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Risorgimento Firenze

Il sito del Comitato Fiorentino per il Risorgimento.

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I luoghi

Il Parco dell’ANCONELLA a Firenze

09/08/2020 da Sergio Casprini

Il Parco dell’Anconella si estende lungo la riva occidentale dell’Arno in zona Firenze Sud, tra il ponte di Verrazzano e quello di Varlungo. Con i suoi 30 ettari è la seconda area verde di Firenze per estensione, dopo il Parco delle Cascine.

Lo sviluppo del parco dell’Anconella è legato a quello dell’approvvigianamento  idrico della città; ai tempi di Firenze Capitale  la “Fabbrica dell’acqua” era posta davanti alla Torre di San Niccolò ed attingeva l’acqua dai serbatoi dell’ Anconella per distribuirla poi in città. Tra il 1943 ed il 1944, durante il passaggio del fronte, le truppe alleate disboscarono la zona prospiciente il fiume per destinarla ad acquartieramento militare. Sono visibili ancora nel parco le casematte militari per la difesa dell’acquedotto.  Dopo la fine della seconda guerra mondiale, nel passaggio dagli anni 40 agli anni 50, i sindaci Fabiani e la Pira collocarono all’inizio dell’Albereta un’area di appoggio e supporto ai numerosi disoccupati fiorentini, un luogo di ritrovo ed una mensa,  e furono proprio i disoccupati a provvedere alla ripiantumazione e alla bonifica della zona, che da allora cominciò ad assumere la connotazione di parco. A partire dalla metà degli anni 50, con il trasferimento degli impianti dell’acquedotto dove oggi lo vediamo e fino all’alluvione del’66, il parco dell’Albereta venne progressivamente ampliato fin a ricongiungersi all’attuale parco dell’Anconella, quindi negli anni a seguire ci furono ulteriori sistemazioni, in particolare dopo il disastroso evento meteorologico del 1 agosto 2015,  con un  progetto di riqualificazione complessiva delle specie arboree, le più adatte a sostenere eccezionali eventi climatici.

Il parco  attrezzato con un campo di calcetto, una pista di pattinaggio, panchine di legno per il picnic, giochi per i bambini, una struttura per il free climbing e servizi di piccola ristorazione, di attività ricreative e di spettacoli durante la stagione estiva.

E’ un luogo ideale per fare una passeggiata all’ombra degli alti pioppi che costeggiano la riva del fiume, oppure per fare attività sportiva, in particolare jogging, o ancora per leggere e rilassarsi magari presso uno dei laghetti.

Passeggiando nel verde e accogliente Parco dell’Anconella, a lato del sentiero che corre lungo Via di Villamagna, si nota una struttura in mattoni parzialmente scoperta e con aperture laterali. E’ la miniatura della Cupola del Duomo di Firenze, realizzata nel 2007  nell’ambito della riqualificazione del parco. Questa cupola è l’esatta riproduzione in scala 1:5 dell’originale del Brunelleschi, realizzata da uno dei massimi studiosi di Brunelleschi,  l’architetto Massimo Ricci e riproduce anche la disposizione dei singoli mattoni, sistemati a spina di pesce. La cupola si innalza solo per i due terzi della sua struttura reale, proprio per permettere ai visitatori di osservarla all’interno.  Per la sua realizzazione sono stati usate le stesse tecniche dell’epoca, come tiranti, carrucole e centine mobili come basi d’appoggio

 

 

 

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Il romantico Laghetto delle Colonne sulle colline di Firenze

19/07/2020 da Sergio Casprini

 

Il Parco Romantico della Regina

L’aristocratico inglese John Temple Leader, politico ed intenditore d’arte era nato a Londra nel 1810. Facoltoso figlio di un industriale inglese, si innamorò di Firenze e vi si stabilì dal 1844 nell’edificio di fronte a Palazzo Pitti, assieme alla moglie Maria Luisa de’ Leoni, lucchese. Nel 1850 per il suo grande amore per il medioevo comprò  e ristrutturò il Castello di Vincigliata presso Fiesole, dove ospitò la nobiltà di mezza Europa.

Il sogno di Temple nel contesto culturale e romantico dell’Ottocento fu quello di  creare un personale feudo sulle pendici di uno dei colli più belli che dominano Firenze. Temple aveva intrapreso un ampio progetto di ristrutturazione medioevale e non si limitò al solo restauro del castello. Si occupò anche dei terreni circostanti, rimboschendo le pendici della collina con un ricco sottobosco e con piante che si potessero adattare al terreno roccioso.

