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Risorgimento Firenze

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Dostoevskij

60 anni di umanesimo scientifico

24/04/2017 da Comitato Fiorentino per il Risorgimento

Armando Massarenti    Il sole 24 ore 16 aprile

E’ il 25 aprile 1945. Ludovico Geymonat vuole che nel colophon dei suoi Studi per un nuovo razionalismo, usciti per un piccolo editore (Chiantore), ci sia scritta, ben chiara, proprio quella data. La Liberazione doveva essere anche una liberazione da una morsa culturale in cui è stretto un Paese che ha abbracciato l’idea che i protagonisti della rivoluzione conoscitiva del Novecento non siano Einstein o Gödel o Freud, ma i pensatori del neoidealismo italiano. Un’idea che, secondo Geymonat, avrebbe condannato l’Italia a un eterno sottosviluppo, di cui auspicava la fine insieme a quella del regime fascista. Il suo ambizioso programma filosofico prevedeva la ricollocazione della scienza al centro di una concezione unitaria della cultura, non divisa assurdamente in umanistica da un lato e scientifica dall’altro l’una contro l’altra armate. Pochi tra i protagonisti della scena intellettuale del secondo dopoguerra ebbero la lucidità di Geymonat, che era ben consapevole del carattere rivoluzionario delle sue idee. Tra questi vi era Paolo Boringhieri (1921-2006). Figlio di una famiglia svizzera, ingegnere appassionato di filosofia, convinto che la modernizzazione della società italiana passasse attraverso la diffusione delle conoscenze scientifiche, arrivò a conclusioni simili a quelle geymonatiane per vie assai diverse.

La storia della gloriosa casa editrice che porta il suo nome (cui si è aggiunto nel 1987 quello di Giulio Bollati) rappresenta anch’essa una reazione a quella temperie culturale ed è uno degli episodi più emblematici dell’atteggiamento adottato persino dal meglio della cultura italiana del tempo – salvo pochissime eccezioni – nei confronti della scienza. Il neoidealismo di Croce – proprio perché espressione di un grande intellettuale che pure si era battuto per la libertà – attecchì nel dopoguerra, con la sua impronta storicista e letterario-umanistica, anche tra gli intellettuali della sinistra e del Pci. La casa editrice Einaudi in realtà si era dotata di una divisione dedicata alle scienze, le Edizioni Scientifiche Einaudi, ma non con molta convinzione. Dal 1949 Boringhieri ne fu nominato responsabile, e lavorò in quella sorta di sede distaccata dell’editore di via Biancamano che era la «repubblica autonoma di via Brofferio». Nell’estate del 1956, annunciando la pubblicazione dell’autobiografia scientifica di Max Planck, Boringhieri la presentò nel Notiziario per le librerie con parole che dichiarano un preciso impegno programmatico: «Il nuovo umanesimo, l’umanesimo scientifico dell’epoca moderna, non può più permetterci di conoscere quello che dicono e pensano i filosofi, politici, artisti, ignorando quello che dicono e pensano gli scienziati».

Meno di un anno dopo, il 1° aprile del 1957 – e la data sembra quasi uno scherzo – Boringhieri, in seguito a una prima crisi finanziaria della Einaudi, ne rileva cinque collane che egli stesso aveva contribuito ad accrescere: la collana «azzurra», «Biblioteca di cultura scientifica», per i testi sulle scienze più dure; la collana «viola», «Collezione di studi religiosi, etnologici e psicologici»; la collana «marrone», «Biblioteca di cultura economica»; i manuali universitari; e infine una collana di testi pensati per l’industria. In tutto sono 146 titoli, un buon punto di partenza per un progetto editoriale che, da costola minore di un grande editore di cultura, vuole assumere una forte caratterizzazione autonoma, che in effetti avrebbe poi conquistato nei decenni successivi con imprese editoriali memorabili, di lungo periodo ed economicamente sostenibili. Basti pensare alle edizioni delle opere complete di Freud e di Jung: due imprese titaniche, finanziate in proprio, senza alcun apporto esterno, e di notevole successo commerciale. Altrettanto coraggiosa e lungimirante fu la Storia della tecnologia (1961-1984). Ma a Boringhieri si deve soprattutto, com’è noto, la pubblicazione sistematica delle opere di Einstein, vera e propria icona della scienza del Novecento, di cui si accaparrò i diritti, e di tutti i protagonisti della fisica, Bohr, Fermi, Heisenberg, Pauli, Dirac, Born, Schrödinger, Oppenheimer, Feynman; di classici della scienza come Galileo, Eulero o Buffon, nonché dei principali protagonisti della biologia (L’origine delle specie di Darwin, pubblicata nel 1959 per il centenario) , dell’etologia (Lorenz, Frisch, Eibl-Eibesfeldt, Mainardi) della logica e della matematica (Frege, Turing, Riemann, Wittgenstein, Kripke, i cinque volumi delle opere complete di Gödel) , dell’etnografia contemporanea (De Martino), della storia delle religioni e dei miti (Eliade, Kerényi, Jesi).

