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Risorgimento Firenze

Il sito del Comitato Fiorentino per il Risorgimento.

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Lettere al Direttore

L’INTERNAZIONALISMO DELLA RESA

04/05/2022 da Sergio Casprini

Caro Direttore,

come hai ricordato nell’editoriale di marzo (https://www.risorgimentofirenze.it/difendere-la-patria-degli-altri-popoli/) , uno dei valori risorgimentali più importanti è la solidarietà con i popoli che lottano per la loro libertà contro gli oppressori interni o esterni. Su questo sito è forse superfluo ricordare il respiro europeo del pensiero mazziniano che portò alla creazione della Giovine Europa, le generose imprese militari che fruttarono a Garibaldi il titolo di Eroe dei due mondi e la partecipazione di molti intellettuali europei, tra cui Santorre di Santarosa, alla lotta dei Greci per l’indipendenza. Le motivazioni alla base di questi movimenti hanno poi preso il nome, com’è noto, di “internazionalismo”.

Da circa due mesi e mezzo stiamo assistendo, per così dire, “in diretta” al dispiegarsi di un nuovo slancio internazionalista, cioè dell’amplissimo movimento di solidarietà in favore dell’Ucraina invasa dall’esercito russo. Una solidarietà che, oltre al contributo di circa ventimila combattenti stranieri, si esprime in numerose raccolte di fondi, nell’accoglienza dei profughi, nelle sanzioni economiche inflitte alla Russia e nell’invio di armi all’Ucraina aggredita.

A fronte di questo ampio schieramento in difesa della libertà ucraina, è purtroppo emerso, almeno per quanto riguarda l’Italia, un consistente “internazionalismo” di segno opposto, cioè di fatto a sostegno dell’aggressore. Un sostegno ora larvato ora più esplicito, ma tanto più repulsivo in quanto diretto verso una dittatura che cerca di schiacciare una democrazia, sia pure in fase di consolidamento. Personalmente non ricordo un altro caso in cui una parte dell’opinione pubblica e della classe politica si augurasse la resa o la rapida capitolazione di una nazione in lotta per la propria libertà. Accanto all’ormai pavloviano e inestirpabile anti-americanismo, mi pare che un ruolo importante lo stiano giocando l’orrore per la guerra in genere e la paura dell’estensione al resto d’Europa di quella in corso, a noi così vicina. Sentimenti rispettabilissimi, s’intende, anzi condivisibili.

Ma temo che la lunga pace, il benessere, la tranquillità di molti decenni, insieme al diffondersi di un pacifismo integralista, abbiano fatto evaporare la differenza tra vittima e aggressore.

Giorgio Ragazzini

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Proteste contro la guerra in Russia

11/04/2022 da Sergio Casprini

Caro direttore, mi è stata raccontata una piccola storia straordinaria, qualcosa che sta avvenendo nella metropolitana di Mosca da pochissimo. La fonte è diretta. A Mosca gli agenti dei servizi di sicurezza stanno cercando studenti che, come per caso, abbandonano sui sedili della metropolitana libri come ‘1984’ di Orwell, ‘Addio alle armi’ di Hemingway, ‘Niente di nuovo sul fronte occidentale’ di Remarque, perché altri passeggeri li prendano e possano leggerli. E pensare. Libri come questi, ed altri, contro la guerra e contro la dimensione totalitaria descritta da Orwell, sono spariti dai negozi di libri e dalle, un tempo ben fornite, librerie della metropoli. Esauriti o messi a dormire, in attesa di tempi migliori?  Ventitre libri sono stati sequestrati in poche ore, identificati o fermati i passeggeri che li avevano trovati e si erano messi a leggerli.

Metropolitana di Mosca

Un mese fa più di 4 mila insegnanti, studenti e personale della Università Statale Lomonosov di Mosca avevano espresso pubblicamente il loro sostegno al popolo ucraino e una durissima condanna “di questa guerra vergognosa”, chiedendo a tutti i cittadini russi di unirsi al movimento per la pace. Per quanto la Russia sia isolata da una fitta cortina di propaganda e censura, nonostante le nuove leggi speciali, la più antica università del Paese gridava il suo no e cerca di farsi sentire anche sul web. Penso che i 4 mila firmatari della lettera non se la stiano passando molto bene. Dopo il colpo di stato di Putin –c’è stato un colpo di stato– gli apparati di sicurezza hanno stretto i controlli sulle 69 università di Mosca e anche nelle scuole superiori, ma è da vedere fino a che punto ci riusciranno… 