Fu introdotto un tipo di piantagione del cipresso a macchia, intervallato a pini e lecci, integrati alla preesistente vegetazione, dando luogo ad un insolito bosco di conifere e latifoglie. Il Temple  fu affiancato in questa operazione di “architettura ambientale” dall’architetto paesaggista Giuseppe Fancelli, e dall’esperto di idraulica Alessandro Papini.

 Nel giro di pochi mesi, comprò anche la proprietà adiacente, la Villa di Maiano, annettendola alla proprietà del Castello e successivamente acquistò la Villa I Tatti, nei pressi di Ponte a Mensola, la quale fu poi comprata e ristrutturata dal critico e storico dell’arte  Bernard Berenson nel 1906, oggi sede del Centro studi del Rinascimento italiano della Harvard University.

Tra queste tre imponenti costruzioni ( un castello e due antiche ville) realizzò appunto, sulle rive del torrente Mensola, tra il 1870 e il 1893 un parco paesaggistico attorno alla Cava detta delle Colonne. Gli stradelli degli scalpellini furono trasformati e valorizzati come percorsi romantici e botanici per i suoi ospiti. Il tutto fu inaugurato dalla Regina Vittoria d’Inghilterra il 12 Aprile 1893, da cui il nome attuale di Parco Romantico della Regina.Fu anche tra i benefattori che contribuirono al compimento dei lavori per la facciata della chiesa di S.Maria del Fiore. John Temple Leader muore a Firenze nella sua casa di Piazza Pitti nel 1903; è sepolto insieme alla moglie al Cimitero delle Porte Sante

La costruzione della Torre e del Laghetto delle Colonne

Tutti i manufatti del parco sono stati realizzati prima del 1883,  ad eccezione della Torre in stile neo gotico che con il Laghetto delle Colonne  diventa il centro focale dell’intero parco botanico di Maiano. Il Laghetto delle Colonne, così chiamato perché  dalla cava soprastante sono state estratte le pietre per la costruzione di molti storici palazzi fiorentini, venne ideato  come punto di ritrovo per i molti ospiti di Sir John Temple Leader, tra cui la regina Vittoria, che si dilettava a fare acquerelli di questo suggestivo luogo.

Per usufruire di questa particolare “ stanza da bagno” fu realizzato uno spogliatoio degli uomini, ancora visibile nelle costruzioni in pietra alla base della cava.

Lo spogliatoio delle signore dalle sembianze di uno chalet svizzero fu invece realizzato in legno sulla piattaforma ancora presente; purtroppo questo è l’unica costruzione che non si è ancora conservata.
Il ponte Maria Luisa, intitolato all’amata moglie di Temple , costruito dietro la piattaforma del laghetto unisce le due sponde del torrente Mensola: da un lato la cava, il laghetto, la torre, dall’altro la Casa del Tè, dall’elegante loggiato per accogliere gli ospiti

FATTORIA DI MAIANO

Via Cave di Maiano 2, Via Benedetto da Maiano, 11,  Fiesole FI

INGRESSO AL BOTANIC GARDEN
(PARCO ROMANTICO DELLA REGINA + FATTORIA)

Orario estivo

Aperto tutti i giorni 9,30/23,30

Domenica 9,30/18,00

Adulto: € 7,00

Bambino: € 7,00 (gratis fino a 3 anni)

 

 

 

 

 

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La piazza del Duomo a Pietrasanta

07/07/2020 da Sergio Casprini

La piazza del Duomo è il centro storico di Pietrasanta, sede di numerosi monumenti, tra i quali  il Duomo ( la collegiata di  San Martino (XIII/XIV secolo) in stile romanico-gotico e la chiesa di Sant’Agostino (sec. XIV), sospesa al culto, in stile romanico, con l’annesso campanile in stile barocco. Accanto all’edificio si può ammirare soprattutto il chiostro, sul quale si affaccia il centro culturale “Luigi Russo” caratterizzato dalla presenza della Biblioteca Comunale “G. Carducci” e di una raccolta di bozzetti di gesso, dei tanti scultori italiani e stranieri che venivano e vengono a Pietrasanta a realizzare le loro opere. Sulla piazza è anche la Torre civica o Torre delle Ore, in stile gotico (curiosamente non annessa al Palazzo comunale); sempre nella stessa piazza è il Teatro Comunale. Degna di nota è la medievale Rocchetta Arrighina, accanto alla quale si trova l’arco di Porta a Pisa. In piazza il Palazzo Moroni del XVII secolo è la sede del Museo archeologico locale nel quale si trovano numerosi reperti d’epoca etrusca.

