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Risorgimento Firenze

Il sito del Comitato Fiorentino per il Risorgimento.

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letteratura

Caffè “Giubbe Rosse”

12/04/2019 da Comitato Fiorentino per il Risorgimento

Piazza della Repubblica 13/14r Firenze

Il caffè storico-letterario “Giubbe Rosse” è uno dei più noti  Caffè storici italiani, un  crocevia della letteratura, dell’arte e della cultura del ‘900

Alla fine dell’Ottocento l’amministrazione comunale di Firenze decise di radere al suolo l’antico quartiere del Mercato Vecchio, per far posto ad una nuova piazza dedicata a Vittorio Emanuele II  (oggi piazza della Repubblica) ed in quella piazza fu aperto nel 1896  il Caffè-Birreria dei fratelli Reininghaus, poi successivamente chiamato le Giubbe Rosse  dal nome del colore delle nuove giacche dei camerieri quando nel 1910 un cambio di proprietà lo ristrutturò in stile liberty, tanto che i fiorentini, trovando difficoltà nel pronunciare il nome straniero del caffè, preferivano dire: “andiamo da quelli delle giubbe rosse”.

All’inizio era un circolo scacchistico dove si narra sia passato Vladimir I.Lenin appassionato della scacchiera, ed anche poeti ed intellettuali tra i quali Gordon Craig, Andrè Gide, Medardo Rosso.

Nel 1913 divenne sede fìssa dei futuristi fiorentini, trasformandosi in luogo di incontro per letterati e artisti italiani e stranieri.Fu teatro per esempio della rissa tra i futuristi milanesi di Marinetti e gli artisti fiorentini raccolti intorno alla rivista La Voce, sulla quale Ardengo Soffici pubblicò un articolo che attaccava i rivali futuristi.  Dal 1914 che vide gli intellettuali dividersi tra interventisti e pacifisti si passò al ventennio in cui la libertà culturale era controllata da un regime autoritario; esempio ne è una copia della bella fotografia di Cartier-Bresson che presenta Piazza Vittorio in quegli anni desolatamente vuota.

 In quegli anni alle “Giubbe Rosse” frequentatori insigni divengono Giuseppe De Robertis, Eugenio Montale, Umberto Saba, Carlo Emilio Gadda, Bonaventura Tecchi, la rivista di riferimento è appunto “Solaria” con Alessandro Bonsanti, Alberto Carocci ed altri che al Caffè tengono la redazione del periodico.
In continuità con il periodo precedente prende il via la Stagione dell’Ermetismo con la rivista “Frontespizio” nel ’31 e “Letteratura” nel ’37 e le presenze di Carlo Bo, Mario Luzi, Tommaso Landolfi, Oreste Macrì.

Nel ’38 esce la rivista “Campo di Marte” che elegge anch’essa il locale a proprio luogo di redazione con Alfonso Gatto, Vasco Pratolini, Pieto Bigongiari, Alessandro Parronchi.

Nel periodo dell’Ermetismo in cui Montale fu indotto a rassegnare le dimissioni dal Gabinetto Scientifico-letterario ‘Vieusseux’, le tradizionali giubbe rosse dei camerieri vennero sostituite da giacche bianche. Durante la guerra di liberazione il locale divenne base di frequentazione delle truppe alleate.

Al termine del secondo conflitto mondiale i camerieri indossano nuovamente le giubbe rosse e riprende la frequentazione del locale sia da parte degli intellettuali degli anni 30 che da altri come Elio Vittorini, Salvatore Quasimodo, Luciano Guarnieri e Antonio Bueno.

Termina alla metà del 900 quello che può essere indicato come il periodo  d’oro delle  Le Giubbe Rosse; Firenze, anche per lo spostamento di importanti iniziative editoriali verso Milano e Roma, non è più il principale luogo di riferimento, il Caffè perde il ruolo di casa dei letterati.

Il 21 dicembre 2018 il Tribunale di Firenze dichiara il fallimento della società che gestisce il locale con conseguente rischio di chiusura dello storico caffè.

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Lessico femminile. Le donne tra impegno e talento 1861-1926

11/03/2019 da Comitato Fiorentino per il Risorgimento

Firenze, Palazzo Pitti, Galleria d’arte moderna

Sala del Fiorino dal 7 marzo 2019 al 26 maggio 2019

 

Quest’anno le Gallerie degli Uffizi celebrano l’8 marzo con una mostra dedicata all’impegno professionale e al talento delle donne in Italia, tra Ottocento e Novecento.