Nella plaquette preparata per festeggiare i sessant’anni della casa editrice se ne descrive bene lo spirito iniziale: «L’idea originaria di Paolo Boringhieri, sviluppata già a partire dal dopoguerra, è precisa: nel panorama editoriale italiano manca una casa editrice con una chiara progettualità, che prenda sul serio, in tutta la sua portata rivoluzionaria, il cambiamento culturale favorito dal tumultuoso avanzamento delle scienze nel Novecento». Anche le scelte riguardanti le scienze umane sono ben calibrate, scevre da irrazionalismi e da filosofie alla moda.

I primi volumi di Boringhieri, rilevati con l’acquisizione del 1957, arrivarono in libreria con il logo dello struzzo einaudiano ancora in copertina. E a rivedere oggi quelle copertine appaiono bellissime, e i loro temi per niente strani: forse perché da più di un ventennio, sull’onda dei successi internazionali della divulgazione di qualità, l’Einaudi pubblica molti libri di scienza, tra cui anche veri best-seller. Così si sono rimescolate le acque, e quell’idea di unità della cultura non si può dire che, magari con qualche ambiguità, non abbia fatto strada. Anche nella direzione opposta, se è vero che nel 1987, quando Bollati entrò e aggiunse il suo nome alla casa editrice, dichiarando di non voler tradire lo spirito di Boringhieri, ne volle allargare i temi di interesse. Nel 1991 in un’intervista commentò così queste sue scelte: «La nostra casa continua, vuole rafforzare e rinnovare il programma scientifico portato avanti da Paolo Boringhieri, ma vi ha aggiunto la letteratura e ha accentuato la militanza culturale nell’attualità. Il virus dell’antica Einaudi continua a proliferare». Sono gli anni in cui la casa editrice punta anche sulle scienze sociali e sulla ricerca storiografica, e in quest’ultimo contesto è d’obbligo ricordare un libro chiave come Una guerra civile di Claudio Pavone.