Pietrasanta conserva anche antiche opere difensive  quali le mura di cinta ben visibili dalla piazza, raggiungibili grazie a un sentiero che termina alla Rocca di Sala , dalla quale si può ammirare la piana versiliese da Viareggio a Forte dei Marmi.

Ai margini della piazza, si incontra la fontana del Marzocco, decorata con un bassorilievo in marmo. Come la vicina e omonima colonna, ricorda il passaggio della città di Pietrasanta al dominio fiorentino. Basta alzare gli occhi, infatti, per vedere il simbolo del fiero leone che imbraccia lo scudo con il giglio.

In piazza monumenti e lapidi testimoniano il passaggio a Pietrasanta dal Granducato dei Lorena al Regno d’Italia e segnano simbolicamente il periodo risorgimentale della cittadina toscana.

Nel 1849 Vincenzo Santini realizza il monumento celebrativo a Canapone, il granduca Leopoldo II di Lorena, quando poi la Toscana passò al Regno d’Italia sulla facciata posteriore del suo piedistallo fu rimosso  il bassorilievo raffigurante il discoprimento delle cave e fu sostituito con la nuova targa che riportava il decreto dell’Assemblea Toscana del 16 agosto 1859 con l’aggiunta della frase:«Esempio ai popoli ed ai regnanti».

Nel 1907 sullo slargo della piazza verso l’arco di Porta a Pisa i Liberi Pensatori della Versilia in ricordo della Breccia di Porta Pia fecero porre una lapide con rilievo in marmo in memoria di Giordano Bruno

Nel 1917 nell’anno di Caporetto il popolo di Pietrasanta sulla facciata di un palazzo di fronte al Duomo fece apporre una lapide  con bassorilievo in marmo in onore di Cesare Battisti.

 L’autore delle due lapidi è lo scultore genovese Bozzano Antonio ( 1858/1939), che nel 1893 ottiene la cattedra di scultura alla Scuola di Belle Arti di Pietrasanta, dove insegna fino al 1929, divenendo un punto di riferimento importante per le generazioni di artisti che si formano nella scuola pietrasantina e dando un contributo decisivo alla definizione dello stile Liberty nell’area versiliese. Bozzano è anche conosciuto come l’interprete dell’iconografia di “Giosue Carducci” in Versilia, di cui esegue cinque “ritratti”: uno in gesso, realizzato nel 1907 in Piazza del Duomo, per la commemorazione del Vate (oggi distrutto), e gli altri in marmo nel 1927, per la casa natale di Carducci a Valdicastello, il Municipio ed il Chiostro di S. Agostino a Pietrasanta e il Liceo Classico di Viareggio

Nella piazza di Pietrasanta il contemporaneo, il moderno e l’antico si fondono in armonia, arricchendosi l’un l’altro. Sicuramente colpisce con la sua maestosità il Duomo appunto, rivestito com’è di marmo bianco, la pietra che ha fatto la fortuna e la fama del posto, ma con facilità convivono, accanto a questa possente struttura, valide opere di arte contemporanea . Ogni anno d’estate infatti si tengono  sulla piazza e negli spazi della chiesa sconsacrata di Sant’Agostino esposizioni di installazioni di artisti contemporanei.

Mostra di Fabio Viale a Pietrasanta nell’estate del 2020

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Il serbatoio di Carraia nel sistema dell’acquedotto di Firenze

27/06/2020 da Sergio Casprini

E’ un legame fortissimo ed imprescindibile quello che unisce la città di Firenze, il fiume Arno ed il suo acquedotto. Un legame che si è rafforzato negli anni dell’Unità d’Italia, durante i lavori di ingrandimento della città ad opera dell’architetto Poggi: il coraggio di valenti ingegneri e lo spiegamento di risorse tecniche d’avanguardia portarono a strutturare il primo vero acquedotto cittadino che dissetava la città attraverso l’acqua dell’Arno.

Dal lato del fiume, oltre il lungarno, nel 1875  fu realizzata su progetto di Raffaele Canevari e Luigi Del Sarto l’officina idraulica di San Niccolò destinata al sollevamento e alla depurazione dell’acqua potabile, trasformata poi nel 1916 in centrale di produzione per fornire di corrente elettrica l’acquedotto dell’Anconella.

L’acquedotto fu inaugurato nel giugno del 1877 con grandi festeggiamenti: sull’Arno ci furono barche illuminate da fiaccole, sui lungarni suonò la musica della banda militare e migliaia di fiorentini si misero in fila per vedere quest’opera di ingegneria idraulica e gli impianti (versando 25 centesimi devoluti per pagare il soggiorno al mare dei bambini meno abbienti)

Un’opera lungimirante che ancora sopravvive e che ancora porta acqua nelle case dei fiorentini attraverso alcune infrastrutture fondamentali come i serbatoi di Carraia e del Pellegrino.