 Cordiali saluti

 Livio Ghelli  

Università Statale Lomonosov Mosca

 

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Firenze tra l’Unità d’Italia e l’inizio degli Anni Venti del 900:  l’eclettica periferia di Nord Est

27/03/2022 da Sergio Casprini

 

La Firenze più nuova e aperta al mondo, tra l’Unità d’Italia e l’inizio degli Anni Venti del 900, la sentiamo particolarmente vitale nelle zone appena urbanizzate, a nord e ad est del fiume, nell’area corrispondente più o meno all’attuale Quartiere 2, Campo di Marte.

Qui l’applicazione di nuove tecnologie nelle costruzioni, i giardini con chioschi e il verde all’inglese, la fantasia estrosa dei villini borghesi, gli ottimi esempi di casamenti popolari dove luce, aria e spazi comuni sono generosamente previsti, con criteri di salubrità e rispetto (vedi Via Manni, Via Moreni ecc.), lo stesso ospedale psichiatrico di San Salvi, rimandano idealmente all’Europa più avanzata.

Piano Poggi  d’ingrandimento di Firenze 1865

Una Europa che non è solamente la Parigi in piccolo riprodotta, con innegabile merito, da Giuseppe Poggi.  Poggi un po’ guardava alla capitale francese con gli occhi della borghesia fiorentina più tranquilla, desiderosa di distinte facciate, giardinetti e luoghi di riposo distribuiti lungo i viali; era una borghesia che desiderava non vedere la quiete delle nuove zone disturbata dalla presenza di officine e caseggiati proletari, zeppi di pigionali e ragazzaglia (così parlava, in un suo intervento del 1868, nel Salone dei Dugento di Firenze capitale, il senatore Giuseppe Pasolini dall’Onda).

Riassumendo: l’iconografia varia e vitale dei villini e di molte costruzioni, nate oltre la cerchia dei viali in contrasto con la solennità dell’architettura ufficiale del centro storico; i buoni esempi  di abitazioni popolari (case per i dipendenti delle Ferrovie dello Stato, e non solo), i laboratori di restauro, di produzione di ceramiche, di vetri colorati, di statue di marmo e alabastro fatte da artisti di ottimo mestiere ( statue, non di rado,  esportate in America);la vicinanza del quartiere residenziale di Piazza d’Azeglio, dove si installa la borghesia colta di origine ebraica, concorrono a far sì che all’inizio del ‘900 venissero ad abitare in questa fascia di città uomini come Papini (via Guerrazzi), Prezzolini (via della Robbia), Jahier (via Repetti), Amendola (via Scialoja prima, poi via Pier Capponi), Cesare Battisti (via Lungo il Mugnone)…

 1916 Lapide in memoria di Cesare Battisti Piazza San Marco Firenze

Ed anche che Papini, Cicognani, Marino Moretti gravitassero per molto tempo attorno alla vicina via Laura (dove c’era la Règia Scuola di Recitazione) e che, in seguito all’avvento del fascismo, l’opposizione clandestina democratico borghese tenesse il proprio caposaldo attorno a Piazza d’Azeglio. A pochi passi da Piazza D’Azeglio, in via Giusti 38, abitavano i fratelli Rosselli. E qui, nel 1925, fondarono il giornale clandestino ‘Non mollare’, una spina nel fianco per il regime fascista.

Livio Ghelli

Lapide in memoria dei Fratelli Rosselli in Via Giusti Firenze

 

 

 

 

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Pola era italiana prima che fosse città fortezza austriaca nel 1856