Se l’intento era conferire valore e bellezza a discipline che, negli schemi neoidealisti, sembravano aride o ancillari, bisogna dire che l’operazione è magnificamente riuscita; e continua oggi, dopo che nel 2009 la casa editrice è stata acquisita dal gruppo GeMS, che prosegue la tradizione di alta divulgazione scientifica (Lederman, Stewart, Al-Khalili) e che nel 2010 è riuscita a trasformare in best-seller Il libro rosso di Jung, un volumone dal costo di 190 euro. Una continuità che si racchiude nella saggezza e lungimiranza con cui Boringhieri scelse il suo magnifico logo. Il 9 febbraio 1958 scrive a Mazzino Montinari per chiedergli una buona riproduzione di una figura che proviene da un incunabolo di teoria musicale scritto da Franchino Gaffurio, maestro di cappella del Duomo di Milano, amico di Leonardo da Vinci. Nel suo Practica musicae, del 1496, la scala tonale coincide con l’ordine del cosmo, racchiuso nel celum stellatum. Musica, teologia, filosofia, cosmologia e matematica, si concentrano in un unico simbolo: quale migliore rappresentazione per l’«umanesimo scientifico» della casa editrice! La quale, peraltro, si è sempre avvalsa dei migliori designer – Enzo Mari in primis – per dare un’impronta di assoluta modernità alle proprie collane. Tra queste non va dimenticata l’«Enciclopedia di autori classici», curata da Giorgio Colli a partire dal 1958, straordinaria per la nonchalance con cui inseriva libri di scienza tra classici di letteratura e di filosofia. Si inizia con Nietzsche (Schopenhauer come educatore: e qui verrebbe da raccontare la storia di un altro editore nato da una costola dell’Einaudi, Adelphi) e il secondo volume è dedicato alla disputa tra Leibniz e Newton sulla nascita del calcolo infinitesimale; seguono Voltaire, Holderlin, Bayle, Goethe, il Pascal scienziato del Trattato sull’equilibrio dei liquidi. E ancora: Leopardi, Hume, Stendhal, Adam Smith, Spinoza, Eschilo, Darwin, Einstein, fino alle opere della tradizione orientale, per disegnare un’idea di classicità non comune, in cui le Opere di Ippocrate, Il chimico scettico di Robert Boyle e le Osservazioni su Diofanto di Fermat hanno pari dignità e pari diritto di presenza del Simposio di Platone, dell’Etica di Spinoza e delle Ultime lettere di Dostoevskij…

A volte basta leggere in fila i titoli di un catalogo per sentirsi partecipi di un mondo pieno di intelligenza e di bellezza.

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GABINETTO VIEUSSEUX- L’alluvione e il restauro: dalla Biblioteca circolante alle carte di Carlo Emilio Gadda

07/11/2016 da Comitato Fiorentino per il Risorgimento

Archivio Contemporaneo del Gabinetto Vieusseux, Palazzo Corsini Suarez, via Maggio 42 Firenze

Mostra a cura del Laboratorio di Restauro del Gabinetto Vieusseux

Elaborazione grafica e video a cura di Giorgio Commini e Riccardo Seghezzi

Fotografie di Donato Costanza

 

Con questa mostra il Gabinetto Vieusseux intende ricordare nel 50° anniversario gli ingentissimi danni subiti durante l’alluvione di Firenze. La storica biblioteca fu quasi totalmente sommersa nei sotterranei di Palazzo Strozzi, dove pure si trovavano le carte del Fondo Carlo Emilio Gadda. Attraverso una selezione di fotografie originali, una suggestiva installazione video, e una serie esemplare di materiali esposti, si potranno idealmente ripercorrere  gli effetti di quell’enorme disastro, e la lunga, paziente opera di restauro attuata negli anni su un materiale tanto fragile e prezioso. 

La Biblioteca

Il 4 novembre 1966 i sotterranei di Palazzo Strozzi, dove era conservato circa il 90% della biblioteca del Gabinetto Vieusseux – 250.000 volumi allineati su oltre sei chilometri di palchetti – fu invaso fino al soffitto dall’acqua dell’Arno, mista a fango e nafta. I libri furono recuperati nonostante le difficoltà di accesso ai locali, e fatti asciugare seguendo una procedura  lenta e “naturale”. Vennero stesi nel cortile de Palazzo “come se fossero della biancheria” (secondo le parole dell’allora direttore Alessandro Bonsanti), e poi collocati sul pavimento delle sale ai piani superiori per finire, per lo più con sistemi di ventilazione, l’asciugatura. In seguito si effettuò il trasporto dei volumi danneggiati alla Certosa del Galluzzo, dove furono tolte le legature per evitare le propagazione microbiche. I volumi vennero poi suddivisi tra quelli anteriori al 1850, destinati al Laboratorio di Restauro, e i successivi, destinati a un Centro di Recupero, per i quali si procedette a lavaggio, asciugatura e disinfezione. Fu anche allestito uno schedario specifico di tutto il materiale alluvionato con una nuova collocazione corrispondente allo stato di conservazione. Di fronte ai gravissimi danni subiti dalla biblioteca, Bonsanti decise di privilegiare il carattere di insostituibile patrimonio storico dei volumi alluvionati, scegliendo la via del recupero integrale piuttosto che la sostituzione con analoghe edizioni. La “biblioteca romantica”, di “letterature comparate”, con “opere nelle principali lingue parlate fin dalla sua fondazione” (sono sempre parole di Bonsanti), doveva essere salvaguardata, anche nell’aspetto materiale dei libri, che da tempo venivano rilegati con copertine dai colori diversi a seconda della lingua: rosso per i francesi, blu per gli inglesi, nero per gli italiani, verde per i tedeschi e le altre lingue. I libri alluvionati e restaurati, ancora oggi, si riconoscono per questa legatura, che identifica la ‘gloriosa’ biblioteca circolante, frequentata da Schopenhauer e da Stendhal, da Dostoevskij e da Gide, da Henry James e da D.H. Lawrence, per citare solo alcuni degli illustri lettori.