Il serbatoio di Carraia ai giardini dell’Erta Canina nella piccola e suggestiva vallata che unisce Porta San Miniato a Forte Belvedere è un edificio in stile neorinascimentale che coniuga eleganza architettonica, perizia costruttiva e evoluta sapienza idraulica. Nelle sue due grandi cisterne è capace di accumulare più di 13.000 metri cubi d’acqua e da 143 anni serve la città di Firenze rappresentando ancora oggi un punto nevralgico del sistema dell’acquedotto cittadino: il serbatoio, con una cisterna vuota e l’altra piena d’acqua, è usato per lo stoccaggio (garantisce l’acqua per un giorno e mezzo alla zona sud di Firenze) e per “rilanciare” l’acqua verso le case in collina.

 

 

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Il Castello di Bisarno

11/06/2020 da Sergio Casprini

Il Castello di Bisarno è un edificio storico di  Firenze, situato in via di Badia a Ripoli, vicino alla chiesa di San Piero in Palco

Ebbe origine come fortilizio duecentesco, situato nella zona delle “lame“, i rigagnoli e fossi confluenti all’Arno, che dovevano formare una variante del letto del fiume detta appunto “Bisarno”. A metà del Trecento apparteneva ai Bardi, e di quell’epoca restano alcune decorazioni interne a motivi geometrici e floreali, oltre ad alcuni pilastri ottagonali in pietra che spuntano da alcune pareti e alcuni soffitti lignei a travi su mensole di quercia. Poi passò ai Biliotti e, nel Cinquecento, ai Capponi (il cui stemma si vede sulla cancellata), che intrapresero importanti lavori di ampliamento e ammodernamento.

Dotato di una merlatura di tipo guelfo, in parte originale e in parte di restauro, il castello nell’Ottocento venne abitato dallo scienziato ed esploratore Odoardo Beccari, che vi impiantò alcune essenze rare ancora esistenti.

Ritratto di Odoardo Beccari al Museo di Botanica di Firenze

Le aveva piantate Odoardo Beccari, «scienziato dottissimo e viaggiatore ardito che nelle regioni africane raccolse preziosi elementi di studio». In effetti, oltre che in Eritrea e in Etiopia trascorse molti anni in Asia, Australia e Nuova Zelanda. Nel 1855, appena ventiduenne, seguì l’amico Rajà di Sarawak in Borneo dove organizzò una spedizione naturalistica insieme al marchese Giacomo Doria che ben presto dovette abbandonarlo per una grave malattia. Odoardo rimase da solo per tre anni nella foresta vivendo in una capanna (che battezzò Vallombrosa in omaggio al monastero vicino a Firenze) che si era costruita incurante dei molti pericoli che doveva affrontare ogni giorno: dalle sanguisughe ai serpenti velenosi, dai tagliatori di teste alle varie tribù ostili. Nonostante tutto, riuscì a raccogliere un enorme varietà di piante dedicando particolare interesse alle palme di cui ne classificò 130 specie. A questa spedizione ne seguirono altre che gli diedero modo di arricchire le sue raccolte botaniche, zoologiche e etnografiche, oggi conservate al museo di Storia Naturale di Firenze

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Dal 1869 al 1880  Il Castello del Bisarno fu sede dell’ambasciatore inglese James Hudson.

 1874 Caricatura di Sir James Hudson in Vanity Fair 

Sir James Hudson è stato un diplomatico inglese. È stato Ministro di Sua Maestà Britannica a Torino dal 1852 al 1863 e protagonista della diplomazia europea nel Risorgimento. Negli anni successivi al suo servizio attivo, Hudson si ritirò a Firenze, ormai capitale d’Italia, dove si occupò di svariate attività, inclusa la Florence Land and Public Works Company .In quegli anni abitò a Firenze in via Alfieri 18.

SULLA CASA ABITATA
DA SIR JAMES HUDSON
INGLESE DI NASCITA ITALIANO DI CUORE
PRESSO LA CORTE DI TORINO
DAL 1852 AL 1865
MINISTRO DELLA GRAN BRETAGNA
NEI PROPOSITI NELLE IMPRESE NEI TRIONFI POLITICI
AL CONTE DI CAVOUR
AMICO FIDATO COOPERATORE EFFICACE
OSPITE PER VENTI ANNI DI FIRENZE
DOVE MORENDO VOLLE ESSERE SEPOLTO
IL COMUNE
INTERPRETE DELLA GRATITUDINE NAZIONALE
CON DELIBERAZIONE SOLENNE DEL 17 DICEMBRE 1885

Sir James morì il 20 settembre 1885 di un cancro alla lingua nell’Hotel d’Angleterre a Strasburgo. Alla sua morte i suoi grandi amici Cavour, d’Azeglio, Ricasoli erano già tutti scomparsi, e a ricordarlo fu un semplice necrologio del Times.  Il suo corpo fu riportato in Italia e sepolto a Firenze.