23/03/2022 da Sergio Casprini

Caro Direttore, mi permetto di commentare l’articolo di Roberto Persico apparso su “Il Foglio Quotidiano” del 19 marzo 2022 e validamente ripubblicato sul Sito del Comitato Fiorentino per il Risorgimento, dissentendo energicamente con un suo punto basilare. La nota di Persico ha infatti sicuramente il pregio di mantenere l’attenzione sugli eventi che hanno insanguinato e irreparabilmente cancellato l’antico habitat culturale e civile dell’Istria italiana a seguito degli ultimi eventi bellici mondiali, ma presenta sottilmente una informazione che falsa completamente la conoscenza del problema. La nota in questione infatti esordisce affermando che Pola era al momento dell’esodo degli italiani avvenuto nel 1947 “una città fortezza nata nel 1856 come nuova sede della marina militare asburgica, passata in mezzo secolo da poco più di mille a oltre cinquantamila abitanti ecc”. Ebbene questa informazione data in questo modo, senza altre premesse storiche, avvalora quanto affermano anche altrove altre fonti falsificatorie interessate a legittimare culturalmente l’occupazione militare dei territori da parte jugoslava, anche di larga diffusione come ad esempio le pubblicazioni turistiche slovene e croate,  laddove ad esempio spesso si legge che la Dalmazia e a volte anche la stessa Istria erano “colonie” italiane poi sottratte a tale regime con la resistenza partigiana e ritornate agli storici detentori della nazionalità territoriale. Niente di più falso e mistificatorio. Per quanto riguarda Pola in particolare, oggetto della nota di Persico, credo che nessuno possa onestamente negare che essa non è nata nel 1856 come fortezza austriaca, come egli scrive, né tantomeno era una colonia italiana come oggi dicono tanti testi divulgativi sloveni e croati, ma che essa era al contrario un centro abitato fondato già nella lontanissima età del bronzo, poi ristrutturato e rafforzato dagli antichi romani a seguito della loro conquista nel 177 a. C.  con la nuova denominazione di Pietas Julia, di cui resta visibile ancora oggi il bellissimo anfiteatro circolare che ne è simbolo. La città diventò poi parte della Repubblica di Venezia nel 1148 ed era perfettamente conosciuta anche da Dante Alighieri che in un suo celebre passo della Divina Commedia la ricorda al limite orientale dell’Italia scrivendo: “Si come ad Arli, ove Rodano stagna, sì com’a Pola, presso del Carnaro, ch’talia chiude e suoi termini bagna”. Mi fermo qua, perché sono dati accessibili a tutti.  Voglio solo qui sottolineare contro tutti i falsificatori o mistificatori più o meno interessati che l’Istria e la Dalmazia non sono nate come regioni austriache o tanto meno come “colonie” italiane, ma hanno avuto una lunghissima e ricchissima storia precedente, in cui la lingua e la cultura romana, veneziana e italiana sono fondamentali e innegabili.

Nella piazza di Settignano, a Firenze, è eretta una   bella statua a ricordo di Niccolò Tommaseo, che vi è morto e poi sepolto nel piccolo cimitero locale.  Tommaseo era nativo di Sebenico, in Dalmazia, di lingua e cultura italiana, grande linguista e studioso di glottologia, ed è colui che redasse l’omonimo grande Dizionario della Lingua Italiana prodotto illustre e assai famoso durante il Risorgimento italiano. Non era austriaco né un colono italiano. Era semplicemente originario storicamente di quei territori, come tutta la popolazione a cui apparteneva e che là aveva abitato fino agli eventi di cui l’articolo di Persico parla.

Marco Panti

L’Anfiteatro di Pola

 

 

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Firenze 1860-1920: vitalità di una zona periferica della città

18/03/2022 da Sergio Casprini

Caro Direttore, gran parte di ciò che a Firenze, tra il 1860 e il 1920, ha significato movimento, innovazione, rottura con le istituzioni accademiche è nato nella periferia a nord e a nord-est dell’Arno, limitata dal corso del fiume ed esterna alla cerchia muraria, che nell’ottocento fino agli anni di Firenze Capitale separava il centro storico dalla campagna.

