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Risorgimento Firenze

Il sito del Comitato Fiorentino per il Risorgimento.

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bellezza

L’Italia esisteva già prima di diventare Stato

03/12/2018 da Comitato Fiorentino per il Risorgimento

Lettere al Corriere della sera

30 novembre 2018

Caro Aldo, leggo sul Corriere che «gli austriaci avevano occupato l’Italia militarmente impiccando i patrioti». Lo Stato italiano esiste dal 21 marzo 1861 e non trovo traccia di occupazioni austriache del nostro territorio. Per completezza del suo ragguaglio, vorrei conoscere le date delle suddette incursioni. Nerio de Carlo

Caro Nerio, È vero che lo Stato unitario esiste solo dal 1861. Ma l’Italia esisteva già. Questo ha di straordinario la nostra patria. Non è nata da una guerra o da un matrimonio dinastico, non dagli intrighi della politica e della diplomazia. È nata dalla letteratura, dall’arte, dalla bellezza, dalla cultura. È nata dai versi di Dante – «ahi, serva Italia, di dolore ostello…» – e di Petrarca: «Italia mia, benché ‘l parlar sia indarno…». Alla vigilia della guerra di Chioggia, Petrarca scrisse una lettera ai dogi di Venezia e di Genova, per scongiurarli di non combattersi, con l’argomento che le due Repubbliche erano gli occhi d’Italia, e all’Italia servivano entrambi. La missiva non fu tenuta in nessun conto; eppure un seme era stato gettato. «Italia e libertà» era scritto sugli scudi dell’esercito della Serenissima, sconfitto nel 1509 ad Agnadello, alle porte di Milano. Ai tempi del Risorgimento, di cui forse dovremmo essere più orgogliosi, gli austriaci occupavano militarmente il Lombardo-Veneto, impiccando i patrioti (ricorda i martiri di Belfiore? E Amatore Sciesa, che si fa condurre alla forca rifiutando di fare i nomi dei compagni?), e controllavano più o meno direttamente il resto della penisola, tranne il Piemonte.

Non a caso, sconfitti gli austriaci a Solferino e San Martino, il loro dominio sull’Italia viene giù come un castello di carte. Continuarono anche dopo il 1861 a occupare il Veneto, e quando nel 1866 si ritirarono da Verona spararono sulla folla in festa, uccidendo una donna di 25 anni incinta, Carlotta Aschieri. Continuarono a occupare Trento e Trieste fino al 1918: l’immagine dei soldati che scherniscono Cesare Battisti sulla forca contribuì alla mobilitazione nazionale nella Grande Guerra. Invasero l’Italia fino al Piave, uccisero civili, violentarono migliaia di donne. E c’erano ovviamente soldati austriaci tra le truppe tedesche che occuparono il nostro Paese dopo l’8 settembre 1943. Ora siamo diventati amici. Ma non è una buona ragione per dimenticare gli italiani per cui l’Italia era una cosa seria, che valeva la vita. Aldo Cazzullo

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Welcome to Florenceland

01/12/2018 da Sergio Casprini

Nel maggio del 2017 fu approvato dal Comune di Firenze un NUOVO REGOLAMENTO di MISURE PER LA TUTELA DEL CENTRO STORICO, patrimonio mondiale UNESCO; un Regolamento, che aveva come finalità generali quella di… “perseguire la tutela del Centro Storico Patrimonio Mondiale UNESCO di Firenze, area di particolare pregio ed interesse storico, artistico, architettonico e ambientale della città, attraverso una generale lotta al degrado contro quegli elementi e quei comportamenti che portano alla lesione di interessi generali, quali la salute pubblica, la civile convivenza, il decoro urbano, il paesaggio urbano storico, l’identità culturale e storico-architettonica del centro della città, anche in coerenza con i programmi di viabilità urbana, con le limitazioni o interdizioni del traffico veicolare e la prevenzione dell’inquinamento sia atmosferico che acustico”.

Da allora per rispondere alle finalità di questo regolamento e alle esigenze dei fiorentini di risiedere in una città con meno degrado, più decoro e migliore qualità della vita, l’amministrazione di Firenze ha fatto delle delibere attuative, soprattutto per regolare e razionalizzare il turismo di massa che negli ultimi anni ha invaso il centro storico,  occupato quotidianamente da torme di visitatori e gremito di servizi commerciali a fini turistici, con il conseguente deterioramento ambientale e la crescita dell’inquinamento acustico. Qualche numero di questa invasione: nel 2017 il territorio metropolitano è stato caratterizzato da una crescita sia degli arrivi (+ 295 mila unità, pari a + 5,9%) sia delle presenze (+ 804 mila pernottamenti pari a +5,7%,  per un totale di 15 milioni!), grazie agli arrivi di tantissimi turisti stranieri, ma anche di molti italiani. (Dati delle rilevazioni ufficiali del Servizio Statistica dell’Ufficio Attività Produttive e Turismo della Città Metropolitana di Firenze ed elaborati dal Centro Studi Turistici di Firenze)

Per cercare di far fronte a questa situazione, un recente Consiglio comunale ha deliberato lo stop ai ‘bagarini’ davanti ai musei, la limitazione della circolazione dei risciò solo in alcune zone del centro e una nuova stretta contro i ‘furbetti’ del trasferimento e dell’ampliamento delle attività alimentari in area Unesco; infine limiti alla circolazione dei cosiddetti ‘bussoni’ turistici nelle aree di particolare sensibilità del centro storico.