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A passeggio sui lungarni. Come li vedeva Dante

04/06/2020 da Sergio Casprini

Luca Giannelli ci porta alla scoperta dei ponti storici che adesso non ci sono più

Edoardo Semmola Corriere Fiorentino 4 giugno 2020

Da una parte i fantasmi dei vecchi mulini di San Niccolò e dei Renai, la cui memoria rimane solo tra le pagine delle stampe settecentesche di Giuseppe Zocchi. Dall’altra il primo «stabilimento balneare» con noleggio di asciugamano al ponte alle Grazie. E come dimenticare «l’arco dei pizzicotti», lato Tornabuoni, dove ora c’è il museo Ferragamo: è in quel passaggio-galleria verso il ponte che in maniera giocosa i fiorentini del Settecento pizzicavano le ragazze, come si diceva all’epoca per fare le avances. Non ve n’è più traccia dall’inizio dell’Ottocento. La casa editrice fiorentina Scramasax ha compiuto 30 anni lo scorso anno e ha dato alle stampe una nuova ricerca storica — il suo pane — sulla nostra città: I Lungarni fiorentini di Luca Giannelli( autore ed editore)

1770 Thomas Patch Veduta dal molo di Santa Maria Soprarno

Sfogliandolo ci accorgiamo di quanto poco somiglino quelli su cui camminiamo oggi agli antichi progenitori che già nel Duecento e nel Trecento collegavano il ponte alle Grazie a quello alla Carraia. Giannelli li ha raccontati in forma di «passeggiata». L’andata su lato sinistro, il ritorno su quello destro. «Per vedere com’era la città di Dante a partire dai 4 ponti storici»: Ponte Vecchio, alle Grazie, alla Carraia, e Santa Trinita, l’ultimo, datato 1252. Con le Grazie e la Carraia che delimitavano la vecchia cerchia.

1881 Odoardo Borrani Il Ponte alle Grazie

Già all’inizio del Trecento le mura arrivano fino a San Frediano e San Niccolò. Poi nel periodo lorenese nascono il ponte sospeso, attuale ponte alla Vittoria, e il ponte di ferro, San Niccolò. «Nel mezzo c’è un intruso: il Vespucci, nato nel 1958». «Il tratto che più degli altri è difficile da immaginare nella sua veste originale – pensa – è quello che parte da San Niccolò con i mulini collegati alla pescaia uniti da una gora parallela al corso del fiume». Lì «i Serristori crearono una bellissima passeggiata realizzando una sorta di giardino pensile che costeggiava i mulini». Tra le altre curiosità scopriamo che a inizio Ottocento furono costruiti i primi bagni pubblici all’inizio del ponte alle Grazie. Si prosegue: «Su lungarno Soderini nascono i primi macelli pubblici nel periodo di Leopolodo II. Sono stati poi per quasi un secolo in via Circondaria». E ancora, proseguendo sul lato sinistro ecco le reminiscenze dell’antica fabbrica del Pignone che «dava lavoro a centinaia di famiglie: lampioni, ringhiere, e i parapetti in ghisa dei tempi del Poggi». Per passare dai «lungarni vecchi» al primo «lungarno nuovo» si deve arrivare all’imbocco delle Cascine: Leopoldo II decise di aprire la «passeggiata» fino al parco. Mentre il tratto degli Archibusieri e quello degli Uffizi c’erano anche nel 1500 «ma nessuno si poneva il problema di dargli un nome».

 

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Chiesa di San Giusto a Ema 

20/05/2020 da Sergio Casprini

Via Vacciano, 48 – Ema, Bagno a Ripoli (FI)

Si trova in località Mezzana, nel territorio del comune di Bagno a Ripoli . Il luogo di Mezzana appare ricordato per la prima volta in un documento notarile del 1032, insieme al vicino Vacciano che dà ancora il nome alla strada che sale al colle di Fattucchia. Nel  secolo XII  la chiesa era suffraganea della pieve di Santa Maria all’Impruneta.