I termini cronologici si riferiscono a due eventi precisi: l’iscrizione di alcune lavoratrici alla Fratellanza Artigiana nel 1861, e il premio Nobel conferito a Grazia Deledda nel 1926 per il romanzo Canne al Vento. Sono due date simboliche, che tuttavia segnano la storia di un riscatto dell’immagine femminile e del ruolo pubblico delle donne nel periodo post-unitario. Opere d’arte, fotografie ed oggetti illustrano le diverse forme di operosità dell’universo muliebre, descrivendo energie e risorse spesso non riconosciute.

 Le contadine ad esempio, dedite alle pratiche agricole collegate al ciclo delle stagioni dovevano anche occuparsi degli animali nella fattoria.

 E nei momenti di sosta dal lavoro più duro, rammendavano, lavoravano a maglia o intrecciavano la paglia, come si può vedere in numerosi dipinti di Silvestro Lega esposti in galleria.
Altro futuro attendeva le donne borghesi, che potevano studiare e intraprendere una carriera scolastica, diventare artiste e perfino scrittrici.

 In quest’ultimo caso, tuttavia, venivano limitate a generi e argomenti considerati specificamente femminili: la scrittura per l’infanzia o per libri di scuola, o articoli in periodici per le giovinette sulle ultime novità della moda, sull’economia domestica, sull’etichetta e le buone maniere.
La quiete apparente dei salotti offrì spesso copertura, invece, a pensieri rivoluzionari e patriottici, e fu terreno per una fervida vita intellettuale. In quel periodo Firenze fu meta prediletta e luogo di incontro per figure di spicco nel mondo femminile non solo della letteratura e dell’arte, ma anche dell’impegno sociale e politico, su scala internazionale: qui vissero donne formidabili quali, tra le altre, Elizabeth Barrett Browning, Jessie White Mario, Theodosia Garrow Trollope, Margaret Fuller.
La mostra, realizzata in collaborazione con Advancing Women Artists, si sviluppa scenograficamente attorno ad un nucleo centrale di opere di grandi dimensioni, così da far emergere le protagoniste femminili come sul palcoscenico di un teatro. Il percorso prosegue nelle collezioni della Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti – dove è custodita una delle più significative raccolte sul tema del lavoro delle donne nei campi fra Ottocento e Novecento – attraverso un fil rouge visuale con didascalie e focus, oltre a una proiezione multimediale dedicata alle donne nei loro ambienti di lavoro.

 

Firenze, Palazzo Pitti, Galleria d’arte moderna,
Sala del Fiorino dal 7 marzo 2019 al 26 maggio 2019
Orario
Da martedì a domenica
8.15 – 18.50 (ultimo ingresso alla mostra alle ore 18.30)
chiuso il lunedì
Servizio didattico per le scuole                           
Visita guidate per le scolaresche solo su prenotazione. Costo di € 3.00 ad alunno.
Info e prenotazioni: Firenze Musei 055.294883
Servizio visite guidate
Info e prenotazioni: Firenze Musei 055.290383
e-mail firenzemusei@operalaboratori.com
La mostra è inclusa nel biglietto dei musei di Palazzo Pitti info 
 

 

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Boldini e la moda

20/02/2019 da Comitato Fiorentino per il Risorgimento

Palazzo dei Diamanti Corso Ercole I d’Este 21 Ferrara

16 febbraio – 2 giugno

 Boldini sapeva riprodurre la sensazione folgorante che le donne sentivano di suscitare quand’erano viste nei loro momenti migliori.» Con queste parole Cecil Beaton, tra i primi e più celebri fotografi di moda del Novecento, sanciva il talento del pittore ferrarese nel ritrarre la voluttuosa eleganza delle élite cosmopolite della Belle Époque, nel saper celebrare le loro ambizioni e il loro raffinato narcisismo.

Affermatosi nella Parigi tra Otto e Novecento, baricentro di ogni tendenza dell’eleganza e della modernità, Boldini ha dato vita ad una formula ritrattistica chic e “alla moda” con la quale ha immortalato i protagonisti e le celebrities di un’epoca mitica, da Robert de Montesquiou a Cléo de Mérode, da Lina Cavalieri alla marchesa Casati. 