Per alleggerire poi la pressione turistica, di concerto con i comuni della Città Metropolitana, con la Regione Toscana e coordinandosi anche con le città italiane ed europee a maggiore vocazione turistica, il Comune sta ipotizzando un intervento di governo e di orientamento dei flussi turistici, offrendo al visitatore che arriva a Firenze valide alternative alle “icone” di Botticelli e di Leonardo agli Uffizi e di Michelangelo alle Gallerie dell’Accademia. Anche le associazioni degli albergatori e le agenzie del marketing culturale chiedono alle istituzioni cittadine di governare il mercato del turismo di massa utilizzando maggiormente gli strumenti digitali per orientare i flussi dell’overtourism.

Pur apprezzando l’impegno del Comune nel cercare soluzioni possibili per un fenomeno, quello del turismo selvaggio, sempre più drammatico, negli amministratori fiorentini non sembra esserci la consapevolezza che, dati i numeri sempre crescenti, bisogna ormai decidersi a ridurre gli accessi turistici nel centro storico, pena il suo degrado irreversibile. Non si tratta certo di rialzare le mura medievali che l’architetto Poggi negli anni di Firenze Capitale buttò giù in nome del decoro urbano e di moderne infrastrutture, degne appunto di un città che doveva confrontarsi con le altre cosmopolitiche capitali europee; né tantomeno proporre balzelli onerosi a chi entra in città.

Si dovrebbe invece individuare una strategia per ridurre il numero di ingressi quotidiani agli Uffizi e all’Accademia, cioè i musei di maggior richiamo per i visitatori sia italiani che stranieri, per esempio (d’accordo col Ministero dei Beni culturali che li gestisce) tramite prenotazioni obbligatorie , con periodiche aperture riservate ai residenti della Città metropolitana e ai giovani italiani e stranieri, a prezzi ovviamente ridotti.  Solo così avremmo un orientamento virtuoso dei flussi turistici e di fatto una minore pressione sul centro storico.

Ma allora il turismo come risorsa economica, come occasione di reddito e di occupazione? E l’immagine di Firenze con il suo valore umanistico di bellezza universale, di una città che non può anacronisticamente chiudersi in se stessa quando oggi ormai viviamo in una società aperta e globale? Queste e altre ancora sarebbero le obiezioni che sicuramente verrebbero fatte a chi propone una politica di contenimento del turismo di massa per la salvaguardia della identità urbana, della memoria storica di una città come Firenze. Non si tratta però di mettere in discussione il valore del turismo, ma solo di regolarlo in modo più razionale. Altrimenti l’unica seria alternativa a questa situazione di implosione del centro storico sarebbe quella di decidere che i fiorentini risiedono altrove, al di là delle mura e dei viali di circonvallazione, riservando ai soli turisti il Centro Storico Patrimonio Mondiale UNESCO, facendolo così diventare definitivamente un nonluogo, secondo la felice definizione del sociologo francese Marc Augé, come gli aeroporti e i grandi centri commerciali, dove la gente transita, consuma, ma non ci vive.

E nei fine settimana anche i fiorentini residenti in periferia potrebbero andare a visitare Florenceland e a fare shopping, come fanno le famiglie parigine che in mezz’ora vanno a Disneyland Paris.

Sergio Casprini

 

 

 

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«Mio bisnonno D’Annunzio» e una guerra sbagliata

12/11/2018 da Sergio Casprini

Lettere al Corriere della Sera 10 novembre 2018

Caro Aldo, sono il pronipote di Gabriele d’Annunzio.  Mi permetta di suggerirle un percorso di lettura. Prima un testo minore, Giovanni Episcopo, una scrittura piana e inaspettata che nasconde tutti i fuochi successivi. Poi si immerga ne L’innocente, un dramma violento, truce ed ossessivo. E si lasci conquistare dalla infinita dolcezza dell’Alcyone. Forse il sentimento nella poesia di d’Annunzio le regalerà una maggiore intimità con i suoi stessi sentimenti. Egli amava la nostra Patria e volle una guerra che si voleva rapidissima e fu invece un eclisse. Ma fu un eroe moderno. E mi creda. Mai, mai, mai fu assassino. Conosco Gabriele da molti anni, negli splendidi o pessimi dettagli. Ma l’amore per la vita restò un valico insormontabile, sino alla fine, sino alla scrittura del suo ultimo Diario Segreto, il canto di un uomo vinto, aggrappato al futuro, alla nuova lingua che stava crescendo e che avrebbe voluto attecchisse sul suo tronco ormai arido. Ma uccidere no. Non gli faccia questo torto. Gabriele d’Annunzio è ancora da scoprire, e troveremo forse solo del bene. Perché del male si è scritto anche troppo.  Federico d’Annunzio