L’edificio ha subito nel corso dei secoli radicali trasformazioni che l’hanno privato delle sue caratteristiche architettoniche. La chiesa ha una pianta rettangolare ad andamento longitudinale a unica navata oltre alla cappella della compagnia posta a destra. La chiesa si presenta con un atrio frontale coperto da un’ampia loggia che poggia gli archi su colonne affiancate ai pilastri ornati da nicchie rimaste vuote.

All’interno si presenta ad unica navata  conclusa da un’abside semicircolare, realizzata nel 1930. Vi si trova un’interessante pala d’altare con la Madonna in trono fra i Santi Antonio abate e Barbara, opera del cosiddetto Maestro di Serumido  (secolo XVI)), che i marchesi Niccolini, patroni della chiesa nel secolo XVI portarono dalla chiesa di San Procolo a Firenze; a seguito dei restauri fatti nel 1995 l’opera è stata attribuita a Bastiano da Sangallo.

Nella chiesa vi è anche l’organo a canne Tronci opus 1120, costruito nel 1835 e successivamente modificato; a trasmissione integralmente meccanica, dispone di 25 registri su unico manuale e pedale. Nella canonica è conservata una bella Croce astile di manifattura toscana, in rame a fusione, incisa sul recto e sul verso, con formelle mistilinee, del secolo XIV.

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All’interno della loggia  della chiesa si trova una lapide sepolcrale  in memoria  di Ferdinando Carbonai / professore di clinica ortopedica / primo a fondare in Italia / un ortopedico istituto / nato il 5 luglio 1805 / morto il 20 dicembre 1855

“… Il 10 giugno 1840, in via della Fornace, una strada periferica della vecchia Firenze corrispondente all’attuale via dei Serragli nei pressi di porta Romana, Ferdinando Carbonai inaugurava la casa di cura che denominò Istituto ortopedico toscano. L’ortopedia veniva allora inclusa ufficialmente tra le discipline medico-chirurgiche in Toscana: il 3 ottobre 1840 era dichiarata obbligatoria per i praticanti che per due anni dopo la laurea dovevano frequentare l’ospedale di S. Maria Nuova, e il 21 dicembre 1841 Leopoldo II incaricava il Carbonai dell’insegnamento dell’ortopedia teorico-pratica e della clinica ortopedica, annessa allo stesso ospedale….La cattedra venne  soppressa nel 1849, e nello stesso anno ebbe termine anche l’attività della clinica. Il Carbonai allora trasferì l’Istituto ortopedico toscano nella propria villa di Vacciano, nella grande tenuta della famiglia Carbonai, e nel 1850 poté di nuovo riprendere l’assistenza agli infermi… “

Dizionario biografico degli italiani Treccani

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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La Villa Favard di Rovezzano e il suo Parco

15/05/2020 da Sergio Casprini

La Villa Favard, con l’omonimo parco che la circonda, si trova nella località di  Rovezzano a Firenze,  da non confondere con l’altra omonima villa, realizzata per conto della medesima committente e ad opera dello stesso progettista, che si trova a Firenze, nel centro della città, sui Lungarni in prossimità del parco delle Cascine.

La villa fu denominato anticamente “Palagio dei Pini”, per gli ombrosi pini che la circondavano,  evidenziando con ciò fin dai suoi lontani inizi medioevali la ricchezza arborea dell’area in cui esso era inserito, ad est del territorio del Comune di Firenze, sulla riva destra del fiume Arno,  nel territorio denominato Rovezzano per evidenziare la sua natura verde e poco antropizzata, dato che la tradizione vuole tale denominazione derivante dalla parola latina alto-medievale indicante la presenza in esso proprio di numerosi roveti (Rovezzano, dal latino “rubetum”= roveto + “anus” =  suffisso di luogo, cioè luogo di roveti).  Il “Palagio dei Pini”  appartenne inizialmente alla fine del Duecento, alla famiglia patrizia fiorentina dei Cerchi, originaria di Acone, oggi frazione di Pontassieve; poi la definitiva vittoria a Firenze dei Guelfi Neri, nel 1302  comportò la distruzione o comunque confisca delle proprietà dei Cerchi, capi della fazione sconfitta dei Bianchi  Si ha quindi ragione di ipotizzare che la famiglia Riccardi, subentrante come erede del loro patrimonio, intorno ai primi anni del quattrocento, abbia ricostruito il “Palagio dei Pini” sullo schema planimetrico del preesistente edificio.