Odoardo Borrani  Pescatore sull’Arno alla Casaccia 1871  

Al tempo dei Macchiaioli e del loro cenacolo di via Piagentina, questa zona era aperta campagna. Perché i Macchiaioli operarono fuori delle mura è facile capirlo: una pittura che è soprattutto studio della luce cerca il contatto diretto con la natura e la piena luce del sole; anche le rive dell’arno, praticamente deserte, di Varlungo e Bellariva, il greto dell’Affrico, della Mensola e del Mugnone- presentavano nelle varie ore del giorno la possibilità di raccogliere importantissime osservazioni. Il centro cittadino, invece, con gli storici palazzi, le strette vie, le antiche testimonianze, richiamava troppo certi quadri romantici dove dominavano il folklore, l’oleografia, la ricostruzione romanzata di costumi e ambienti del passato. E poi, lontano dal centro, era difficile imbattersi nei vecchi bonzi della critica e della cultura ufficiale, officianti, all’ombra delle torri, la celebrazione del passato glorioso della città. Quest’ultimo aspetto, della lontananza topografica dalla Firenze passatista del centro, da cui si sente l’urgenza di affrancarsi, farà in modo che, dopo i Macchiaioli, anche la maggior parte degli intellettuali ed artisti irregolari preferirà trasferirsi in periferia.
Perché però in questa periferia e non in un’altra? C’è il fatto che, agli inizi del ‘900, gli affitti di alcune zone di questi nuovi quartieri, prevalentemente borghesi, non erano tanto alti come si potrebbe immaginare giudicando dalla situazione odierna. Ma ciò che in quegli anni rende interessante lo sviluppo di questa parte di territorio è la costruzione di alcuni dei più originali e moderni edifici della nuova città. Alcuni esempi di questa felice disomogeneità, che si staccano dal decoro uniforme -tra neoclassico e rinascimentale- delle piazze e viali del Poggi: la grande serra in vetro e ferro del Giardino dell’Orticultura, realizzata nel 1879 dal Roster, che progetterà anche l’Ospedale Psichiatrico di San Salvi (1887-91) e l’Ospedale Pediatrico Meyer (1891), con criteri molto avanzati per l’epoca. Altre opere di interesse vanno dalla Chiesa russa in via Leone X, di un esotismo ricchissimo di elementi figurativi della ‘vecchia Russia’ ortodossa, a costruzioni neogotiche, come la Chiesa dei Sette Santi in viale dei Mille, a vari villini di stile eclettico e, in particolare, ai capolavori liberty costruiti dall’architetto Giovanni Michelazzi in via Scipione Ammirato e altrove.
E’ una Firenze dove l’eclettismo di fine secolo, la suggestione di elementi esotici e di fantasia pura, l’applicazione avanzata delle tecnologie del ferro, il fascino dei padiglioni da giardino e del verde anglosassone, coesistono, già tutti, in un’apertura europea.

Livio Ghelli

Giacomo Roster La Serra- Tepidarium nel giardino dell’Orticoltura 1878

 

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Dostoevskij e l’Ucraina

03/03/2022 da Sergio Casprini

Caro Direttore, alla facoltà di lingue slave della Università degli Studi di Milano Bicocca, mercoledì 9 marzo, un professore, scrittore e studioso di letteratura russa, avrebbe dovuto iniziare un corso di 4 lezioni, concordato e annunciato da tempo, sul pensiero e la vita di Fëdor Dostoevskij. Il corso sarebbe stato gratuito e aperto a tutti. Ma una mail dell’Università degli Studi bloccava ieri l’iniziativa: “allo scopo di evitare ogni forma di polemica interna, in quanto momento di forte tensione.”

Come dire: visto che Putin, che è russo, ha deciso questa infamità dell’invasione dell’Ucraina, noi non vogliamo grane con Dostoevskij, russo e pietroburghese come lui. Importa poco che Dostoevskij, nato 200 anni fa (!), sia stato condannato a morte, nel 1849, perché si era opposto, in nome della solidarietà e giustizia, all’autocrazia dello zar, e che, risparmiato in extremis, sia stato deportato ad Omsk, nel cuore delle nevi siberiane, nella detenzione spaventosa della “casa dei morti”. Non importa che la sua scrittura sia universale, e che ci parli di amore e di libertà.

E allora, visto che Hitler ha fatto quel che ha fatto, perché non censuriamo la musica di Beethoven?

Perché non censuriamo la musica di Rossini, o -perché no? – anche la Divina Commedia, visto che Mussolini un bel po’ di danni al mondo li ha fatti?

Pare che, dopo molto traccheggio, l’Università ci abbia ripensato. Non ne abbiamo conferma, ma forse il corso, alla fine, si terrà. Noblesse oblige…

Saluti.

Livio Ghelli

Fëdor Dostoevskij

 

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Dobbiamo conoscere e raccontare il male passato per poterne riconoscere i residui nel presente. E poterli combattere.

12/02/2022 da Sergio Casprini

Caro Direttore,

Troppo facile parlare della sola Germania… In Italia, in Francia, in Belgio, in Spagna, in Portogallo, in Ungheria, in Grecia, in tutta la parte d’Europa che fu per decenni preda di dittature, nell’altra parte che era stata occupata dai nazifascisti, in un giorno di liberazione fu deciso di voltare pagina.

