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Risorgimento Firenze

Il sito del Comitato Fiorentino per il Risorgimento.

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Sergio Casprini

Festività natalizie e …risorgimentali

01/12/2011 da Sergio Casprini

Glória in excélsis Deo
et in terra pax homínibus bonæ voluntátis…
(incipit dell’inno di Natale dal Vangelo di Luca)

Si avvicina Natale e come ogni anno inizia la corsa agli acquisti e sale la febbre consumistica nonostante la crisi economica; pur tuttavia molti, credenti o no, durante le festività natalizie sentono il bisogno di vivere momenti di serenità e provano sentimenti di pace con se stessi e con gli altri.

Si avvicina Natale e molti italiani in quest’anno di celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia hanno ritrovato l’orgoglio di appartenenza ad una patria, che proprio quest’anno ha vissuto il dramma non solo di una crisi economica, ma soprattutto ha subito la  crisi di un ceto politico, di una classe dirigente che da tempo ha perso di vista gli interessi nazionali ed è implosa dilaniata da beghe di bottega.

Ecco oggi le ragioni del consenso di buona parte degli italiani al governo degli ottimati, dei professori in quanto è stata capita l’urgenza di superare il momento difficile che il paese sta attraversando e soprattutto è stata apprezzata la responsabilità di questo governo tecnico di voler seriamente rappresentare gli interessi  nazionali dell’Italia nel consesso europeo. Garante di questa operazione politica come sempre in questi anni nei momenti di crisi istituzionale è stato il presidente Napolitano: la  presenza costante in molti eventi celebrati a nord, al centro ad al sud d’Italia, la forte rivendicazione dell’Unità del Paese, la  difesa appassionata del tricolore ne hanno accreditato il ruolo di rappresentante di tutti gli italiani, come è testimoniato infatti dalla pubblicazione in questi giorni di un suo libro Una e indivisibile. Riflessioni sui 150 anni della nostra Italia.

Si avvicina Natale e con spirito risorgimentale si può anche cantare laicamente: Gloria  in terra al Presidente  Napolitano e tanto amor di patria agli italiani di buona volontà…

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Il governo degli “ ottimati “ e l’Italia

23/11/2011 da Sergio Casprini

“Per risvegliarci come nazione, dobbiamo vergognarci del nostro stato presente. Rinnovellar tutto, autocriticarci.  Ammemorare le nostre glorie passate è stimolo alla virtù, ma mentire e fingere le presenti, è conforto all’ignavia e argomento di rimanersi contenti in questa vilissima condizione.”.

Giacomo Leopardi

Diversi politici ed opinion maker in questi giorni gridano allo scandalo per la nascita del governo di Mario Monti: la tecnocrazia  si sostituisce alla democrazia, le multinazionali della finanza e dell’economia commissariano l’Italia, i professori universitari senza la legittimazione del voto  assumono la tutela dei partiti.

Le critiche provengono in buona parte dai nostalgici del comunismo, del berlusconismo e della secessione, ma anche da chi è preoccupato per l’eventuale fallimento di un’iniziativa politica, anomala nella storia della democrazia italiana, dimenticando però il discredito e l’implosione a cui era giunta nostra classe dirigente e non ricordando di avere invece come unica istituzione credibile la Presidenza della Repubblica, che nel rispetto delle leggi non a caso ha promosso la nascita di questo governo.

Infatti Giorgio Napolitano in tutti questi mesi, con rigore ed autorevolezza, ha aiutato, il popolo italiano a mantenere saldi i legami che da 150 anni lo uniscono ed a essere orgoglioso del suo Paese.

150 anni fa la Destra storica con Marco Minghetti, Quintino Sella, Silvio Spaventa guidò dopo Cavour la costruzione dello stato unitario, avendo come primi obiettivi il sistema fiscale, il pareggio del bilancio e l’unità monetaria di cinque diversi stati. Erano altri tempi: l’Italia non era ancora la settima potenza industriale del mondo, l’80% degli italiani era analfabeta e votavano solo gli uomini con un livello alto d’istruzione (il2% della popolazione), pur tuttavia la classe dirigente di allora era mossa in primo luogo non da interessi di parte, ma dall’interesse nazionale e da sentimenti patriottici.

Quei sentimenti e quell’interesse nazionale sono le ragioni costitutive del governo di Mario Monti, per cui se in Italia è giunto il momento storico di un  terzo Risorgimento politico, civile e morale ben venga allora il governo degli “Ottimati” !