Nella sua opera la moda ha rivestito un ruolo essenziale: colta inizialmente per quel suo essere quintessenza della vita moderna, elemento che ancora l’opera alla contemporaneità, la moda – intesa come abito, accessorio, ma anche sofisticata espressione che trasfigura il corpo in luogo del desiderio – diviene ben presto un attributo essenziale e distintivo della sua ritrattistica. Grazie ad una pittura accattivante, che unisce una pennellata nervosa e dinamica all’enfatizzazione di pose manierate e sensuali volte ad esaltare tanto le silhouette dei modelli quanto le linee dei loro abiti, e con la complicità delle creazioni dei grandi couturier come Worth, Doucet, Poiret e le Sorelle Callot, Boldini afferma una personale declinazione del ritratto di società che diviene un vero e proprio canone, modello di stile e tendenza che anticipa formule e linguaggi del cinema e della fotografia glamour del Novecento. 

La mostra indagherà dunque, per la prima volta, il lungo e fecondo rapporto tra Boldini e il sistema dell’alta moda parigina e il riverbero che questo ebbe sulla sua opera di ritrattista oltre che su quella di pittori come Degas, Sargent, Whistler e Paul Helleu.

Ordinata in sezioni tematiche, ciascuna patrocinata da letterati che hanno cantato la grandezza della moda come forma d’arte, da Baudelaire a Wilde, da Proust a D’Annunzio, la rassegna propone un percorso avvincente tra dipinti, meravigliosi abiti d’epoca e preziosi oggetti dalla valenza iconica che racconteranno i rapporti tra arte, moda e letteratura nella Belle Époque e immergeranno il visitatore nelle atmosfere raffinate e luccicanti della metropoli francese e in tutto il suo elegante edonismo.

Mostra a cura di Barbara Guidi con la collaborazione di Virginia Hill
Organizzata dalla Fondazione Ferrara Arte e dalle Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea di Ferrara

 

Boldini e la moda
16 febbraio – 2 giugno 2019
Aperto tutti i giorni 9.00 – 19.00
Aperto anche Pasqua, Lunedì dell’Angelo, 25 aprile, 1 maggio e 2 giugno
 Biglietti: Intero: euro 13,00
Ridotto: euro 11,00 (dai 6 ai 18 anni compresi, disabili, over 65, studenti universitari, categorie convenzionate)
Gruppi (minimo 15 persone): euro 11,00 (1 accompagnatore gratuito ogni 20 paganti)
Università (minimo 15 persone, da lunedì a venerdì): euro 7,00 (2 docenti gratuiti per ogni gruppo)
Scuole: euro 5,00 (2 accompagnatori gratuiti per ogni classe)
Gratuito: bambini sotto i 6 anni, disabili al 100% con un accompagnatore, giornalisti e guide turistiche con tesserino, membri ICOM, militari in divisa

 

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Ottocento. L’arte dell’Italia tra Hayez e Segantini

13/02/2019 da Comitato Fiorentino per il Risorgimento

Musei San Domenico. Piazza Guido da Montefeltro 12 Forlì

Dal 9 febbraio al 16 giugno 2019, i Musei San Domenico ospitano una grande e inedita mostra, curata da Fernando Mazzocca e Francesco Leone, che indaga e illustra un periodo storico caratterizzato da speranze e turbamenti di cui l’arte si è fatta narratrice registrandone ogni umore e sentimento

L’Unità di Italia è il punto di partenza e l’inizio della Grande Guerra quello d’arrivo. Durante questo arco di tempo -individuato dal comitato scientifico come parterre di studio e ricerca fra attaccamento alla tradizione e slancio verso il moderno- si sono infatti susseguiti, incontrati e intrecciati alcuni tra i più importanti, e determinanti, movimenti della storia dell’arte.

Dal tramonto del Romanticismo alla rivoluzione macchiaiola e divisionista, passando per il Realismo, l’eclettismo storicista e il Simbolismo, ne consegue un mosaico di opere vario e differenziato, sia per temi che per tecniche, ma che attraverso ogni singolare contribuito rivela le attese, le speranze e le delusioni di un’Italia neonata e ancora fragile. Se in letteratura c’erano Carducci, Pascoli e Gozzano e in musica Verdi, Puccini e Mascagni, aedi dell’arte nel raccontare la spaccatura antropologica, sociale, economica e culturale del Belpaese erano Hayez, i fratelli Induno, Fattori, Lega, Boldini, Previati, Pellizza da Volpedo, Balla e Boccioni, solo per citarne alcuni.

