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IL NEGRO DI GARIBALDI

22/05/2023 da Sergio Casprini

Andrés prendeva al lazo i nemici a cavallo. Andrés non aveva paura di nulla. Ognuno ricorda la risata generosa di Andrés, che contagiava tutti della sua allegria. Andrés andava in giro con la camicia e il poncho scarlatti, un cappello grigio con la piuma bianca, e le donne di Transtevere si giravano a guardarlo. Andrés era tenente colonnello dello scalcagnato esercito di volontari per la libertà, giunti da ogni parte del mondo per difendere la Repubblica Romana Andrés era un baby-sitter meraviglioso, che incantava i bambini, Anita e Giuseppe spesso gli lasciavano i loro se non potevano tenerli, o anche, semplicemente, perché i bambini erano felici di stare con lui. Maggiori ragguagli sulla sua fine, a trent’anni, potrebbe darli se potesse parlare la granata francese che lo raggiunse, il 30 giugno 1849, di fronte al Monastero dei Sette Dolori. Pare riuscisse a gridare: Viva le Repubbliche d’America e di Roma! Non morì subito. Lo portarono nell’ospedaletto improvvisato di Santa Maria della Scala, a fianco di altri giovani, che stavano morendo come lui, Luciano Manara di ventiquattro anni, e Goffredo Mameli di 21, che morirà per ultimo, il 6 luglio.

Andrés Aguyar, uruguaiano, era schiavo e figlio di schiavi provenienti dall’Africa. Fu liberato da Garibaldi quando questi combatteva in Uruguay a fianco dei ‘colorados’ contro i conservatori e latifondisti ‘blancos’, ne condivise gli ideali di lotta e rimase sempre con lui, uscendo miracolosamente da situazioni disperate e perdute in partenza. 

Con alcune differenze rispetto a Mazzini, Garibaldi rifletteva e giudicava in base al proprio vissuto, alla propria esperienza degli uomini e delle cose, al proprio istinto. Per Garibaldi, corrispondente e spesso amico, in tutti i mari e gli oceani, con persone di ogni risma, popolo, condizione e colore, tutti gli esseri umani hanno pari dignità, sono liberi, non devono in alcun modo essere assoggettati economicamente o culturalmente. Pertanto ogni colonialismo, le conversioni forzose, l’ideologia del fardello dell’uomo bianco che deve farsi carico della civilizzazione degli altri popoli (vedi Benjamin Disraeli), sono per Garibaldi un male, rappresentazione dell’istinto predatorio di alcune grandi potenze e compagnie commerciali, per di più giustificato in maniera subdola e ipocrita. Perché, per Garibaldi, ogni uomo, ogni popolo, è in grado di cercare da sé la strada per la propria liberazione, puoi offrirgli il tuo aiuto senza chiedere niente in cambio, non puoi imporglielo né atteggiarti a suo mentore.

E se Mazzini sulla questione la pensava diversamente, se ha anche scritto che il colonialismo era un moto inevitabile ‘che chiamava l’Europa a incivilire le regioni africane’, perché non dire serenamente che su questo punto Mazzini aveva torto? 

Livio Ghelli

1848. Garibaldi e Andrés Aguyar a Velletri

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