La scelta dei volumi esposti nella Mostra vuole documentare proprio la varietà delle lingue delle pubblicazioni entrate al Gabinetto Vieusseux dal 1820, anno della fondazione, al 1966, ma anche lo stato di conservazione dei volumi alluvionati. Complessivamente circa il 50% del totale dei libri sono stati restaurati e rilegati; i restanti sono comunque consultabili: tutti sono conservati nel magazzino di Viale Guidoni, a Novoli.

 L’Archivio Storico

L’acqua melmosa dell’Arno non risparmiò l’Archivio Storico dell’Istituto, travolgendo la serie dei registri ottocenteschi, per fortuna pressoché interamente recuperati, e registri e documenti del Novecento, alcuni dei quali irrimediabilmente perduti, così come centinaia di carte sciolte che facevano parte della corrispondenza in arrivo al Gabinetto Vieusseux negli anni Venti-Quaranta del XX secolo e diversi copialettere della direzione di Alessandro Bonsanti. Tuttavia i danni avrebbero potuto essere ben superiori se una parte significativa di tale documentazione non fosse stata conservata in armadi metallici.

 Le carte di Carlo Emilio Gadda

Assai più pesanti le conseguenze dell’alluvione sulle carte che Carlo Emilio Gadda, alla fine degli anni Quaranta, al momento di lasciare Firenze per trasferirsi a Roma, aveva donato all’amico direttore, che a sua volta le avrebbe affidate all’Archivio Contemporaneo. Si trattava di un straordinario insieme di lettere familiari, documenti privati, corrispondenze con amici e intellettuali, destinato a diventare una insostituibile fonte di studio per il “divino Gaddus”.

Collocato provvisoriamente negli stessi sotterranei di Palazzo Strozzi dove era la Biblioteca, il prezioso archivio fu sommerso dal fango che trasformò le carte del grande scrittore in blocchi compatti e saldati, e i parte dissolti per l’azione delle muffe che avevano letteralmente “digerito” il collante delle carte. Bonsanti, superata la fase di emergenza, decise di sottoporre quei documenti ad una accurata analisi presso lo stesso Laboratorio di Restauro dell’Istituto, e a una preliminare disinfezione per contrastare gli attacchi microbici già in atto. Tuttavia solo a partire dal 1999 si è potuto iniziare un complessivo progetto di restauro grazie al fondamentale sostegno della Regione Toscana, che ha reso possibile anche l’ordinamento e la catalogazione informatica di tutto il materiale. Questo meticoloso lavoro, portato a compimento nel 2006, ha permesso di recuperare in larga parte il Fondo Gadda, e di mettere a disposizione degli studiosi di questo sommo scrittore del Novecento gli oltre 15.000 pezzi del suo archivio personale e familiare.

 

La mostra resterà aperta fino al 20 febbraio 2017.

Orario: lunedì, martedì e venerdì 9-13, mercoledì e giovedì 9-17

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La bellezza salverà il mondo… ma non Firenze e i fiorentini!

01/12/2015 da Sergio Casprini

dostoevskij“La bellezza salverà il mondo” afferma il principe Miškin nell’Idiota di Dostoevskij, ma senza addentrarci nei possibili e tanti significati metaforici di questa frase, tratta dal bel romanzo dello scrittore russo, restiamo al significato della bellezza, come bellezza dell’arte e alla sua funzione pedagogica e catartica.