Caro Federico, Grazie per le sue parole signorili e cortesi, così distanti da quelle volgari e ingiuriose di chi ha sollevato la questione. Non discuto la grandezza letteraria di suo bisnonno, né l’ho mai definito assassino. È oggettivo però che d’Annunzio provocò la morte di centinaia di fanti nell’assalto impossibile al castello di Duino, e più in generale ebbe un ruolo importante nel trascinare l’Italia nel più spaventoso conflitto che l’umanità avesse mai conosciuto. Altro che «guerra rapidissima»; nel maggio 1915 la guerra si era già rivelata una spaventosa carneficina, di cui non si vedeva la fine. Resto convinto che prendervi parte fu un errore, che provocò 650 mila morti, patimenti inauditi, e gravi conseguenze politiche. Questo non impedisce né di celebrare il sacrificio dei nostri nonni, né di riconoscere il carattere fondativo che quella guerra finì per avere. Su questo punto sono stato garbatamente criticato da Eugenio Scalfari, secondo cui «una guerra non fa una nazione». Si potrebbe sostenere il contrario: gli Stati nazione sono nati quasi sempre dalle guerre. L’Italia invece è nata dalla cultura, dall’arte, dalla bellezza. Ma il Piave è un elemento dell’identità nazionale. La Grande Guerra fu la prima prova dell’Italia unita. Potevamo essere spazzati via; dimostrammo di essere un popolo, una nazione. Aldo Cazzullo

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La Fondazione Primo Conti a Fiesole

15/10/2018 da Sergio Casprini

 La Fondazione Primo Conti si trova in via Giovanni Duprè, 18,  Fiesole FI

La Fondazione Primo Conti ha sede nella quattrocentesca Villa “Le Coste” che per molti anni fu l’abitazione del Maestro. Acquistata nel 1945, la villa è divenuta sede della Fondazione quando quest’ultima venne istituita, grazie alla donazione della famiglia Conti, come Centro di Documentazione e Ricerche sulle Avanguardie Storiche, nel 1980. Il Centro ha rappresentato la realizzazione del sogno a lungo coltivato da Primo Conti “di conservare il ricordo e la testimonianza dei più importanti movimenti novatori del Novecento“.

La Fondazione si divide in due sezioni:

Il Museo

Il Museo della Fondazione Primo Conti raccoglie sessantatre dipinti e centosessantatre disegni dell’artista fiorentino. Le opere coprono un arco cronologico che si estende dal 1911, l’anno dell’esordio artistico con l’Autoritratto di sorprendente bellezza e “maturità” espressiva, al 1985. Il Museo consente di studiare, attraverso l’opera di Primo Conti, lo sviluppo delle vicende artistiche in Italia e in Europa, nel Novecento. Di questo secolo così ricco di svolte epocali, il Maestro ha colto la linfa vitale. Nelle sale del Museo, il percorso si snoda dagli studi giovanili sulla figura umana, ai precoci interessi per l’arte “fauve”, preludio alla brillante stagione futurista. Conti seppe recepire gli umori più vivi e fecondi del Futurismo dando vita ad una pittura fresca, antiaccademica e ricca di poesia. In seguito, sempre su posizioni di fervida e costruttiva dialettica il pittore accompagnò l’arte moderna nel recupero della forma e delle tecniche espressive. Artista sempre giovane e pronto a mettere in discussione gli esiti espressivi raggiunti, Conti anticipò e visse fino in fondo lo spirito artistico e letterario del suo tempo. Gli ultimi anni della sua vita sono pertanto caratterizzati da una pittura vivace e lirica.

L’Archivio

Nell’Archivio, che si trova al piano superiore della villa, sono conservati numerosi Fondi che costituiscono la sezione documentaria della Fondazione e che appartennero ai protagonisti della scena culturale del primo Novecento: tra gli altri, i ricchissimi archivi di Papini, Conti, Pavolini,Carocci,Contri,Meriano, Ferrero, Viani, Pea, Sanminiatelli, Pratella ed un ricco fondo librario sul Futurismo composto per lo più da prime edizioni. Nel complesso si tratta di un patrimonio di più di centomila documenti, variamente distribuiti fra missive, manoscritti, disegni e foto d’epoca. Il materiale è suddiviso all’interno di ciascun Fondo secondo un ordine alfabetico e cronologico, quotidianamente a disposizione di un pubblico specialistico costituito da studiosi e ricercatori.
Notevole per il suo interesse storico e letterario è anche la ricca collezione di riviste, giornali e periodici futuristi fra cui si ricorda il numero di “Le Figaro” del 1909 in cui uscì il primo manifesto del Futurismo, la raccolta completa dei Manifesti originali del Futurismo, la serie iniziale della rivista “Noi” con le xilografie di Enrico Prampolini, la collezione della piccola rivista fiorentina “L’Enciclopedia”, considerata uno dei rari esempi di Dada italiano.
Degna di nota anche la vasta biblioteca, collocata nella sala riservata alla consultazione, che conserva al suo interno numerosi volumi costituiti per la maggior parte da cataloghi di mostre, pubblicazioni di studi inerenti ai movimenti pittorico-letterari del primo Novecento italiano ed europeo, edizioni di carteggi fra i vari personaggi della cultura novecentesca. Le opere sono consultabili ma escluse dal prestito. Si tratta di pubblicazioni che appartenevano al Maestro, acquistate, frutto di scambio con altri Istituti, cataloghi di mostre alle quali la Fondazione ha partecipato come prestatore. Sempre nella sala di consultazione è conservata la collezione di cataloghi e depliant relativa agli anni 1913-1970, parte integrante del Fondo Contri.  Il patrimonio librario della Fondazione è costituito inoltre dalla ricca biblioteca del Fondo Gioaccino Contri, dalla biblioteca privata del Maestro e dalle piccole biblioteche annesse ai vari Fondi documentali; complessivamente si tratta di circa tremilacinquecento unità.

