… Ecco perché mi sono battuto pubblicamente, e senza firmare manifesti ma con scritti miei e firmati sul Corriere, contro l’ignoranza. Per una scuola che selezioni, altro che scuola per tutti, per una scuola di falegnami e fabbri e contadini e operai e idraulici e panettieri. Tutti vogliono essere medici, oggi, e magari con il trenta e lode garantito… Goffredo Parise 14 febbraio 1978
Editoriale
Il prezzo della Modernità
La macchina a vapore è una scoperta che non si saprebbe confrontare, per la grandezza delle sue conseguenze, che a quella della stampa o meglio ancora a quella del continente americano. L’influenza delle ferrovie si estenderà su tutto l’universo. Nei paesi giunti ad un alto grado di civiltà, esse daranno all’industria una spinta immensa; i loro risultati economici saranno fin dall’inizio magnifici e accelereranno il movimento del progresso della società. Ma gli effetti morali che ne devono risultare, ancora maggiori ai nostri occhi dei loro effetti materiali, saranno soprattutto notevoli nelle nazioni che, nel cammino ascendente dei popoli moderni, si trovano in ritardo. Per esse le ferrovie saranno più di un mezzo per arricchirsi; saranno un’arma potente, con l’aiuto della quale esse giungeranno a trionfare delle forze ritardatrici, che le mantengono in una condizione funesta di infanzia industriale e politica”. Camillo Benso conte di Cavour Des chemins de Fer en Italie
Quando il giovane Cavour celebrò con questo articolo, pubblicato sulla Revue Nouvelle a Parigi nel 1846, l’avvento della macchina a vapore nelle ferrovie, era già stato in Francia ed in Inghilterra e ne aveva colto il valore come forza propulsiva nello sviluppo economico di quei paesi e quindi successivamente da capo del governo dello stato sabaudo fece in modo di potenziare la rete ferroviaria del Piemonte, tale da renderla superiore per chilometri realizzati a tutti gli stati preunitari dell’Italia.
Alla sua morte quasi mille chilometri di ferrovia erano attivi e l’apertura nel 1871 al traffico ferroviario del traforo del Frejus, un tunnel ferroviario che collegava la Francia con l’Italia, coronò i suoi sforzi di accelerare il movimento del progresso della società.
L’opera di Cavour dimostra quanto il processo storico del Risorgimento italiano sia strettamente legato al processo di modernizzazione del nostro Paese, che partì appunto dal Piemonte per estendersi a tutta l’Italia unita
Una modernità che comportò anche dei prezzi: in primo luogo i costi sia per la costruzione sia per gli espropri per ragioni di pubblica utilità, il disagio per i residenti nel territorio per tutto il tempo dei lavori ed infine la modificazione del paesaggio naturale talora in maniera brutale come nel caso del traforo del Frejus.
I benefici per i cittadini alla fine furono superiori ai costi, nel passaggio da una società chiusa e statica ad una società aperta e dinamica in uno sviluppo non solo economico ma anche culturale della Nazione.
Oggi in Italia la questione delle infrastrutture ferroviarie si pone in maniera diversa.
Senza penalizzare il trasporto locale e regionale occorre potenziare la rete dell’Alta velocità con la possibilità grazie alle attuali tecnologie costruttive di realizzare linee sotto i centri abitati e alcune parti del territorio montano come già è avvenuto da alcuni anni negli altri paesi europei.
A Firenze nel 1995 ( più di 20 anni fa!) la giunta del sindaco Primicerio aveva approvato dopo approfonditi studi di settore, perizie tecniche e concorsi progettuali la stazione sotterranea dell’Alta Velocità, progettata dall’architetto Norman Foster ed il sotto attraversamento di Firenze.
E’ di questi giorni la decisione concordata da Governo, Regione toscana e Comune di Firenze di non fare più la stazione Foster e di rivedere il tracciato del tunnel sotto il centro urbano quando intanto da anni erano stati aperti due costosi cantieri in previsione della realizzazione del progetto approvato nel 1995!
Cosa è cambiato dai tempi di Cavour?
Sicuramente tra i prezzi da pagare al processo di modernizzazione del nostro Paese c’è oggi il peso crescente della burocrazia amministrativa a livello nazionale e locale con veti e lungaggini e con l’aggravio di una non efficiente gestione degli appalti per la realizzazione delle opere. Il malaffare ed i casi di corruzione hanno ulteriormente minato la credibilità delle istituzioni presso i cittadini che di queste grandi opere vedono solo i costi, i disagi che procurano e nessun beneficio.
La novità però rispetto al tempo della classe politica risorgimentale è la presenza oggi di un’agguerrita opinione pubblica, che si nutre di allarmismi, di pregiudizi ideologici ed anti modernisti ( l’utopia di una decrescita felice!) e che condiziona ed intimidisce i reggitori della Cosa Pubblica, incapaci pertanto di assumersi la responsabilità delle loro scelte e delle loro decisioni.