Contemplare un quadro, una scultura, un’architettura provoca a un tempo emozione e pensieri; certo sono quasi sempre opere del passato, a cui si attaglia indiscutibilmente il canone della bellezza, l’arte contemporanea, in cui l’aspetto estetico è meno importante, invece parla più alla testa che al cuore.

Non tutti sanno che Dostoevskij portò a termine il romanzo l’Idiota a Firenze dove alla fine del novembre 1868 si era trasferito con la moglie in un palazzo in Piazza Pitti, proprio quando a Palazzo Pitti abitava il re d’Italia. Erano gli anni di Firenze capitale,

In quell’anno che rimase a Firenze oltre a terminare l’Idiota fece con la moglie lunghe passeggiate tra chiese, musei e palazzi e qui nacque sua figlia, Ljubov, che in russo vuol dire amore. Fu per lo scrittore un periodo sereno nella sua vita, contrassegnata da tormenti e drammi, e nelle passeggiate tra i monumenti cittadini fu certamente coinvolto dalla bellezza dei luoghi e ne fece partecipe i fiorentini, con cui era entrato in confidenza

Negli anni di Firenze Capitale ed in tutto l’Ottocento nella società civile e nel mondo delle arti tra forestieri e residenti nascono infatti reciproche relazioni di cultura e di amicizia, nella condivisione dei valori e degli ideali del Risorgimento.

Oggi invece a Firenze assistiamo ad un quotidiano assalto dei turisti ai monumenti, ad un consumo passivo e compulsivo dei beni artistici, alla scomparsa dei locali storici e delle botteghe artigiane con le vie e le piazze, trasformate in un mercato caotico e vociante di giorno e talora di notte. E questo allarme non proviene da qualche comitato cittadino, nostalgico del bel tempo che fu, ma dall’agenzia dell’Unesco che tutela i siti, patrimonio mondiale dell’umanità, che ha inviato a maggio a Palazzo Vecchio una lettera in cui denunciava il degrado del centro storico.

Ne consegue che in questa inarrestabile invasione di massa dei turisti i fiorentini progressivamente vengono espropriati della loro città e della possibilità di poter fruire della bellezza del patrimonio storico-artistico con cui per anni avevano convissuto e di cui avevano conservato la memoria.

Ne è un esempio la chiesa di Santo Stefano al Ponte, che si trova tra piazza della Signoria e Ponte Vecchio che da più di un anno non è più accessibile come sito storico-artistico ai fiorentini in quanto, essendo sconsacrata e dopo un lungo restauro riportata agli antichi splendori ( la chiesa ha una facciata romanico-gotica ed un interno barocco con pregevoli opere d’arte) la Curia l’ha concessa in affitto ad una società privata che organizza non solo concerti ma anche mostre multimediali di artisti famosi, per cui all’interno della chiesa in una recente esposizione, tra le altre, di quadri di Van Gogh una sinfonia di luci, colori e suoni ha azzerato per i visitatori la percezione dell’architettura e delle sue decorazioni.

Il Museo dell’Opera del Duomo con un rinnovato, moderno ed intelligente allestimento delle sue splendide collezioni invece è accessibile, ma il prezzo d’ingresso è caro, con la giustificazione da parte dei responsabili del Museo che con lo stesso biglietto si possono pure visitare i monumenti di piazza del Duomo, Battistero, Cattedrale e Campanile, ( una visita per altro da fare nell’arco di 24 ore !).

Anche in questo caso i residenti di fatto vengono respinti da una politica meramente commerciale e per niente culturale in una svendita della città al turismo “mordi e fuggi”.

Andrebbe invece ricordato ai nostri amministratori locali che il nostro patrimonio culturale ed artistico, prima che a produrre ricchezza con lo sfruttamento intensivo del turismo, il nostro petrolio secondo la vulgata del Ministero dei Beni Culturali, serve alla formazione di uno spirito civico e a dare ai fiorentini il senso di appartenenza ad una comunità con le sue specifiche radici storiche e artistiche nell’ambito della comunità più ampia del nostro Paese.

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