 Il Museo e l’Archivio rappresentano nel loro insieme un Centro unico in Italia per ripercorrere e ricostruire con rigore scientifico la vicenda dell’Avanguardia storica che tanto profondamente connotò i movimenti letterari e artistici di tantaparte di questo nostro secolo. Obiettivo privilegiato della Fondazione è infatti lo studio, la promozione e la diffusione del patrimonio artistico e letterario legato alla figura del Maestro Primo Conti, affiancato dalla valorizzazione del patrimonio pittorico, letterario, musicale legato al complesso periodo delle Avanguardie storiche. A questo scopo la Fondazione è coinvolta ogni anno in progetti di studio e ricerca finanziati dal Ministero dei beni culturali, dal Consiglio Nazionale delle Ricerche, dalla Regione Toscana, dalla Provincia e dal Comune di Firenze, dal Comune di Fiesole e dall’Ente Cassa di Risparmio di Firenze.

Il Museo Primo Conti:
è aperto al pubblico dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 14, l’ultimo ingresso per la visita del Museo è alle ore 13.
Visite anche il sabato, la domenica e il pomeriggio, per gruppi, previo appuntamento.
Su richiesta, possibilità di una guida in lingua inglese e francese
Per informazioni, costi e prenotazione: tel.055.597095; fax. 055.5978145 
segreteria@fondazioneprimoconti.org

Biglietto:
€ 3.00

 

 

 

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Gli stabilimenti Balneari Pancaldi di Livorno

28/08/2018 da Comitato Fiorentino per il Risorgimento

La storia dei Pancaldi Acquaviva come unico stabilimento balneare risale al 1924, anno in cui le due strutture, in origine separate da un canale, furono riunite, per mezzo del grande arenile, in un solo complesso che l’Indicatore Tascabile del 1925 ricorda come Lo stabilimento più grandioso del mondo.

I primi bagni a sorgere tra il Largo Bellavista e l’Ardenza furono gli Acquaviva, così denominati per la bellezza e la purezza dell’acqua che lambiva questo tratto di scogliera da dove scaturivano sorgenti naturali, note come Fonti dello Scalo. Ricordati come i primi bagni in muratura sorti in Italia, gli Acquaviva vennero edificati nel 1840 da Giuseppe Santi Palmieri che dotò il suo stabilimento delle migliori comodità costruendovi una famosa Rotonda per la libera e utile respirazione dell’aria marina, poi resa celebre da un noto dipinto di Giovanni Fattori e da una breve, ma intensa espressione del Carducci “Qui è un gran bello stare, con la quale il poeta volle esaltare la bellezza e la serenità di questo luogo”.

Frequentato da un turismo colto e d’élite, nei primi anni del nostro secolo, lo stabilimento è anche ricordato come un luogo ove si mangia e si beve con una spesa addirittura giustificata, e una orchestrina Strauss composta da eccellenti professori che ogni sera ha un nuovo genialissimo e artistico programma per divertire un bel numero di belle ed eleganti signore e signorine e di signori che vi si recano ogni sera.

Nel 1846, poco distanti dagli Acquaviva, sorsero i Bagni Pancaldi, edificati da Vincenzo Pancaldi sulla punta estrema della antica Cala, dei Cavalleggeri, dove il Granduca Leopoldo II di Lorena, detto Canapone per la sua barba bionda, si era fatto costruire un baldacchino in ferro per le bagnature estive.

Nel 1870 i Pancaldi ottennero il titolo di Bagni Regi per le frequenti visite del Principe Amedeo di Savoia e della consorte Maria Vittoria, divenendo un ambiente esclusivo e raffinato, descritto dalle riviste estive dell’epoca come stabilimento balneare di prim’ordine impiantato con criteri di modernità e d’igiene e corrispondente a tutte le esigenze della comodità e del conforto.

All’interno dei Pancaldi, la clientela poteva infatti usufruire di ben aereati ed eleganti camerini da bagno, bagni idroterapici e bagni caldi di mare, oltre la grandissima sala di pattinaggio, elegante e decorosa, una magnifica e luminosa sala di lettura e di ballo, nonché di servizio inappuntabile di caffè, di birreria, gelateria e pasticceria.