Dieci sezioni inglobano le opere più iconiche del periodo, presentando alcuni capolavori difficilmente trasportabili e per questo non sempre disponibili come La distruzione del Tempio di Gerusalemme di Hayez, I funerali di Britannico di Muzzioli, Lo staffato di Fattori, L’Alzaia di Signorini, La lettura sul mare di Corcos, Lo specchio della vita di Pellizza da Volpedo e Le due madri di Segantini. In tal modo più generi vengono messi a confronto sia direttamente, diatriba tradizione (arte nazional popolare) e modernità, che trasversalmente attraverso la presentazione di più generi pittorici, dallo storico mitizzante le recenti lotte risorgimentali alla denuncia sociale, dal ritratto al paesaggio. Le due personalità guida nell’approfondimento storico-artistico che offre l’esposizione sono Hayez, il primo e l’ultimo dei romantici, e Segantini che nella seconda metà del secolo ha rinnovato la propria ricerca espressiva abbandonando la figurazione di soggetto storico per lasciarsi al dialogo intimo con la natura.

Non solo grandi nomi ma anche artisti inspiegabilmente trascurati o dimenticati, non solo pittura ma anche scultura con Cecioni, Butti, Monteverde, Gemito, Bistolfi, Canonica e Troubetzkoy, per offrire al pubblico una visione quanto più possibile complessiva e acuta

Ottocento. L’arte dell’Italia tra Hayez e Segantini 
dal 9 febbraio al 16 giugno 2019
Orari: Da martedì a venerdì:
9.30 – 19.00
sabato, domenica, giorni festivi:
9.30 – 20.00
La biglietteria chiude un’ora prima
Lunedì chiuso. 22 e 29 aprile
apertura straordinaria
Prezzi: Intero € 12,00,Ridotto € 10,00
Per gruppi superiori alle 15 unità, minori di 18 e maggiori di 65 anni, titolari di apposite convenzioni, studenti universitari con tesserino.
Speciale € 5,00 per scolaresche delle scuole primarie e secondarie, bambini dai 6 ai 14 anni. Biglietto speciale aperto € 13,00. Visiti la mostra quando vuoi, senza date e senza fasce orarie; puoi regalarlo a chi desideri.Biglietto speciale famiglia € 25,00
valido per l’ingresso di due adulti e uno/due bambini (fino ai 14 anni).
Biglietto integrato € 14,00 intero – € 12,00 ridotto valido per l’ingresso alla mostra e ai musei della Città (Pinacoteca Civica e Palazzo Romagnoli).
Gratuito per bambini fino ai 6 anni, un accompagnatore per ogni gruppo, diversamente abili con accompagnatore, due accompagnatori per scolaresca, giornalisti con tesserino, guide turistiche con tesserino.
Il biglietto comprende: le radioguide (obbligatorie per i gruppi) e le audioguide (disponibili anche in inglese; versione speciale per bambini)
 

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Fedele, il soldato che salvò la vita a Hemingway

22/01/2019 da Comitato Fiorentino per il Risorgimento

Un toscano di 26 anni fece scudo allo scrittore americano

Michele Farina Corriere della Sera 22  gennaio

Dopo cento anni, forse qualcuno ha finalmente dato un nome al soldato italiano che la notte dell’8 luglio 1918 salvò di fatto la vita a Ernest Hemingway durante la Prima guerra mondiale. Il colpo di mortaio partito dalle linee austriache dilaniò il corpo di un giovane militare che stava di fronte a Hemingway, facendo da scudo al diciottenne della Croce Rossa americana arrivato in moto per distribuire cioccolato e sigarette ai combattenti. Ernest, gravemente ferito, fu trasportato all’ospedale di Milano dove rimase sei mesi. Guarì, raccontò le sue esperienze di guerra, diventò uno dei più grandi scrittori del Novecento.