Un’opinione pubblica in Italia che invece di essere propositiva e concorrere al progresso della Nazione fa parte purtroppo, citando le parole di Cavour, di quelle forze ritardatrici, che mantengono la loro Patria in una condizione funesta di infanzia industriale e politica!
Esistono un’anima ed un’identità europee?
… La nostra è un’Europa sì portatrice di valori fondamentali, ma anche un’Europa che ha perso la sua anima per strada, che fa fatica a spiegare non solo agli altri, ma anche a se stessa le sue ragioni…
Lucrezia Reichlin Corriere della Sera 25 giugno
In un libro uscito recentemente Italia. L’invenzione della Patria il docente universitario di letteratura italiana Fabio Finotti ci conduce attraverso i diversi significati che l’idea di Patria ha avuto nei secoli in’Italia. Dall’idea di Virgilio che vedeva la Patria come qualcosa da costruire (invece che un dato naturale), all’idea di impero come somma di diversità di Carlo Magno, passando per l’idea romantica di Foscolo e Manzoni e la retorica del fascismo, fino alla nostalgia degli espatriati di Little Italy, questo libro ci ricorda che l’Italia è il frutto di una straordinaria e mutevole invenzione culturale. Un invenzione però che nei secoli è diventata realtà storica in un processo secolare, di guerre e conflitti sociali, dagli anni del Risorgimento fino alla Resistenza. E da allora l’ Unità del nostro Paese e la sua identità nazionale non sono state mai messe in discussione e quando 70 anni fa in Italia fu fatto il referendum su monarchia o repubblica con una votazione fino all’ultimo voto incerta, nonostante che dopo l’8 settembre l’idea di Patria fosse entrata in crisi, nessuno mise in dubbio che l’esito del referendum avrebbe potuto pregiudicare il destino della nazione.
Anche l’Europa come istituzione sovrazionale è stata un’invenzione culturale, di uomini generosi ed idealisti come Altiero Spinelli, Ernesto Rossi con il manifesto di Ventotene ed ancor prima nell’Ottocento come Giuseppe Mazzini con La Giovane Europa, i quali auspicavano un Europa pacificata ed unita dopo le tragedie di guerre nazionalistiche e di conflitti sociali e razziali. Ma in questo caso dietro le idealità ed i valori c’è stata solo la volontà dei singoli governi nazionali a costruire un processo di formazione unitaria sovranazionale, non una mobilitazione di forze politiche e di ceti sociali a dare corpo, identità ed anima a questo nuova istituzione comunitaria.
Infatti oggi esiste sopratutto l’Europa dell’economia e della finanza, di elites tecnocratiche e delle banche, senza che esista l’Europa della politica – estera, in particolare -, della difesa (non c’è esercito comune) e della cultura (non si è riusciti a mettere insieme una Carta costituzionale che fissasse gli elementi chiave di questa costruzione e la conferma ne fu il flop della mancata ratifica da parte della Francia e dell’Olanda nel 2005). Ed infatti l’Europa si occupa della misura delle vongole che possono essere pescate e non riesce a prendere decisioni comuni sui migranti o sulla Siria e la Libia!
Dov’è quindi un’anima ed un sentimento condiviso di appartenenza ad un’unione comunitaria?
Di certo, l’eredità greca e romana, il Cristianesimo e l’illuminismo, la travagliata storia della resistenza ai totalitarismi novecenteschi ci hanno lasciato alcuni contenuti come la pace, la giustizia sociale, la libertà di pensiero, di espressione, di associazione, di partecipazione democratica. E d’altronde non si può tornare alle ideologie nazionalistiche dell’Ottocento ed alla politica delle cannoniere!. La perdita della sovranità nazionale è accettabile se, e solo se, è fatta in nome di un’istituzione più capace di garantire la sicurezza e il benessere di ciascuno e, soprattutto, più rispettosa e rappresentativa delle culture e delle tradizioni locali di quanto non lo siano gli stati nazionali. Un’Europa dei popoli, piena di ideali di libertà, di rispetto della vita e della giustizia sociale, amante e valorizzatrice delle differenze e delle peculiarità culturali ed economiche di ogni nazione sarebbe una possibile soluzione per uscire dall’impasse in cui si trova oggi l’Unione europea dopo Brexit.
L’americano Joseph Halevi Horowitz Weiler, giurista e docente universitario, rettore dell’Istituto universitario europeo con sede a Firenze, da tempo propone per esempio che l’Unione europea debba essere un sistema fondato su stabili relazioni tra distinti, tra Stati nazionali ciascuno forte di una sua identità, tra popoli ciascuno ricco delle sue culture.
Brexit deve essere giudicato allora non come la catastrofe di un processo storico unitario ma come un episodio, certamente da non sottovalutare, su cui riflettere per far ripartire un percorso di rinascita di un’altra idea d’Europa e di formazione di una reale identità ed anima comunitaria!