Nel 1493 i Bartolini Salimbeni subentrarono ai Riccardi nella proprietà del Palagio dei Pini e dei vari poderi annessi e dopo l’assedio di Firenze da parte dell’esercito imperiale (1529-1530) che aveva portato alla devastazione di molte proprietà del contado suburbano i fratelli Giovanni e Zanobi Bartolini Salimbeni dettero l’incarico al valente architetto fiorentino Baccio D’Agnolo di restaurare l’edificio e di progettare la sistemazione dello spazio esterno. La villa da forme architettoniche medievali assunse quindi l’aspetto di edificio rinascimentale. Tutto attorno alla villa l’architetto D’Agnolo realizzò poi un parco,  uno schema di giardino extraurbano “all’italiana”, con due ampi prati che si stendevano attorno alla villa, uno dotato di viali interni alberati e pergole, l’altro  decorato da siepi.

La facciata della villa, pur mantenendo ancora un aspetto cinquecentesco, venne poi ulteriormente rimaneggiata agli inizi del Seicento ad opera dell’architetto Giulio Parigi.  Nel corso di questa risistemazione voluta dai Bartolini Salimbeni fu ulteriormente migliorata la struttura dei viali interni del giardino, nel quale, sempre più strutturato “all’italiana”, grazie  alla presenza di siepi di bosso geometrizzate,  fu realizzato un boschetto di lecci, una piantata di cipressi a Nord per difendere la villa dai venti freddi,  un frutteto e una vasca nell’area della facciata.

La villa nel 1829 venne venduta da Maria Bartolini Salimbeni al Principe Stanislao Poniatowski, nipote del re di Polonia. Questo mutamento di proprietà portò all’avvio di importanti lavori di trasformazione alla villa e al giardino assegnati al giovane ma già noto architetto Giuseppe Poggi, che comportarono la demolizione del loggiato cinquecentesco  e la realizzazione della lineare facciata neoclassica posta verso l’attuale Via Aretina, ancora oggi presente e centrale nel prospetto dell’edificio. 

Nel 1855  il Principe Poniatowski, ormai stabilitosi in Francia e quindi lontano dall’oneroso interesse per la villa in ristrutturazione di Rovezzano, ne vendette la proprietà alla Baronessa Fiorella Suzanne Favard de l’Anglade. Subito dopo  tale acquisto la Baronessa Favard decise di proseguire la ristrutturazione già avviata nella sua villa con lo stesso architetto Giuseppe Poggi, che  tra l’altro si stava occupando per conto della Baronessa anche di un’altra sua villa  nel centro di Firenze nei pressi dell’Arno e del parco delle Cascine. Realizzò quindi la parte fondamentale dell’intervento commissionatogli dalla Baronessa Favard nel pieno degli anni di Firenze Capitale d’Italia, apportando alla villa, al giardino e alla tenuta agricola circostante quella profonda integrazione strutturale dell’insieme  che caratterizza ancora oggi l’equilibrata armonia del suo organismo architettonico.

L’architetto Poggi realizzò poi all’interno della villa un grande salone da ballo coprendo l’originale cortile porticato con un lucernario di ferro e vetro, in cui sistemò lateralmente anche un palco per l’orchestra, strutturando poi attorno a questo fulcro centrale poi l’accesso a tutte le stanze, sale e piani dell’edificio.

Collaborarono alla ristrutturazione della villa valenti artisti, suoi collaboratori usuali, quali Francesco Morini, Orazio Pucci, Nicola Ramelli, e Annibale Gatti.

 L’architetto realizzò  tra gli interventi significativi a ovest della villa  anche una monumentale cappella gentilizia, decorata con affreschi di Annibale Gatti e Giovanni Duprè, in cui successivamente alla  morte a Parigi della Baronessa Favard vi verrà sepolta per sua espressa volontà.

L’architetto Poggi riorganizzò infine anche il vasto parco che all’inizio da giardino con struttura basata su assi ortogonali era stato trasformato nel corso della lunga evoluzione storica in un giardino “all’italiana” a schema libero secondo lo schema del “giardino extraurbano” tipico delle ville fiorentine, con vialetti curvilinei bordati da siepi. L’intervento del Poggi integrò questa dimensione in una strutturazione più ampia “all’inglese”, contraddistinta dall’armonia delle forme e dall’assenza di elementi geometrici per definire lo spazio. Il segno evidente della stratificazione compositiva del giardino si ritrova nei percorsi principali a quel momento risultanti: i due viali rettilinei tra loro perpendicolari e incentrati sulla villa erano figli dello schema medievale originario,  mentre il nuovo terzo viale ad andamento curvilineo bordato di siepi era figlio della successiva impostazione all’inglese.

La Villa Favard  ospita oggi la sede distaccata del Conservatorio di Musica Luigi Cherubini, di Firenze, mentre il parco che la circonda è pubblico e aperto alla cittadinanza.