Voltammo pagina. Per molti la Liberazione fu il 25 aprile 1945, con la sconfitta del nazifascismo, per altri avvenne circa 30 anni anni dopo, con la caduta del franchismo, degli eredi di Salazar e dei colonnelli di turno. Ma i regimi, le occupazioni militari non possono sostenersi senza il consenso e la collaborazione di molte persone: funzionari, spie, kapò di vario genere, aguzzini… E gente, in apparenza normalissima, che per ottenere un alloggio più grande, un premio in denaro, per convinzione o per antipatia denuncia la famiglia di Anna Frank. Francesi collaborazionisti del regime di Vichy, burocrati e delatori filonazisti in Belgio e in Olanda, ustascia in Croazia e in Bosnia, ucraini collaborazionisti facenti parte delle SS; non ultimi, gli Italiani aderenti alla Repubblica di Salò: molti torturarono e commisero atrocità; altri aiutarono i torturatori; altri girarono la testa dall’altra parte. La macchina statale doveva pur funzionare, anche se a comandare la macchina erano gli occupanti nazisti.                           

Pochi collaborazionisti, pochi criminali di guerra, pochi aguzzini delle dittature hanno pagato per quel che hanno fatto.  La motivazione è sempre la stessa: Occorre voltare pagina. Occorre dimenticare.

Noi Italiani abbiamo ricoperto un doppio ruolo, di vittime e di criminali: fummo vittime delle stragi nazifasciste e vittime delle stragi titine delle foibe, vittime della strage di Pola, dei mille esodi, e anche vittime del lavoro, lavoratori schiavi a Marcinelle e altrove. Non ci sono stati indennizzi per tutto questo. Solo silenzio, e anche un certo armadio della vergogna, ritrovato quando era tardi. Però non siamo stati solo vittime, siamo stati anche colpevoli. E probabilmente lo siamo ancora, anche se ci piace tanto considerarci brava gente, incapaci di far davvero male a civili inermi. Sopprimemmo con i gas asfissianti i villaggi etiopi, obbligammo popolazioni libiche a sfibranti marce della morte attraverso il deserto; a noi la vergogna del massacro di Addis Abeba, voluto da Graziani.  E abbiamo compiuto le nostre brave atrocità in Grecia, in Jugoslavia, un po’ dappertutto.

Per Graziani e Badoglio non ci fu nessun processo di Norimberga, per quel che avevano fatto in Africa. Dopo una iniziale condanna da parte italiana (1945), fu prosciolto anche il generale Mario Roatta (ritenuto ideatore, fra le altre cose, del piano per uccidere i fratelli Rosselli). Aveva fatto guerra alla popolazione civile, in Slovenia e in Croazia, con rappresaglie, incendi di case e villaggi, esecuzioni sommarie, raccolta e uccisione di ostaggi, internamenti, anche di donne e bambini, nei campi di concentramento di Arbe, Gonars ed altri ancora, da dove difficilmente gli internati slavi uscivano vivi. Roatta è morto tranquillamente a Roma nel 1968

Livio Ghelli

20 novembre 1945 – 1 ottobre 1946 Processo di Norimberga

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Due opinioni sulle elezioni del Presidente della Repubblica

01/02/2022 da Sergio Casprini

Il Presidente degli Italiani

Caro Direttore, il tuo editoriale giunge opportuno e corrisponde pienamente al mio pensiero sulla funzione della carica e sulla nobiltà del presidente Mattarella che rimane in carica. La sua elezione ci ha sollevato l’animo perché erano corsi nomi da brivido, soprattutto tali da rendere il nostro paese, la favola comica agli occhi del mondo, o nomi di assoluta non riconoscibilità civile o, ancora, divisivi perfino per i partiti di appartenenza. Detto questo a me rimane un rammarico o, se preferisci, un’opinione personale magari sbagliata e irragionevole. 

