo della moda, fondato nel 1983
L’intuizione (efficace) del direttore del complesso degli Uffizi, Simone Verde, è quella di contestualizzare gli abiti scelti per le nuove otto sale del Museo della Moda di Palazzo Pitti all’interno di una riflessione aperta anche all’arte figurativa, accostando look femminili a quadri che in essi si rispecchiano.
Riaperto ieri, dopo quattro anni di stop — e un parziale allestimento firmato da Eike Schmidt a pochi giorni dalla data di scadenza dalla carica di direttore, con abiti novecenteschi e contemporanei — presenta una carrellata di vestiti e di accessori che coprono un arco temporale di storia del costume ricompreso tra il XVIII e il XX secolo. E, accorgimento non previsto da Schmidt, propone al visitatore non solo abiti, scarpe, borse, corsetti, cappelli, ventagli e soprabiti ma anche tele e tavole con cornici coeve scelte per dialogare con il mondo della moda. Verde sottolinea la scelta spiegando di aver voluto mostrare «la risonanza tra mondo dell’arte e della moda, per dare una visione più complessa di quella strettamente settoriale» precedentemente proposta.
In effetti il ping-pong tra i due linguaggi creativi, i rimandi, le consonanze stilistiche abbattono barriere, fanno vedere come in ogni epoca tutto si tiene, e quanto una disciplina, l’arte e la moda in questo caso — ma ci starebbero bene anche citazioni libresche, musiche e quant’altro nasca dall’intelletto umano — rispondano a esigenze che hanno a che fare con la storia e col suo dipanarsi nel tempo. Il modello preso in prestito sembra essere più quello del Victoria and Albert Museum di Londra che quello del Galleria di Parigi che aveva tanto sollecitato il precedente direttore da averlo indotto alla prima inaugurazione dello spazio espositivo, a chiamare come curatore dell’allestimento dell’allora «Museo effimero della Moda» Oliver Saillard, allora alla guida del tempio della moda parigino.
Ma andiamo ai contenuti di queste 8 nuove sale forti di una ventina di abiti di alta sartoria più altrettanti accessori alcuni disposti in teche antiriflesso. L’incipit ci porta in pieno Settecento: sembra di partecipare a un gran ballo di corte a Versailles in questa prima sala che accosta abiti per lo più di manifattura italiana al bel Ritratto di Maria Luisa di Borbone, futura Regina di Spagna di Laurent Pecheux (1765). Pochi passi e siamo in pieno stile napoleonico: il punto vita si alza, appare un vaso in preziosa manifattura viennese e su tutto veglia Madame Rouillard con una sorella e un’amica ritratta da Jean-Sébastien Rouillard. Siamo nel primo Ottocento. A seguire ci si trova catapultati in una sorta di cammino all’indietro. A metà Ottocento, quando l’Italia si prepara all’Unità, le dame ricorrono di nuovo ad abiti ampi sostenuti da importanti strutture che, con poche varianti, tornano anche nella sala successiva, dedicata allo stile post-unitario dove spicca un vestito da sposa in raso e gros di seta avorio di Charles Frederick Worth in dialogo con il Ritratto di Signora con vestito in Plumetis di Tito Conti (1878-80). La Belle Époque, benedetta da una Signora in bianco di Giovanni Boldini del 1902, affina le figure e ridimensiona le linee: splendido è il vestito di manifattura italiana in tela di seta nera con effetto fiammato, con intarsi a medaglioni e applicazioni di velluto bluette esposto in teca accanto a un altrettanto notevole ventaglio. Nella sesta sala, a parte l’abito verde e giallo in chiffon di seta del 1913, colpiscono i due grandi ventagli in tela di struzzo e le bellissime borsette da sera in argento di manifattura francese: una chicca. Nel primo ventennio del Novecento trionfa il Charleston: le gonne si accorciano, le donne hanno chiome alla garçonne, piume e frange impazzano. Una sala a sé stante, sempre dedicata al primo Novecento, presenta due omaggi a due grandi donne del secolo scorso: di qua c’è un largo abito blu disegnato da Mariano Fortuny per Eleonora Duse accostato al busto che alla grande artista dedicò il ferrarese Arrigo Minerbi, di là un vestito a kimono disegnato da di Jacques Doucet per donna Franca Florio accostato a un busto dello stesso Minerbi.
L’accostamento di pezzi d’arte si impone anche nelle sale già di Schmidt: c’è una Scalinata di Massimo Campigli a sovrastare quella con abiti ancora novecenteschi di Madeleine Vionnet, un Turcato in quella dedicata agli anni Sessanta, un Cagli in quella degli anni Settanta, un Burri a dialogare con i look di Federico Forquet e Valentino.
Chiara Dino Corriere Fiorentino 17 luglio 2024
Palazzina della Meridiana. Palazzo Pitti Firenze