Sin dall’Ottocento i Pancaldi si distinguevano nella programmazione di spettacoli musicali e teatrali allestiti nel famoso Caffè Concerto Olympia, interno al bagno, e ricordato come aristocratico ritrovo veramente parigino per l’eleganza dello spettacolo e per la qualità del pubblico era convegno gradito di tutta la colonia balneare e dell’alta società livornese. Per il suo aspetto elegante e signorile e per i servizi esclusivi che venivano offerti, lo stabilimento era frequentato da un turismo aristocratico e da esponenti in vista della politica e delle cultura come Pietro Coccoluto Ferrigni, meglio noto come Yorick, il Carducci, il Pascoli, il Mascagni ed altre personalità del tempo.

In seguito ai bombardamenti della Guerra lo stabilimento fu in parte ricostruito con opere in muratura, come la passerella in cemento, realizzata sull’antico arenile che in origine univa i due bagni. Attualmente i Pancaldi Acquaviva si aprono con due ingressi distinti lungo il Viale Italia tra la Terrazza Mascagni e la Chiesa di San Jacopo, poco lontano dall’Accademia Navale. In seguito all’unione due stabilimenti, il complesso presenta un’architettura ampia e spaziosa che si articola intorno antichi fabbricati principali, ora collegati da una lunga fila di cabine in tela colorate che costeggiano la Passeggiata Lungomare.

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La bellezza. Petit tour del Mugello mediceo

25/06/2018 da Comitato Fiorentino per il Risorgimento

 

  • Autore     Riccardo Nencini
  • Editore    Polistampa
  • Data         giugno 2018
  • Pagine      360
  • Formato:  brossura
  • Prezzo     € 22,00

 

Questo lavoro di Riccardo Nencini, non esattamente un libro di storia né una guida turistica, è invece un atto di lucido, concreto, appassionato amore per la propria terra: una terra bellissima anche se “ballerina“, una terra di borghi d’antica vita civica e di pievi e abbazie dal passato illustre, una terra dalla storia affascinante anche se a tratti drammatica, incastrata fra la Toscana e l’Emilia Romagna. “In realtà questo libro, direttamente o indirettamente autobiografico, è soprattutto un diario dell’anima” come ha scritto lo storico Franco Cardini. “Lettore attento di Dante, interprete di alcuni momenti storici nodali, esegeta finissimo di Giotto, Nencini è un uomo del suo e del nostro tempo che sa e che ama interrogare il passato in funzione del futuro”.

Nencini, Riccardo. – Uomo politico italiano (n. Barberino di Mugello, Firenze, 1959). Laureatosi in Storia presso la facoltà di Scienze politiche dell’università “Cesare Alfieri” di Firenze, ha iniziato la carriera politica come Consigliere comunale ed è stato capogruppo del Partito Socialista Italiano a Firenze. Nel 1992 è stato eletto alla Camera dei Deputati e nel 1994 al Parlamento europeo. Presidente del Consiglio regionale della Toscana dal 2000 al 2010, dallo stesso anno al 2013 è stato Assessore al Bilancio e alle Riforme istituzionali della Regione Toscana. Dal 2008 è Segretario nazionale del Partito socialista italiano, riconfermato nei congressi del 2010, del 2013 e del 2017. Eletto al Senato nel 2013, dal 2014 al 2018 è stato Viceministro delle Infrastrutture e dei Trasporti prima del governo Renzi, e poi del governo Gentiloni. Alle elezioni politiche del 2018 è stato rieletto al Senato.

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La Bora che divide l’Istria

10/02/2018 da Comitato Fiorentino per il Risorgimento

Cristina Battocletti  Sole 24 ore 4 febbraio

Nelida Milani e Anna Maria Mori sono sorelle di uno stesso ventre che non esiste più se non geograficamente, l’Istria: una striscia di terra tra il Golfo di Trieste e quello del Quarnero, che fu italiana dal Trattato di Rapallo del 1920 al Trattato di pace di Parigi del 1947.

Bora. Istria, il vento dell’esilio racconta a quattro mani il passato delle bambine Nelida e Anna Maria, nate nel 1939 e nel 1936, divise dalla Storia, che fece di Nelida prima una cittadina jugoslava e poi croata, e di Anna Maria una profuga e poi di nuovo un’italiana. Un’infanzia iniziata in una terra generosa, tra l’arena romana e le calli veneziane, il mare Adriatico con il sapore di un Sud impensabile per la vicina Trieste, bagnato dalle cantilene giuliano-venete. Una fanciullezza presto sporcata dalla Seconda guerra mondiale, le cui ferite sono affrontate dalle due autrici da adulte, quando entrambe sono già scrittrici, Milani anche docente universitaria e Mori giornalista. Bora, pubblicato vent’anni fa da Frassinelli, oggi torna nelle librerie edita da Marsilio, con la prefazione dello studioso Guido Crainz, per le celebrazioni del 10 febbraio, Giorno del Ricordo, istituito con una legge nel 2004 per rendere onore alle vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati. Una diaspora iniziata già dopo l’8 settembre del 1943 in Dalmazia (una regione che si estende dalle isole Quarnerine a nord-Ovest, sino all’attuale confine tra Montenegro e Albania), continuata fino al 1956, il cui picco venne raggiunto con il Trattato di Pace di Parigi del 10 febbraio 1947, in cui fu istituito il Territorio Libero di Trieste che consegnava la Zona A, da Duino a Muggia, compresa Trieste, all’amministrazione angloamericana; la zona B, la parte nordoccidentale dell’Istria, a quella jugoslava.