E’ la seconda volta consecutiva che viene confermato un presidente e ciò mi fa pensare male. Prima di tutto mi pare che ci sia un altro passaggio mentale verso un’idea presidenzialista completamente avulsa dallo spirito della Costituzione italiana, per cui tutto si svolge intorno alla personalità (vale anche per la presidenza del Consiglio) e non all’identità politica e ideologica ben nitida come avveniva una volta. Avverto anche un intimo terrore, l’affiorare di una sorta di inconscia voglia di monarchia che tende a identificare persona e potere (la cosa non riguarda Mattarella che – ripeto – è la scelta migliore in questo baratro). Tutto questo considerando che l’istituzione regge e che, tranne in almeno un caso, la Presidenza della Repubblica è sempre stata esercitata con grandissimo e alto senso dell’istituzione democratica. Altro fatto che mi fa male: la scelta del Presidente è avvenuta non al di dentro delle coscienze di deputati e rappresentanti regionali, ma in un gruppo ristretto di cinque o sei persone. Avrei preferito che quel gruppetto avesse prodotto una rosa di nomi e il Parlamento e gli altri soggetti avessero guardato con occhio protagonista e responsabile dentro la loro coscienza. 

Grazie. cari saluti,

Fabio Bertini

*************************************

Caro direttore, prima dell’articolo 87 , chi vuole può leggere l’articolo 85 della Costituzione, che al primo comma recita: Il Presidente della Repubblica è eletto per sette anni. La rielezione di Mattarella è andata dunque contro il dettato della Costituzione.

Anche con riferimento alla Costituzione, l’uscente aveva dichiarato di non voler…rientrare. Alle parole aveva fatto seguire i ( pubblicizzati ) saluti a Tizio e a Caio, la scena ( reclamizzata ) della ricerca di una “nuova casa” ( come se non ne avesse avuta mai o non ne avesse una ! ), la sceneggiata del “trasloco” con gli “scatoloni ” ( ampiamente e ripetutamente fotografati, anche oltre il ridicolo ). Alla fine , però, il buon ( democristiano ) Mattarella  non ha voluto essere da meno del migliore ( comunista ) Napolitano e “non si è sottratto ” ( sic: lo stile – democristiano – non è acqua ) alla “seconda dose”. Salmodianti in corteo il segretario del NO a tutti Enrico Letta, i grillini ( di Conte, dell’ineffabile Di Maio, …di chi ? ), lo statista leghista  (  competenza, coerenza e dignità, che superspettacolo !!!), l’affarista saudita ed altri in coda.

Il fatto peggiore – mi permetto – è che ormai stiamo scendendo  ( e in gran parte già lo siamo ) in una repubblica presidenziale, opposta allo spirito della Costituente e della Costituzione, della quale da tempo si vedono le manifestazioni e le pratiche ( spudorate ).

Gli ideali risorgimentali, poi, sono sempre più lontani.

Adalberto Scarlino

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Se oggi il popolo italiano ha raggiunto un grado soddisfacente di cultura permane purtroppo un forte livello di analfabetismo civile

01/12/2021 da Sergio Casprini

Caro Direttore,

Il tuo brillante e approfondito Editoriale https://www.risorgimentofirenze.it/un-buon-cittadino-deve-saper-leggere-e-scrivere/    solleva molte questioni interessanti.

Dovendo lavorare un po’ intorno alla storia dei programmi scolastici, ho visto come fosse complesso e dialettico il dibattito sull’istruzione che comportava almeno tre occasioni di discordia, il tema dell’insegnamento religioso, vero e proprio filo rosso continuo di verifica dell’atteggiamento dei governi verso la Chiesa fino – credo – ai giorni nostri; il tema della scuola di élite, particolarmente vivo intorno allo snodo tra due passaggi, la mancata riforma di Benedetto Croce  e quella realizzata di Giovanni Gentile, a cavallo tra crisi del regime liberale e affermazione del presidenzialismo autoritario di Mussolini precedente la dittatura, con la continuità tra i due casi dello spirito élitario e dell’apertura all’insegnamento religioso; la questione di genere su cui sarebbe lungo e complicato soffermarsi ma che era un fattore di grande rilievo. Nel nostro dopoguerra le tre questioni di sono mescolate dando luogo certamente ad un prodotto diverso e, negli anni della nostra lontana militanza politica e sociale, sicuramente con aspetti di grande evoluzione. Resta un problema che sintetizzo attraverso un caso di recentissima attualità.