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I tricolori per le strade di Firenze

01/11/2011 da Sergio Casprini

Si sta
come d’autunno
sugli alberi
le foglie.

Giuseppe Ungaretti

 

Se si percorre via degli Alfani a Firenze, nel tratto tra borgo Pinti e via della Pergola, all’ultimo piano di un palazzo sventola ancora una bandiera tricolore, a testimonianza di quel fervore patriottico e partecipazione di popolo alle feste per i 150 anni dell’Unità d’Italia, che hanno contraddistinto l’anno in corso, in particolare nelle radiose giornate di marzo, aprile e maggio.

In quei giorni e non solo a Firenze il tricolore è apparso d’incanto nelle strade,alle finestre, nelle vetrine e in tantissime coccarde negli abiti di giovani e vecchi, uomini e donne.

Non solo in via degli Alfani, anche in altre strade del centro e della periferia occhieggiano dalle finestre piccole e grandi bandiere tricolori, ma il suo numero decresce di giorno in giorno a significare che la stagione delle celebrazioni si sta concludendo all’approssimarsi del nuovo anno.

Nella bellissima e concisa poesia di Ungaretti le foglie metaforicamente  rappresentano i soldati che muoiono nelle trincee del Carso e può apparire blasfemo paragonare la drammatica sorte dei fanti con la sparizione progressiva dei tricolori dalle strade di Firenze, ma se si coglie invece il senso naturale e ciclico delle stagioni, il tappeto di foglie che alla fine di ottobre si posa sul terreno e ne viene piano piano assorbito, nel tempo lo rigenera e ne prepara dopo i rigori invernali il risveglio primaverile dell’anno successivo.

Anche il Comitato Fiorentino per il Risorgimento, che continua ad essere presente in tante iniziative politiche e culturali in questo ultimo scorcio del 2011 non ritiene esaurito il suo compito con la fine dell’anno, non mette via l’abito da festa in attesa di altre ricorrenze risorgimentali, ma pervicacemente vuole continuare ad operare e come le foglie  concimare il terreno della società civile con la piena consapevolezza che il successo delle celebrazioni  per i 150 anni dell’Unità d’Italia non sono state un episodio passeggero, rituale e stagionale, ma invece il primo momento della rinascita di una ritrovata coscienza nazionale, di valori e sentimenti patriottici, la fondazione di un terzo Risorgimento politico e civile nell’Italia dei nostri giorni.

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Il giustizialismo nella storia italiana

29/10/2011 da Sergio Casprini

La storia non è giustiziera, ma giustificatrice: lo storico non giudica e non fa riferimento al bene o al male.

Benedetto Croce

 

Giovanni Belardelli, storico e collaboratore del Corriere della Sera ha scritto recentemente sul giornale che un consigliere comunale di Milano, Luca Gibillini di Sinistra Ecologia e Libertà, ha proposto di cambiare la denominazione di piazzale Cadorna attraverso un referendum popolare, magari sostituendo a quello del generale che comandò l’esercito italiano fino a Caporetto il nome di Vittorio Arrigoni, il pacifista ucciso a Gaza lo scorso aprile.

Aggiunge inoltre che è l’ennesimo episodio di una guerra della toponomastica da cui bisognerebbe invece rifuggire, anche per evitare che – in un Paese attraversato da umori antirisorgimentali – qualche comune ne tragga spunto per cancellare la sua via o piazza Garibaldi. Nel caso milanese colpisce il fatto che una proposta analoga sia stata avanzata nei mesi scorsi anche in altri luoghi, così da lasciar supporre l’esistenza di un tam-tam anticadorniano destinato forse ad avere seguito. In ogni caso la denuncia delle «teorie militariste» di Luigi Cadorna e della sua colpa di avere «mandato al macello» centinaia di migliaia uomini lascia trasparire, più che un giudizio storico fondato, la riproposizione di vecchie polemiche sul valore e significato da dare alla prima guerra mondiale: fanti italiani condotti al massacro nelle trincee del Carso o eroica conclusione del processo risorgimentale.

In questa guerra ideologica e giustizialista non verrebbe risparmiato neanche il buon Mazzini, che a parer di molti, vedi la sua immagine nel film Noi credevamo, è il precursore dei cattivi maestri e dei terroristi nell’Italia degli anni’70.