Il racconto di vita delle due ragazze, reso in una lingua vividissima, cullata e curata, senza per questo levigare le durezze, mescola testimonianze appassionate e mitologiche di una terra che si rigenera in bellezza, sublimata da Giani Stuparich nell’Eden indelebile di cibi e profumi (L’Isola, Einaudi, 1942; Ricordi istriani, Edizioni dello Zibaldone, 1964). Ma anche la sofferenza di vedere in quella penisola lo stupro bellico raddoppiato dal divieto per gli italiani di conservare le proprie case sudate con il lavoro e di coltivare la propria identità nazionale e linguistica. Lo stesso era accaduto, a parti invertite, durante il ventennio fascista agli sloveni, che non potevano usare il proprio idioma, tanto meno associarsi o avere un giornale. Lo ricorda l’onesta e preziosa ricostruzione di Antonella Scarpa, figlia di esule polesano, che mette in evidenza tanto l’incendio da parte degli squadristi italiani del 13 luglio 1920 al Narodni Dom (la casa della cultura slovena) di Trieste, quanto la strage di Vergarolla, del 18 agosto 1946 a Pola. Qui lo scoppio di mine e materiale bellico uccise quasi cento civili, tra cui i due figli del medico eroe, Geppino Micheletti, che continuò a prestar soccorso e operare i feriti, nonostante avesse riconosciuto tra le vittime i due figli. Una vicenda impressa nella testa di Nelida che rammenta di quando d’improvviso il mare sputava «sangue e fuoco», mentre i polesani erano riuniti sulla spiaggia per assistere a una attesissima regata. Non si sa ancora quali siano state le cause della tragedia: «Autocombustione? Sabotaggio? Atto terroristico? Gli archivi di Roma, di Belgrado e di Londra sono sempre sigillati e la verità non la si sa ancora», denuncia Milani. Dopo quella strage moltissimi italiani se ne andarono «come… un lutto senza fine».

Sono 350mila, sottolinea Crainz, gli esuli sparpagliatisi tra Italia, Europa, America, Argentina e Australia, dopo essere stati prelevati da grandi navi, come la “Toscana”, assieme alle proprie masserizie, lasciate a forza a Trieste, e oggi riunite in quel magnifico museo della nostalgia che è il Magazzino 18 nel porto Vecchio. Tra i polesani in partenza c’è anche Sergio Endrigo che dedica a questa esperienza il brano 1947. «Come vorrei essere un albero che sa dove nasce e dove morirà», canta Endrigo, ricordando così anche i molti che si tolsero la vita per non voler recidere le proprie radici.

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Una Porta per Firenze

01/02/2018 da Comitato Fiorentino per il Risorgimento

L’ex scuola carabinieri sarà la porta di Firenze. Così secondo il Comune di Firenze dovrebbero diventare i grandi spazi vuoti del complesso di Santa Maria Novella, dove fino al dicembre 2016 era ospitata la scuola sottufficiali dei Carabinieri. Così si evince dalle sette idee e quattro linee guida per usare e valorizzare i giganteschi spazi vuoti del complesso di Santa Maria Novella. Le sette idee sono quelle del concorso bandito da Palazzo Vecchio, le quattro linee guida quelle deliberate dalla giunta comunale con le quali saranno lanciati entro il 2018 i bandi di concessione degli spazi. E, come ha dichiarato il Sindaco Dario Nardella, per una «Santa Maria Novella porta della città» che si apra innanzitutto ai 36 milioni di persone che arrivano o partono dalla stazione del Michelucci, ai turisti, ai fiorentini e ai giovani, Palazzo Vecchio punta quindi sulle funzioni di «sicurezza, cultura, ricerca e alta formazione e servizi». Sul fronte sicurezza, una parte del complesso immobiliare rimarrà a disposizione dei Carabinieri, con un presidio fisso a disposizione dei cittadini 24 ore su 24. Per gli spazi culturali ci sarà l’ampliamento del percorso museale e la nuova sede di «Firenze com’era» e dell’archivio fotografico del Comune di Firenze con 112.000 immagini.

Ci sarà anche una nuova area di accoglienza con biglietteria, bookshop, guardaroba e caffetteria.

Se andiamo a vedere poi le idee progettuali proposte, tra cui quella di Palazzo Spinelli ( creare un  polo per il restauro, la valorizzazione e la formazione dei giovani volto alla tutela e alla conservazione dei beni storico-artistici) oppure di Polimoda (una nuova sede per la sua attività, con aule, laboratori e uffici nonché uno spazio per attività culturali ed eventi) ed anche dell’Istituto storico della Resistenza in Toscana (con la realizzazione di una casa della cultura e della storia del Novecento e del tempo presente a Firenze) potremmo valutare positiva questa moderna infastruttura  culturale se non ci fosse il rischio che la cosiddetta Porta sia aperta soprattutto per i milioni di persone che arrivano o partono, insomma per la massa dei turisti piuttosto che per i Fiorentini giovani o anziani, che di fatto verrebbero respinti dal numero preponderante dei forestieri, come di fatto avviene da tempo agli Uffizi o alle Gallerie dell’Accademia.