Sull’argine del Piave, a Fossalta, c’è una stele che ricorda lo scrittore di «Addio alle armi», allora autista volontario di ambulanze, nel punto dove fu ferito.  Non una parola su chi gli stava accanto, sull’involontario «salvatore» rimasto ignoto per oltre un secolo. Fedele Temperini, toscano di Montalcino: secondo il biografo James Mcgrath Morris, questo è il nome dello sconosciuto «Italian soldier» che indirettamente, come «effetto collaterale» della sua morte in guerra, ha permesso che ci arrivassero capolavori come «Il vecchio e il mare». Nessuno, scrive l’autore sul Washington Post, era mai riuscito a identificare prima d’ora il ragazzo «senza il quale il mondo non avrebbe conosciuto Hemingway e le sue opere». In un libro uscito nel 2017, “The Ambulance Drivers: Hemingway,  Dos Passos, and a Friendship Made and Lost in War”, Mcgrath Morris ha raccontato l’esperienza e l’amicizia dei due giovani americani guidatori di ambulanze (e futuri scrittori) durante la Grande Guerra. In fondo al libro, ricorda il biografo, «avevo trascritto i nomi dei 18 soldati italiani che secondo i documenti ufficiali erano morti in battaglia nella notte in cui Hemingway fu ferito». Da quei diciotto nomi, «con l’aiuto dello storico Marino Perissinotto, siamo riusciti a individuare quello del giovane soldato che salvò la vita a Hemingway». Perissinotto, un appassionato di storia bellica che vive a San Donà di Piave, legge il libro di Mcgrath Morris e si mette in contatto. È lui, racconta l’americano, a condurre la ricerca: «Identificando i luoghi dove erano dislocati i reparti dei 18 soldati, la caccia si restringe a tre che sono caduti in quell’area l’8 luglio. Due appartenevano al 152° Reggimento di Fanteria della Brigata Sassari, che però si trovava a qualche distanza dal Piave. Il terzo invece era del 69° Reggimento della Brigata Ancona, che stazionava proprio sulla prima linea, a Fossalta,  nella zona dove si registrarono i combattimenti più duri». È questo terzo soldato caduto «il salvatore» di Hemingway, secondo la ricostruzione di Mcgrath Morris e Perissinotto: i registri dell’esercito riportano il nome di Fedele Temperini, di Montalcino, in Toscana. Aveva 26 anni, scrive il biografo americano: «Le leggi italiane sulla privacy ci impediscono di saperne di più, ma alla fine, almeno, abbiamo il suo nome». Fedele: uno delle migliaia di ragazzi che morirono facendo muro all’avanzata austriaca sulla linea del Piave (nel corso della Prima guerra mondiale i caduto furono oltre 600 mila). Quello che, indirettamente, come «effetto benefico» della sua morte, ci ha regalato (ha reso possibili) «Per chi suona la campana» e «Di là dal fiume e tra gli alberi». La storia ricorda che il futuro premio Nobel per la Letteratura fu colpito dalle schegge in quella notte d’estate: sarà decorato con la medaglia d’argento per essersi prodigato, nonostante la ferita, nel salvataggio di altri. Nel suo libro Mcgrath Morris racconta di come il giovane Ernest fu protetto dal corpo di un soldato italiano dilaniato dal colpo di mortaio. «Adesso abbiamo trovato il suo nome, che merita di essere ricordato nelle biografie dello scrittore, e sul monumento lungo l’argine del Piave».

 

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Donne e Grande Guerra

16/01/2019 da Comitato Fiorentino per il Risorgimento

Lingua e stile nei diari delle crocerossine. Il caso di Sita Camperio Meyer

Autori         Barbara Cappai, Rita Freu

Editore         Franco Angeli

Collana        Studi di linguistica, Filologia, Letteratura linguistica

Anno            2018

Pag.              176

Prezzo          €  22,00

 

Le crocerossine italiane raccontarono la loro permanenza al fronte durante la Grande guerra, affidando il ricordo di quell’esperienza drammatica a diari e memoriali. Tali testi, il cui valore documentario è riconosciuto sul piano storico, si rivelano fertile terreno di indagine anche in prospettiva linguistica: in quanto componimenti stilati da scriventi per lo più colte ma privi di intenti letterari, né concepiti per una diffusione pubblica, i diari delle infermiere costituiscono un valido banco di prova per cogliere i livelli intermedi di scrittura delle donne, sulla cui difficile individuazione, nella storia linguistica italiana, si è più volte insistito. In una simile visuale, il volume prende in esame la produzione diaristica delle crocerossine all’interno del più ampio quadro della scrittura femminile italiana otto-novecentesca, con particolare riferimento al drammatico evento del primo conflitto mondiale. Si sofferma poi, nello specifico, su Luci ed ombre di eroi. Dal diario d’infermiera in zona d’operazione. Guerra italo-austriaca (1932), che la lombarda Sita Camperio Meyer (1877-1967), fondatrice della prima Ambulanza-scuola femminile della Croce Rossa Italiana, stilò dal maggio all’ottobre del 1917, mentre prestava servizio nell’Ospedaletto n. 75 di Sagrado, presso Gorizia.