Dietro a queste polemiche riemerge periodicamente anche un giudizio falsato sul Risorgimento italiano e sul ruolo dell’esercito piemontese da una parte e i volontari garibaldini e mazziniani dall’altra, dimenticando che i bersaglieri del generale Manfredo Fanti furono indispensabili nelle battaglie della guerra d’indipendenza del 1859, i garibaldini furono i protagonisti indiscussi del successo dell’impresa dei Mille e che insieme  quindi realizzarono l’Unità d’Italia.

Tornando a Luigi Cadorna dobbiamo aver l’onestà intellettuale  di giudicarlo, in maniera non faziosa e soprattutto non manichea, sapendo che nella storia tutti i personaggi presentano nelle loro azioni aspetti contraddittori e vanno comunque calati nel contesto storico in cui hanno vissuto.

Sergio Romano in una risposta ad un lettore anticadorniano in un vecchio articolo del Corriere della Sera del 2006 ne seppe dare appunto un giudizio storico articolato, non viziato da furori ideologici, delineando il profilo di una personalità più complessa rispetto a chi riduce invece i personaggi storici nelle categorie semplicistiche dei buoni o dei cattivi:

… non è possibile giudicare un uomo senza tenere conto dell’ epoca in cui visse e della cultura dominante negli anni in cui ricevette la sua formazione. I generali che comandarono gli eserciti durante la Grande guerra avevano mediamente fra i 65 e i 75 anni: Cadorna e Kitchener erano nati nel 1850, Conrad von Hötzendorf e Hindenburg nel 1847, French e Joffre nel 1852. Nelle loro accademie, all’ inizio della carriera, avevano studiato le battaglie di Austerlitz, Waterloo, Solferino, Sadowa, Sedan. Nessuno di essi era mentalmente pronto ad abbandonare gli schemi tattici e strategici appresi sui banchi della scuola di guerra e negli esercizi di stato maggiore. Nessun esercito europeo conosceva altro stile di combattimento fuorché l’ attacco in massa, l’ assalto alla baionetta, il tiro di sbarramento e la carica di cavalleria. E ogni uomo politico europeo, infine, pensava che la patria, nel momento del pericolo, meritasse il «supremo sacrificio della vita». Gli strateghi della guerra di movimento nacquero dopo il conflitto e furono il risultato della sanguinosa lezione impartita dalla logorante guerra di trincea che uccise, in quattro anni e mezzo, alcuni milioni di uomini. Né Giorgio Douhet, il geniale teorico italiano della guerra aerea, né Heinz Guderian, il brillante inventore tedesco della guerra meccanizzata, sarebbero apparsi sulla scena europea se il conflitto non avesse fatto piazza pulita dei manuali su cui i generalissimi del 1914 e degli anni seguenti avevano imparato il loro mestiere. Cadorna fu peggio degli altri? Molti storici militari non sono di questo avviso. Nella sua «Storia della Prima guerra mondiale», B. H. Liddell Hart scrisse che era «senza dubbio uomo di qualità non comuni, ma, come in altri famosi comandanti, le sue qualità intellettuali erano offuscate dalla mancanza di sensibilità per lo spirito delle truppe combattenti». Con qualche eccezione (fra gli altri il generale Luigi Capello che lo detestava), i suoi colleghi, anche del campo nemico, e molti osservatori dettero di lui un giudizio positivo. Il maresciallo Luigi Caviglia disse che era un «uomo di forte volontà e di carattere fortissimo». Luigi Barzini sr, corrispondente dal fronte per il Corriere, elogiò la sua «chiaroveggenza». In un bel libro,«Isonzo 1917», ristampato dalla Bur nel 2001, Mario Silvestri cita questo giudizio di Henry Wickham Steed, allora direttore del Times: «Dopo il disastro dell’ ottobre 1917 a Caporetto diventò di moda criticare il generale Cadorna e l’ opera dell’ esercito italiano durante il suo periodo di comando. Quello che posso dire io è che tanto a me che a Lord Northcliffe (il proprietario del giornale, ndr) fece l’ impressione di una mentalità quadrata e virile, e certamente non inferiore, in fatto di fibra intellettuale e morale, a nessuno dei comandanti alleati che avevamo conosciuto». Naturalmente potrei citare altri giudizi meno favorevoli. Ma mi premeva dire, che certe sentenze dei posteri rispecchiano la loro diversa sensibilità piuttosto che lo studio e la comprensione del passato. La storia, disse Benedetto Croce, non deve essere giustiziera.