Ne è conferma il progetto dell’azienda di Bolzano Schweigkofler Communications che prevede la realizzazione di un “Visitor Center 2.0” ( non poteva ovviamente mancare l’ennesimo anglismo) ovvero un luogo digitale per turisti e non solo ( bontà loro), visto come porta d’ingresso digitale per la città, che racconta la sua storia, nonché un luogo per eventi e congressi pubblici e privati.

Una porta d’ingresso all’insegna del contemporaneo, della pervasività del digitale e di eventi mediatici, spalancata quindi al turismo di massa, che a parole gli amministratori di Firenze vorrebbero governare e orientare e che invece nei fatti con questi progetti verrebbe incentivato.

Un turismo ancor più selvaggio non solo accentuerebbe le condizioni attuali di degrado urbano, ma soprattutto stravolgerebbe l’immagine e l’identità di Firenze e farebbe sentire  ancor più i residenti, che  ci vivono e lavorano , stranieri nella loro città.

E’ la globalizzazione, bellezza! Risponderebbe Humphrey Bogart, se vivesse ancora tra di noi.

E certamente la globalizzazione porta senz’altro dei benefici come l’apertura di nuovi orizzonti  sociali e culturali se non diventasse il più delle volte un processo di colonizzazione e di subalternità economica e culturale per chi la subisce passivamente.

E la salvaguardia della identità urbana, della memoria storica di una città come Firenze potrebbe allora essere l’unico modo per i cittadini di vivere positivamente le contraddizioni, le luci e le ombre della globalizzazione senza dover rimpiangere i tempi di Firenze Capitale del Poggi o la Firenzina dei Lorena!

Sergio Casprini

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Legati da una cintola -L’Assunta di Bernardo Daddi e l’identità di una città

22/01/2018 da Comitato Fiorentino per il Risorgimento

Museo del Palazzo Pretorio Prato

8 settembre 2017 / 28 febbraio 2018

 

Un simbolo religioso e civile, fulcro delle vicende artistiche di Prato ed elemento cardine della sua identità: la Sacra Cintola, la cintura della Vergine custodita nel Duomo che per secoli è stata il tesoro più prezioso di Prato, è al centro del nuovo allestimento del Museo di Palazzo Pretorio.

Un tema, quello della reliquia pratese, che consente di accendere un fascio di luce intenso su un’età di grande prosperità per Prato, il Trecento, a partire dalle committenze ad artisti di primo ordine come lo scultore Giovanni Pisano e il pittore Bernardo Daddi, che diedero risonanza alla devozione mariana a Prato come vero e proprio culto civico. La mostra prende spunto da quel prezioso simbolo dall’innegabile valore identitario per intrecciare i fili di un racconto che parla della città e del suo ricco patrimonio di cultura e bellezza custodito sul territorio e riconoscibile al di fuori dei confini locali.

Leggenda, arte e tradizione – L’origine del culto della sacra cintola affonda le sue radici nel XII secolo, la leggenda vuole che la cintura, consegnata a San Tommaso dalla Madonna al momento dell’Assunzione, sia stata portata a Prato verso il 1141 dal mercante pratese Michele e da questi donata in punto di morte, nel 1172, al proposto della pieve. Fra Due e Trecento la reliquia assurse al ruolo di vero e proprio segno dell’elezione della città, santificata da una così preziosa vestigia miracolosamente giunta dalla Terra Santa, e divenne motore delle vicende artistiche pratesi.   

La tavola di Bernardo Daddi – Una delle immagini più prestigiose di tutto il Trecento dedicate all’Assunta e al dono miracoloso della Cintola all’incredulo San Tommaso è la pala di Bernardo Daddi commissionata nel 1337-1338. L’opera nel tempo è stata smembrata e la sua complicata diaspora ha fatto sì che si perdesse la coscienza stessa della sua capitale importanza.  L’allestimento del Pretorio consentirà di tornare ad ammirare nel suo complesso la monumentale macchina dipinta dal Daddi, riunendo i suoi componenti che originariamente comprendevano una doppia predella con la storia del viaggio della cintola e del suo approdo a Prato (questa custodita nel Museo) e la parallela migrazione del corpo di Santo Stefano da Gerusalemme a Roma, perché si riunisse a quello di San Lorenzo (custodita nei Musei Vaticani), e una terminazione con la Madonna assunta che cede la Cintola a San Tommaso (conservata al Metropolitan Museum di New York).