Barbara Cappai (Cagliari, 1989) ha conseguito la laurea magistrale in Filologie e letterature moderne presso l’Università di Cagliari, discutendo una tesi in Storia della lingua italiana. I suoi principali interessi di ricerca concernono la scrittura femminile durante la Grande guerra. Attualmente è borsista presso la sede centrale della Biblioteca del Distretto delle Scienze umane di Cagliari.

Rita Fresu (Roma, 1967) insegna Linguistica italiana e Storia della lingua italiana presso l’Università di Cagliari. I suoi interessi di ricerca sono principalmente incentrati sulle scritture non istituzionali, sui processi di italianizzazione, sulle questioni di genere (osservate soprattutto in prospettiva diacronica). Per FrancoAngeli ha pubblicato L’infinito pulviscolo. Tipologia linguistica della (para)letteratura femminile in Italia tra Otto e Novecento (2016).

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L’Italia esisteva già prima di diventare Stato

03/12/2018 da Comitato Fiorentino per il Risorgimento

Lettere al Corriere della sera

30 novembre 2018

Caro Aldo, leggo sul Corriere che «gli austriaci avevano occupato l’Italia militarmente impiccando i patrioti». Lo Stato italiano esiste dal 21 marzo 1861 e non trovo traccia di occupazioni austriache del nostro territorio. Per completezza del suo ragguaglio, vorrei conoscere le date delle suddette incursioni. Nerio de Carlo

Caro Nerio, È vero che lo Stato unitario esiste solo dal 1861. Ma l’Italia esisteva già. Questo ha di straordinario la nostra patria. Non è nata da una guerra o da un matrimonio dinastico, non dagli intrighi della politica e della diplomazia. È nata dalla letteratura, dall’arte, dalla bellezza, dalla cultura. È nata dai versi di Dante – «ahi, serva Italia, di dolore ostello…» – e di Petrarca: «Italia mia, benché ‘l parlar sia indarno…». Alla vigilia della guerra di Chioggia, Petrarca scrisse una lettera ai dogi di Venezia e di Genova, per scongiurarli di non combattersi, con l’argomento che le due Repubbliche erano gli occhi d’Italia, e all’Italia servivano entrambi. La missiva non fu tenuta in nessun conto; eppure un seme era stato gettato. «Italia e libertà» era scritto sugli scudi dell’esercito della Serenissima, sconfitto nel 1509 ad Agnadello, alle porte di Milano. Ai tempi del Risorgimento, di cui forse dovremmo essere più orgogliosi, gli austriaci occupavano militarmente il Lombardo-Veneto, impiccando i patrioti (ricorda i martiri di Belfiore? E Amatore Sciesa, che si fa condurre alla forca rifiutando di fare i nomi dei compagni?), e controllavano più o meno direttamente il resto della penisola, tranne il Piemonte.

Non a caso, sconfitti gli austriaci a Solferino e San Martino, il loro dominio sull’Italia viene giù come un castello di carte. Continuarono anche dopo il 1861 a occupare il Veneto, e quando nel 1866 si ritirarono da Verona spararono sulla folla in festa, uccidendo una donna di 25 anni incinta, Carlotta Aschieri. Continuarono a occupare Trento e Trieste fino al 1918: l’immagine dei soldati che scherniscono Cesare Battisti sulla forca contribuì alla mobilitazione nazionale nella Grande Guerra. Invasero l’Italia fino al Piave, uccisero civili, violentarono migliaia di donne. E c’erano ovviamente soldati austriaci tra le truppe tedesche che occuparono il nostro Paese dopo l’8 settembre 1943. Ora siamo diventati amici. Ma non è una buona ragione per dimenticare gli italiani per cui l’Italia era una cosa seria, che valeva la vita. Aldo Cazzullo

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La più bella del mondo. Perché amare la lingua italiana

28/11/2018 da Sergio Casprini

 

  • Autore Stefano Jossa
  • Editore Einaudi
  • Anno 2018
  • Pagine 195
  • Prezzo € 17,00

 

Stefano Jossa ci racconta sei storie: quella di una lingua inventata, quella della rima, di un’arte che esprime sempre anche qualcos’altro rispetto a ciò che sta dicendo, di un pranzo con Dante, di un poeta a Sanremo, di un indovinello insolubile.