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La Lega del Sud contro l’Unità d’Italia

14/10/2011 da Sergio Casprini

Vi propongo di essere i nuovi briganti del Sud, donne ed uomini che hanno combattuto la loro battaglia di libertà contro i soprusi, coloro che, pur definiti dei delinquenti dai vincitori, in realtà difesero la loro terra…
 dal discorso di Gianfranco Miccichè, sottosegretario alla presidenza del consiglio e leader del Grande Sud, in una manifestazione a Campobasso del suo movimento domenica  2 ottobre

 Si sta concludendo l’anno dei festeggiamenti dei 150 anni dell’Unità d’Italia, che ha visto la partecipazione di molti italiani a tutti gli eventi, commemorazioni, convegni, spettacoli che l’hanno celebrata: è stato l’anno della riscoperta di un forte sentimento patriottico, di una ritrovata identità nazionale, della nascita sia pure embrionale di un rinnovato risorgimento civile e morale.

Voci dissonanti in questo clima di festa e partecipazione non sono giunte come era scontato solo dai politici della lega Nord, tra l’altro contraddette in parte dal successo delle iniziative patriottiche nei piccoli e grandi centri dell’Italia settentrionale, ma purtroppo dai movimenti e da forze politiche del meridione, a confermare che a distanza di 150 anni  la questione della divisione tra Nord e Sud è ancora una ferita aperta e resta una delle contraddizioni non risolte dell’Unita nazionale.

E’ grave comunque che un uomo di Governo, come Gianfranco Miccichè, si spogli delle sue responsabilità istituzionali per vestire i panni del rivoluzionario, prendendo a modello la figura del brigante meridionale in lotta contro i piemontesi che secondo lui nell’ottocento opprimevano la sua terra.

Miccichè  in maniera pedissequa fa sue le interpretazioni del fenomeno del brigantaggio, presenti  nella pubblicistica antirisorgimentale degli ultimi anni, in cui in maniera manichea i briganti sono visti come patrioti  che combattono per la libertà e l’indipendenza del Sud  dal Piemonte e dall’illegittimo stato italiano.

Meno manicheo è stato Ludwig Richard Zimmermann, un ufficiale austriaco che poco più che ventenne ebbe un ruolo direttivo nei ranghi del brigantaggio a sostegno della causa di Francesco II, il sovrano del  regno delle Due Sicilie, spodestato sull’onda dell’impresa garibaldina.

Nelle sue memorie fa la storia delle bande e dei suoi capi e ne giustifica le imprese per la vandalica crudeltà dei piemontesi, per le condizioni di miseria ed impoverimento crescente dei contadini, per l’adesione alla causa della monarchia borbonica, ma ne vede progressivamente la loro deriva meno nobile e patriottica e più criminale.

Infatti riflettendo successivamente sugli eventi, di cui era stato protagonista afferma: …ragionevolmente al governo italiano non poteva restare altro che lo spietato annientamento dei briganti, che, seppure in origine, miravano a principi tanto onesti, ormai, diventati banditi comuni, erano diventati una disfatta per tutti.

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La Breccia di Porta Pia e il Vaticano

01/10/2011 da Sergio Casprini

…la Chiesa non deve forse cambiare? Non deve forse, nei suoi uffici e nelle sue strutture, adattarsi al tempo presente, per raggiungere le persone di oggi che sono alla ricerca e in dubbio…

Antonio Rosmini              (Le Piaghe della Chiesa 1838) [Leggi di più…] infoLa Breccia di Porta Pia e il Vaticano

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La ricorrenza del 20 settembre a Firenze

20/09/2011 da Sergio Casprini

Pochi sanno che sul basamento del monumento ad Ubaldino Peruzzi, esponente di spicco della vita politica italiana e fiorentina negli anni cruciali dell’Unità d’Italia, tra le formelle bronzee  c’è un altorilievo che mostra il sindaco Peruzzi mentre annuncia la presa di Porta Pia  ( 20 settembre 1870 ).

Questa opera di scultura di Raffaello Romanelli è l’unica testimonianza a Firenze di un momento significativo del Risorgimento italiano: il sindaco di Firenze, Capitale del Regno d’Italia dal 1865, celebra la conquista di Roma da parte dei bersaglieri e di fatto preannuncia il passaggio della capitale da Firenze a Roma  della nazione italiana.