Intorno a questa ricostruzione verrà illustrata la varia fortuna in Toscana dell’iconografia che univa la morte della Vergine e la sua assunzione in cielo. Alcune cintole due-trecentesche documenteranno la bellezza di questo genere di manufatti, puntualmente riprodotto nell’elegantissima Santa Caterina dipinta da Giovanni da Milano nel polittico per lo Spedale della Misericordia, uno dei capolavori del Museo di palazzo Pretorio. A lato delle due predelle del Daddi altre opere esalteranno la felice vena narrativa di questo pittore della scuola giottesca. Una ricca serie di dipinti, sculture e miniature illustrerà le diverse elaborazioni del tema dell’Assunta che dona la cintola, iniziando dal prestito del rilievo eponimo del Maestro di Cabestany, scultore romanico attivo nel Roussillon e in Toscana, prima attestazione del tema della Cintola.

Anche il Duomo di Prato sarà parte integrante di un percorso che permetterà ai visitatori di entrare nella Cappella della Cintola, abitualmente preclusa alla visita, e ammirare il ciclo di affreschi realizzati da Agnolo Gaddi con una visita guidata (si accede con il biglietto di ingresso alla mostra, è consigliabile prenotare l’orario di visita. La Cappella è aperta tutti i giorni dalle 10.30, visite ogni ora fino alle 16.30, la domenica apertura alle 13.30). 

Il biglietto di ingresso alla mostra, oltre alla visita guidata alla Cappella della Cintola, permette uno sconto sulla visita al ciclo di affreschi di Filippo Lippi nel Duomo di Prato.

 

Orari e tariffe

Aperto tutti i giorni (eccetto il martedì non festivo) con orario continuato dalle 10.30 alle 18.30. Chiuso per la festività di Natale.

La biglietteria chiude alle 18

Informazioni e prenotazioni

tel. 0574 19 34 9961 
dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 17 
sabato dalle 9 alle 14

museo.palazzopretorio@comune.prato.it
tour@coopculture.it (per i gruppi)
edu@coopculture.it (per le scuole)

Biglietti di ingresso mostra Legati da una Cintola

Il biglietto consente la visita alla mostra di Palazzo Pretorio e la visita guidata nella Cappella della Cintola nel Duomo di Prato (per l’ingresso alla Cappella è consigliato prenotare – solo dopo aver acquistato il biglietto della mostra – l’orario di visita al call center 0574 1934996)

Intero 
€ 8

Ridotto 
€ 6
• residenti nel comune di Prato 
• over 65
• soci Unicoop Firenze
• possessori tessera Fai 2017
• clienti Trenitalia presentando il proprio abbonamento o biglietto regionale/sovraregionale Toscana il giorno stesso dell’evento

 

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LA BELLEZZA DA RICONQUISTARE

10/01/2018 da Comitato Fiorentino per il Risorgimento

Lettera al Direttore del Corriere Fiorentino

Giovanna Lori Corriere Fiorentino 5 gennaio

Caro direttore, innanzitutto complimenti per il suo bell’articolo pubblicato sul Corriere Fiorentino di martedì  2 gennaio 2018 sul degrado vergognoso in cui versa Bellosguardo.  Io, da fiorentina innamorata della mia città, nel gennaio del 2017, accompagnando mio genero e mia figlia che vivono all’estero a contemplare la vista di Firenze dalla stessa prospettiva di Ugo Foscolo, mi resi conto della situazione indecorosa del luogo e subito cominciai a tempestare di segnalazioni e richieste di intervento il Comune. Niente si è mosso da allora. Mi permetto di inoltrarle quanto da me scritto ai funzionari competenti nel corso dello scorso anno, sperando di contribuire a vincere questa battaglia e pronta ad unirmi a eventuali, ulteriori iniziative che fossero prese.

18 maggio 2017  Buongiorno sig.ra Giovanna Lori Geddes da Filicaia,

le scrivo in merito alla targa posta presso la Piazza di Bellosguardo in qualità di responsabile dell’ufficio che deve provvedere alla conservazione e manutenzione del vasto patrimonio denominato sinteticamente Palazzi e Ville Monumentali. Effettueremo un sopralluogo per verificare le condizioni della targa stessa al fine di definire le modalità di restauro.  Restando a disposizione per ogni eventuale chiarimento, la saluto cordialmente

Arch.Tommaso Muccini

19 giugno 2017 Gentile Architetto Muccini,

esattamente un mese fa, lei, con grande gentilezza e stretto giro di posta, mi rispose in merito alla mia segnalazione relativamente allo stato di degrado e di assoluta illeggibilità della lapide posta in Piazza di Bellosguardo a Firenze. A questo punto le chiedo se il sopralluogo è stato effettuato e se qualcosa si sta muovendo. Come sa io le scrivo non a titolo personale ma in nome e per conto del Comitato fiorentino per il Risorgimento di cui faccio parte e che mi ha incaricata di ciò.
La ringrazio ancora per la sua cortesia e per tenermi informata. In attesa di notizie, la saluto ben cordialmente.

3 gennaio 2018  Dopo questo scambio di missive non ho più saputo nulla e niente è stato fatto. Molto cordialmente,
Giovanna Lori Geddes da Filicaia

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L’editoriale del direttore

Auguri per un felice 2023 e per la libertà e la democrazia nel mondo

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