Queste storie ci fanno scoprire non solo che l’italiano è una lingua splendida, ma che la amiamo per le sue forme, per il modo in cui si è organizzata, modificata e modulata nel tempo. Amiamo la sua capacità di costruire senso attraverso il suono e di dire cose che vanno al di là dell’enunciato. Amiamo, spesso ignorandolo, la sua letteratura. Nessuna lingua esiste senza la letteratura, che la rende un organismo vivente, portandola dall’universo della descrizione a quello dell’emozione, dell’invenzione.

L’italiano è nato come lingua letteraria e di questa origine ha conservato una fortissima impronta nel corso dei secoli.

 

 Stefano Jossa, nato a Napoli nel 1966, si è laureato in lettere con Giancarlo Mazzacurati presso l’Università degli Studi di Napoli “Federico II” nel 1988 e ha conseguito il dottorato di ricerca presso l’Università degli Studi di Pisa nel 1993. Dal 2007 lavora presso Royal Holloway (University of London), prima come lecturer, poi come senior lecturer. Ha tenuto corsi su Dante, Petrarca, Boccaccio, il Rinascimento italiano, Ariosto, il Risorgimento, la costruzione dell’identità nazionale in Italia, il teatro italiano contemporaneo. Ha partecipato a numerose opere collettive, sia tra le più tradizionali, come il Dizionario biografico degli italiani, sia tra le più innovative, come il Dizionario dei temi letterari (Utet 2007) e l’Atlante della letteratura italiana (Einaudi 2010). Tra i suoi contributi si ricordano: Un paese senza eroi: L’Italia da Jacopo Ortis a Montalbano, Editori Laterza, 2013; Rappresentazione e scrittura. La crisi delle forme poetiche rinascimentali (1540-1560), La Scuola di Pitagora, 2013; Citation, Intertextuality and Memory in the Middle Ages and Renaissance, Exeter University Press, 2011; Ariosto. Profili di storia letteraria, Il Mulino, 2009; L’Italia letteraria, Bologna: Il Mulino, 2006; ; La fondazione di un genere. Il poema eroico tra Ariosto e Tasso, Carocci, 2002; La fantasia e la memoria. Intertestualità ariostesche, Liguori, 1996

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Novecento in musica

14/08/2018 da Sergio Casprini

Protagonisti, correnti, opere. I primi cinquant’anni.

Autore       Fiamma Nicolodi

Editore      Il Saggiatore

Collana      La cultura

Anno          2018

Pagine        286

Prezzo        € 28.00

 

Se ci volgiamo a osservare i primi cinquant’anni del Novecento musicale in Italia, il tempo sembra restituire un’immagine inaspettata: una galassia di associazioni stellari, di polveri diversamente rifulgenti, di pianeti elusivi eppure connessi dalla stessa forza gravitazionale

Alcuni destinati alla deriva, altri all’immortalità, ma tutti a loro modo protagonisti di decenni decisivi della storia italiana. Il Futurismo di Francesco Balilla Pratella e Luigi Russolo, gli esordi della Scuola di Vienna e i Canti di prigionia di Luigi Dallapiccola. I dibattiti di Giannotto Bastianelli e Ildebrando Pizzetti sulla Voce, la nascita del Pianoforte e della Rassegna musicale di Guido M. Gatti. La perenne lotta italiana tra nazionalismo e internazionalismo, modernità e tradizione, tonalità e atonalità. La figura del compositore-critico, emblematicamente rappresentata da Ferruccio Busoni. Il respiro di Roma, tra i concerti sinfonici di Santa Cecilia, le manifestazioni del Teatro delle Arti, l’attività del Teatro dell’Opera e l’ascesa di Goffredo Petrassi. La lungimirante scrittura critica di Gianandrea Gavazzeni, gli epistolari di Francis Poulenc. Una mappatura astrale, quella compiuta da Fiamma Nicolodi, ricca di storie e scoperte inattese. Sempre in elegante equilibrio tra il rigore della critica e la narrazione di un’epoca che ha sconvolto ogni certezza politica, ideologica e culturale, “Novecento in musica” annota ricordi, testimonianze, intuizioni teoriche, innovazioni tecniche che hanno scritto una nuova pagina della nostra storia. Un esercizio di memoria e di lettura che rintraccia i sottili legami e le inconciliabili differenze, le metamorfosi e gli angoli umbratili di un secolo che è stato chiamato a definirsi in una tradizione ma che, se colto nell’istante del suo farsi, si dimostra l’artefice di straordinarie, spesso ancora celate rivoluzioni.