 La data del 20 settembre è quindi una data molto importante nella storia del Risorgimento ed anche a Firenze viene celebrata ogni anno non solo dalle istituzioni comunali, ma soprattutto da associazioni laiche come la Fondazione Ernesto Rossi e Gaetano Salvemini, dal Circolo Gobetti e dal Comitato Fiorentino per il Risorgimento, in piazza dell’Unità d’Italia, intorno al monumento ai Caduti delle guerre per l’Indipendenza.

Nessuno vuole negare l’importanza di questa rituale celebrazione, che anche quest’anno è confermata in Piazza dell’Unità, ma dal prossimo anno forse avrebbe più valore dare una connotazione più fiorentina a questa ricorrenza organizzando l’iniziativa attorno al monumento del Peruzzi.

Tra l’altro è in discussione nelle istituzioni ed associazioni fiorentine il modo migliore di ricordare il centocinquantenario di Firenze Capitale ed in questi tre anni che ci dividono dalla scadenza del 2015 celebrare sia il sindaco di quegli anni Ubaldino Peruzzi sia la breccia di Porta Pia il 20 settembre potrebbe essere un’iniziativa con un forte significato simbolico, riconoscendo il ruolo nazionale svolto da Firenze nelle vicende del Risorgimento italiano con i Ricasoli, i Dolfi, i Bartolommei, con tanti altri esponenti moderati e democratici ed ovviamente con Ubaldino Peruzzi

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Settembre, andiamo…

01/09/2011 da Sergio Casprini

Settembre, andiamo. E’ tempo di migrare.
Ora in terra d’Abruzzi i miei pastori
lascian gli stazzi e vanno verso il mare:
scendono all’Adriatico selvaggio
che verde è come i pascoli dei monti…

 Gabriele D’Annunzio [Leggi di più…] infoSettembre, andiamo…

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Due fiorentini ed il culto del Risorgimento

15/08/2011 da Sergio Casprini

La commemorazione di Giovanni Spadolini alla sua tomba a San Miniato il 4 Agosto

“Sfortunato quel popolo che ha bisogno di eroi”,  questo famoso ammonimento di  Bertold Brecht (dalla La vita di Galileo) ci rivela la visione utopica, ma anche ideologica del famoso drammaturgo tedesco che auspica un’umanità liberata da guerre ed oppressioni.

Un auspicio che non fa conti con la storia degli uomini fatta invece da episodi di lacrime e sangue e dal sacrificio di eroi. E se non eroi nell’accezione classica del termine, uomini che hanno comunque primeggiato nella politica e nella cultura, tenendo alto il nome della loro patria e del loro popolo

Il Risorgimento italiano è stato uno di questi momenti storici e di tanti suoi protagonisti serbiamo un reverente ricordo.

Se però nel Risorgimento si è affermato il valore della libertà e dell’indipendenza nazionale, di cui si è conservato il culto negli anni successivi, lo dobbiamo anche ad altri personaggi storici, vissuti in tempi diversi e che hanno concorso sia pure in maniera differente alla costruzione di questa memoria.

Il 3 Agosto 1530 nella battaglia di Gavinana perdeva la vita contro l’esercito imperiale il fiorentino Francesco Ferrucci, incaricato dalla Repubblica di Firenze di contrastare nelle campagne le truppe di Carlo V, che cingevano d’assedio la città.

Francesco Ferrucci con il suo sacrificio per la difesa della Repubblica Fiorentina nella battaglia di Gavinana è divenuto agli occhi dei patrioti italiani nel corso del XIX secolo una figura eroica ed un modello di comportamento nella lotta per la libertà ed il paese di Gavinana nelle montagne pistoiesi sempre durante il Risorgimento è stata meta di pellegrinaggi di italiani e di stranieri ( tra gli altri si fermarono nel’48 i volontari toscani che combatterono a Curtatone e Montanara).

Commemorazione Francesco Ferrucci

La mattina del 3 agosto ’11 alla sua casa natale in via Santo  Spirito di Firenze è stata collocata una corona d’alloro alla lapide, che onora la sua memoria, alla presenza di rappresentanti dei Comuni di Firenze e di San Marcello Pistoiese, del Rotary Club “Michelangiolo” e del Comitato Fiorentino per il Risorgimento a significare ancora il valore simbolico della sua vicenda di combattente per la libertà della patria (ai suoi tempi la Repubblica Fiorentina) nell’anno in cui si celebrano i 150 anni dell’Unità d’Italia.