Da sportivo, seguivo la famigerata trasmissione in diretta all’uscita dei tifosi viola dallo stadio di Empoli che ha dato occasione al famoso caso della volgarità a danno della giornalista Greta. Ebbene. Per una distrazione mi era sfuggito il gesto del ristoratore marchigiano abituato a trattare, a quel che sembra con i ranocchi, da cui sicuramente avrà imparato le modalità espressive ma non i comportamenti che sono sicuramente migliori tra i simpatici animaletti. Ho però visto, rimanendo egualmente sbigottito il comportamento di molti altri che uscivano dallo stadio, nei quali il linguaggio espressivo era sicuramente degno dell’incriminato per parole, modalità e gesti, tanto che ho sentito subito bisogno di esprimere a mia moglie lo sbigottimento per tanta volgarità e misoginia. E allora domando. Se abbiamo raggiunto ormai un livello di alfabetizzazione soddisfacente, se non altro esistendo un obbligo scolastico almeno fino alla terza media e oltre, quale materia manca nella scuola per cui invece rimane un livello di analfabetismo civile così evidente? Non sarebbe il caso di individuare questa materia che manca e magari inserirla nei programmi scolastici come fondamentale, il che vorrebbe dire insegnarla e farla apprendere in tutti i momenti della giornata, intervalli compresi? Qualcuno ha idea di quale materia potrebbe essere?

Cari saluti, Fabio Bertini

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Contro il degrado urbano a Firenze sono necessari anche i bagni pubblici nei punti più frequentati, e nei maggiori parchi urbani, sempre aperti e accessibili, come nelle maggiori realtà urbane d’Oltralpe.

05/07/2021 da Sergio Casprini

Caro Direttore, mi permetto di commentare positivamente la lettera di Fabio Bertini sulla Movida fiorentina, aggiungendo questa mia ulteriore riflessione.  Secondo me una analoga altrettanto importante battaglia di civiltà per la nostra città, che peraltro accoglie normalmente migliaia di turisti da tutte le parti del mondo, è quella per la presenza di bagni pubblici nei punti più frequentati, e nei maggiori parchi urbani, sempre aperti e accessibili, come nelle maggiori realtà urbane d’Oltralpe. I bagni pubblici in una città civile non sono da considerare una presenza opzionale, ma fondamentale e indispensabile, per cui se ne deve fare carico la Pubblica Amministrazione, come essa si fa carico di asfaltare le strade, costruire ponti, tenere aperte le scuole, ecc. I cittadini pagano le tasse per avere servizi pubblici, e i bagni pubblici dai tempi dell’Imperatore romano Vespasiano sono considerati servizi pubblici a carico dello Stato. E’ per questo che in un paese civile si pagano le tasse, ed è compito dei politici eletti dai cittadini alla Pubblica Amministrazione promuovere e gestire i servizi pubblici fondamentali, fra cui appunto in tutto il mondo civile sono i bagni pubblici. Ciò premesso, si possono trovare varie soluzioni per ridurre i costi dei servizi di questo tipo. Ad esempio, per approfondire, mi permetto di informare con concretezza che quando fino a tre anni fa ero dirigente scolastico nell’area fiorentina (ora sono in pensione) facendo semplicemente il mio dovere lavorativo avevo fatto un progetto, assieme ai miei docenti collaboratori e altri, per utilizzare i migranti ospiti dei centri Caritas come operatori volontari per innaffiare in estate l’orto scolastico dei ragazzi della nostra scuola media. Progetto poi felicemente attuato senza spese per anni senza clamore e dispendiose inaugurazioni elettorali. Si possono fare insomma tante cose come questa se si ha a cuore la nostra utenza. Volendo i nostri dirigenti politico-amministrativi locali possono fare altrettanto senza sostenere spese, per supportare la gestione sociale dei servizi pubblici al cittadino. Magari forse con analoghi progetti si potrebbero impegnare anche i percettori del reddito di cittadinanza…e anche per loro si potrebbero fare analoghi progetti di impiego senza costi per supportare i servizi igienici pubblici cittadini, compresi quelli dei parchi urbani più affollati. Come in tutto il mondo civile bisogna che anche da noi, e anche a Firenze, culla del Rinascimento, i servizi pubblici di accoglienza e assistenza civica dei cittadini competano alla Amministrazione Pubblica, in questo caso locale, e vengano messi a disposizione ordinariamente per tutti.

Saluti cordiali

Marco Panti

1908 Bagno Comunale  via Sant’Agostino n.8 Firenze

 

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