Marco Panti

Da Notizie storiche, artistiche e ambientali, pubblicate integralmente nella pagina del gruppo Facebook “Amici del Parco di Villa Favard”. 

 

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Mulino di Sant’Andrea a Rovezzano a Firenze

03/05/2020 da Sergio Casprini

Si hanno notizie del mulino di Sant’Andrea a Rovezzano già dagli inizi del XV secolo presso le proprietà fondiarie degli Alessandri. Il complesso di mulini subì danni nelle due disastrose alluvioni dell’Arno, nel 1547 e nel 1557.  Quest’ultima, che distrusse gran parte del complesso abitativo di Sant’Andrea a Rovezzano, lasciò inoperante la struttura fino al  1559. La struttura ripristinata non scampò alla piena successiva del 1589 ed a quelle rilevanti degli anni a seguire.

Con i lavori di sistemazione della pescaia agli inizi del XVIII secolo, il mulino degli Alessandri fu messo più in sicurezza per la migliore canalizzazione delle acque del fiume. Nella rispettiva relazione del 1708 degli architetti preposti (Ferri, Foggini, Franchi) si intravede la conformazione dei vari corpi di fabbrica con l’antica torre merlata. La superficie coperta era di circa 2.400 metri quadrati, così composta:

  1. il mulino del grano, a sud, adiacente alla pescaia con relativa terrazza di essiccazione
  2. il mulino per la concia dei panni, nel centro della gora, inglobante l’antica torre
  3. la dimora padronale collegata ai mulini con un ponticello

Nel 1826 il complesso immobiliare passò agli svizzeri Wital, che ammodernarono il sistema di macinazione e portarono altre migliorie. Il mulino, con il nuovo nome Vitali, si ampliò con la costruzione di un laboratorio meccanico per le riparazioni del mulino e di altri macchinari per la lavorazione dei campi. Nel 1826 erano ivi occupati una ventina di lavoranti (mugnai, barrocciai, ecc.). Nel primo dopoguerra il mulino Vitali cambiò destinazione e fu trasformato in una centrale idroelettrica, con smantellamento degli impianti di macina e la modifica dei sotterranei, che fornì energia a tutta la zona fino al secondo dopoguerra

Seguì, poi, la trasformazione del complesso immobiliare in residenza abitativa con frazionamento in varie unità private.

La pescaia di Sant’Andrea a Rovezzano

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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La chiesa di San Michele a Monteripaldi

28/04/2020 da Sergio Casprini

La chiesa di San Michele a Monteripaldi, di modeste dimensioni e di antica fondazione, si trova nel Comune di Firenze sulla collina di Arcetri nella zona del Pian dei Giullari.

Più esattamente si trova sopra la storica cava di pietra forte di Monteripaldi, attualmente inattiva.Questa zona collinare ha ancora oggi una vocazione agricola ed è caratterizzata, oltre che dalla presenza di storiche ville, da numerosi oliveti. Il complesso edilizio di San Michele è costituito, oltre che dalla chiesa e dal campanile, anche da una serie di unità immobiliari tra le quali la vecchia Canonica e un piccolo chiostro trecentesco. La chiesa prospetta direttamente sulla strada comunale, via San Michele a Monteripaldi, dalla quale vi si accede attraverso un vestibolo. Il vestibolo esternamente si presenta come un basso volume addossato alla facciata. Sulla destra del portale d’ingresso si trova il campanile neogotico.

Il toponimo pare derivi da una radice longobarda e le prime notizie, del 1138, segnalano uno spedale dedicato all’Arcangelo Michele, accanto al quale venne edificato un monastero femminile. Su una prima chiesa romanica si innestò una più grande, che ebbe nel 1295 il patronato dei Bardi e divenne parrocchia.

Durante l’assedio del 1529-1530 fu occupata da  Baccio Valori, commissario generale di papa Clemente VII; nel 1548 vi fu rettore Giovanni della Casa, autore del Galateo. Subì modifiche nel Settecento e nel 1871 venne costruito il campanile in stile neo-gotico dall’ingegner Adolfo Mariani. L’attuale aspetto interno della chiesa è frutto del restauro del 1962 con il quale sono state eliminate alcune superfetazioni settecentesche e ottocentesche nell’intento di riportare la chiesa alle sue linee trecentesche. I paramenti interni delle pareti laterali dell’aula, costituiti da conci di pietra forte disposti a filaretto, sono attualmente a faccia a vista. Anche la copertura, con struttura lignea a capriate è internamente a vista. La parete presbiterale e la controfacciata, così come il vestibolo d’ingresso, coperto con una volta a botte a sesto ribassato, sono intonacati e imbiancati.                        

 

 

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