Altra vicenda storica è quella di un altro fiorentino Giovanni Spadolini, un protagonista della politica e della cultura italiana  nella seconda metà del novecento, di cui si è commemorata la figura giovedì 4 agosto, a 17 anni dalla sua morte a San Miniato, ove è sepolto.

Certamente Spadolini non è stato un eroe come Ferrucci, non è morto combattendo in battaglia per la patria, ha ricoperto ruoli importanti nei governi della Repubblica italiana, è stato anche presidente del consiglio, ma solo negli ultimi anni è stato colto fino in fondo il valore della sua battaglia  con i suoi scritti ed interventi politici per il riconoscimento dei principi del Risorgimento nella storia italiana.

Infatti esponente di rilievo del Partito Repubblicano, erede di quella tradizione laico-liberale tanto forte  nel’800, durante il Risorgimento, quanto minoritaria nel 900, quando in Italia si sono affermati i partiti di massa, che per la loro storia ed ideologia hanno sempre avuto di fatto pregiudizi nei confronti del Risorgimento, ha sempre riconosciuto il valore della democrazia italiana e delle istituzioni che si era data, non dimentico però dei meriti storici dei patrioti risorgimentali, moderati o radicali che fossero, nella costruzione della nazione italiana.

Alla cerimonia a San Miniato hanno partecipato molte persone, oltre ovviamente alle rappresentanze civili e militari, a testimonianza in tempi di crisi dei valori della politica della necessità di avere nuovi padri della Patria come Spadolini che nella sua vita, negli scritti e nell’azione politica ha speso le sue energie intellettuali ed umane per il buon nome dell’Italia e della sua storia.

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E se nascesse un terzo Risorgimento?

24/07/2011 da Sergio Casprini

Son tempi tristi per l’Italia: tintinnar di manette nelle aule parlamentari, la classe politica che implode  nel momento di una grave crisi economica, discredito delle istituzioni presso l’opinione pubblica salvo la Presidenza della Repubblica.

Preoccupa ancor di più il fatto che venga messa sotto accusa se pure con valide ragioni la Casta, la felice definizione data da Stella e Rizzo alla nostra classe politica, senza che si intraveda una credibile rifondazione dei partiti, e certamente non si può affidare questo compito alla magistratura che ha solo  la funzione fondamentale di perseguire i reati. E quale può essere allora una possibile via d’uscita ad una situazione di crisi tra eletti ed elettori, tra popolo ed istituzioni che lo rappresentano?

Nei libri di storia si ricorda il nostro Risorgimento come il riscatto di un popolo per secoli senza una patria, senza libertà e senza un’identità nazionale e che solo nel 1861 si costituì l’Unità d’Italia al prezzo del sacrificio di tanti, donne ed uomini, nelle guerre d’indipendenza del 1848 e del 1859.

Anche il movimento della Resistenza in Italia contro i nazifascisti dal 1943 al 1945 è stato interpretato giustamente dagli storici come un secondo Risorgimento che si è felicemente concluso con la riconquista della libertà il 25 Aprile del 1945.

A Marzo di quest’anno in occasione delle celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia c’è stata una ampia partecipazione popolare a tutte le iniziative, promosse per ricordarla, e molti opinionisti hanno visto in queste manifestazioni  emergere un forte bisogno da parte degli italiani di ritrovarsi uniti , non solo da una memoria condivisa della nostra storia patria, ma anche da una visione dello stato italiano che, nel rispetto del pluralismo e differenze di posizioni politiche e culturali, sappia affrontare nell’interesse generale le questioni cruciali della vita di una nazione( il lavoro, la salute, l’istruzione,il rapporto con le altre nazioni…).

Questo movimento di popolo, in parte guidato dal presidente Napolitano , ma anche nato in maniera fortuita e spontanea potrebbe diventare un terzo Risorgimento di riscatto nazionale, stavolta fortunatamente non armato, che potrebbe pacificamente non solo essere il lievito della  rigenerazione delle nostre istituzioni, ma anche costringere le forze politiche a farsi carico degli interessi generali e non di bottega.

Un terzo Risorgimento che non dovrebbe esaurirsi alla fine di quest’anno alla conclusione dei festeggiamenti dell’Unità d’Italia, ma che ogni anno dovrebbe far sentire ancora la sua presenza, individuando in particolare  nella data simbolica del 17 Marzo un momento significativo per far sentire la sua voce.

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