Fiamma Nicolodi è stata professore di Musicologia e Storia della musica all’Università di Firenze. Della sua feconda attività scientifica, oltre alla direzione di numerosi progetti di ricerca, ricordiamo le pubblicazioni di Musica e musicisti nel ventennio fascista (Discanto 1984), Lemmario del lessico della letteratura musicale italiana (1490-1950) (con Renato Di Benedetto e Fabio Rossi, Cesati 2012), Novecento in musica. Protagonisti, correnti, opere. I primi cinquant’anni (Il Saggiatore 2018) e la curatela della raccolta degli scritti di Luigi Dallapiccola Parole e musica (il Saggiatore 1980). Fra i suoi campi di indagine: Rossini, Meyerbeer, la Generazione dell’80, Dallapiccola, Petrassi, Berio, i il nazionalismo, il fascismo, i rapporti tra Italia-Francia, Italia-Spagna.

 

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La ragazza di Marsiglia

13/06/2018 da Comitato Fiorentino per il Risorgimento

Autore     Maria Attanasio

Editore     Sellerio

Anno         2018

Pag.           344

Prezzo       € 15,00

 

Chi sfogliasse “L’album dei Mille“, galleria fotografica degli eroi dell’impresa garibaldina, al n. 338 troverebbe la foto di Rosalia Montmasson, l’unica donna che s’imbarcò alla volta della Sicilia.

Chi era quest’oscurata protagonista del Risorgimento? Una ragazza che incontra e si innamora di un giovane rivoluzionario pieno di sé, e per amore lo segue in tutte le avventure fino a quando lui l’abbandona? Oppure un’intransigente repubblicana che si lega a un patriota, che alla fine ne tradisce gli ideali? Per vent’anni Rosalia Montmasson fu moglie di Francesco Crispi, che seguì in tutti gli esili, condividendone azione e utopia, senza paura e senza riserve, facendosi cospiratrice e patriota al servizio della causa mazziniana. Si erano incontrati a Marsiglia: lui esule in fuga dalla Sicilia borbonica, lei lavandaia stiratrice che si era lasciata alle spalle l’asfittico paesino d’origine dell’Alta Savoia. Diventata mazziniana anche lei, entrò a poco a poco nella vita di riunioni e di azioni clandestine di lui, perfino le più rischiose e forse terroristiche, giungendo ad assumere un proprio ruolo, stimato anche da Mazzini. Poi l’impresa garibaldina, l’Unità, e la svolta monarchica di Crispi. Le divergenze e i contrasti tra Francesco e Rosalia si accentuarono, ormai la ragazza di Marsiglia è solo un impiccio sentimentale e politico per lui, che nel 1878 – divenuto potente ministro – riuscì con cavilli formali e l’avallo di una compiacente magistratura a farsi annullare il matrimonio.

Da quel momento, Rosalia Montmasson fu fatta sparire dalla vita di Crispi, dai libri e dalla memoria storica.

 

Maria Attanasio (Caltagirone, 1943) è una poetessa e scrittrice italiana, autrice di romanzi e di saggi. È stata preside al liceo classico della città natale e consigliere comunale del PCI; in seguito, sempre di sinistra ma indipendente. In politica è stata la prima donna dirigente del comprensorio del Calatino. Oltre che poesie e romanzi brevi, scrive e pubblica saggi su storia e letteratura, e collabora a riviste, tra cui “Autobus”, “Cobold”, “Nuovi Argomenti”, “Per approssimazione”, “U & G”, “Spirali”, “Tabella di marcia” . Ha collaborato anche col quotidiano “La Sicilia”.  Come poetessa, scarna e concisa, sublima melodicamente la femminilità tenera e nel contempo la sete di giustizia sociale che sfocia in un femminismo delicato ed incisivo politicamente.  Nei suoi romanzi si mischiano storia realmente accaduta e fantasia, facendo muovere i personaggi realmente esistiti in azioni fantasiose, senza mai distorcere nulla alla “storia” del personaggio ed immergendo i suoi eroi in azioni metaforiche e di ribellione contro una società ingiusta ed un destino che “poteva essere ben diverso” se… La storia viene vista con i se ed i ma, senza per nulla negare alla realtà la sua materialità avvenuta, ma dando stocasticamente rilievo al fato dei greci e speranza ai destini crudeli.  Da preside del liceo Classico ha aperto una sezione di Liceo Linguistico, attivissima ed aperta alle nuove metodiche pedagogiche e didattiche, con conferenze e dibattiti, anche in Rai.

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