Le ragazze del ‘46
Su Rai3 – da lunedì 30 maggio a venerdì 3 giugno – sono state raccontate alcune storie di donne, Le ragazze del’46, che hanno votato per la prima volta 70 anni fa, sono state cinque trasmissioni dedicate alla conquista del diritto di voto da parte della donne in Italia, nell’ambito delle celebrazioni della Festa della Repubblica del 2 giugno.
Contadine o insegnanti, casalinghe o impiegate, artiste o con una carriera politica, quelle “ragazze” diverse tra loro, per provenienza, estrazione sociale, istruzione e opinioni, tutte hanno ricordato con emozione il primo voto e la sua importanza: quel 2 giugno di 70 anni fa, insieme a milioni di altre italiane contribuirono a cambiare il destino di una nazione scegliendo tra Monarchia e Repubblica ed eleggendo l’Assemblea Costituente
“Le ragazze del ’46 hanno concluso un cammino di democrazia che era nato negli anni del Risorgimento, anni che le ha viste protagoniste insieme ai patrioti italiani pur non avendo allora acquisito il diritto al voto.
Anche in Toscana abbiamo fulgidi esempi di donne appartenenti a qualsiasi ceto sociale che hanno partecipato ai momenti salienti della storia italiana dagli anni del Risorgimento alla Resistenza.
Le donne della borghesia fiorentina che in cerchio cuciono le camice rosse per i Garibaldini come mostra con commossa partecipazione il pittore Odoardo Borrani in una sua tela del 1863.
L’aristocratica Cristina Trivulzio di Belgioioso, che dopo aver speso gli anni della sua giovinezza per l’Indipendenza dell’Italia , in tarda età, scrive saggi politici e, nel primo numero della rivista di Firenze “Nuova Antologia”, nel 1866 pubblica l’articolo “Della presente condizione delle donne e del loro avvenire”
I duri scioperi alla fine dell’Ottocento delle trecciaiole nella campagna fiorentina e delle sigaraie della manifattura di tabacchi Sant’Orsola di Firenze, che lottarono per una più equa retribuzione del loro lavoro e per l’assistenza alla maternità.
La ventunenne infermiera Anna Lazzari, che assistette amorevolmente i soldati, ricoverati nell’American Hospital di Firenze negli anni della Grande Guerra e ne è appunto testimonianza un album di dediche affettuose da parte degli stessi soldati.
Anna Maria Enriquez Agnoletti, già studentessa al liceo Michelangiolo di Firenze, che fu catturata dai nazifascisti negli anni della Resistenza e fucilata il 12 giugno 1944 in località Cercina di Sesto Fiorentino, insignita di Medaglia d’oro al Valore Militare ed alla Memoria come viene ricordato in una lapide apposta sulla facciata del Liceo Michelangiolo .
Il settantesimo anniversario della Repubblica nel riconoscimento del ruolo svolto dalle donne italiane con la conquista del diritto al voto, a maggior ragione può servire a confermare questa data come uno dei momenti fondativi dell’identità nazionale, un 2 giugno che non è solo positiva conclusione di un processo democratico nato negli anni del Risorgimento, ma deve essere anche momento di riflessione collettiva per un rinnovamento politico, culturale e morale del nostro Paese negli anni di crisi che stiamo attraversando, rinnovamento in cui le italiane non possono non tornare ad essere protagoniste come LE RAGAZZE DEL’46!
Hanno ancora senso le ricorrenze nazionali?
…Abbiamo davanti a noi un’Italia senza fede, incredula, come sempre, in cui dilaga la corruzione, la sfiducia negli ideali, la rassegnazione di fronte al fatto compito, la furberia e lo spirito di sopraffazione del più forte sul più debole. Non sono morti per questo coloro che oggi commemoriamo. Norberto Bobbio 25 aprile 1961
Parole amare, intrise di profondo pessimismo, quelle di Norberto Bobbio di oltre 50 anni fa, nella ricorrenza del 25 aprile. E sicuramente il suo giudizio non sarebbe cambiato in questo 25 aprile del 2016, anzi sarebbe stato ancora più fortemente negativo, oggi che si assiste allo scollamento crescente tra cittadini ed istituzioni, al disorientamento dell’opinione pubblica davanti ai numerosi casi di corruzione politica ed economica e soprattutto ad una crisi di valori e di idealità che attraversa tutta la società italiana e non solo la sua classe dirigente.
Ha senso allora promuovere manifestazioni per ricorrenze storiche a livello nazionale e locale, con il rischio di promuovere stanchi e retorici rituali istituzionali, nell’indifferenza generale, senza soprattutto la partecipazione dei giovani?
Giovani che in recenti inchieste televisive hanno mostrato in maniera candida la loro ignoranza della storia, in particolare della storia patria.
Dobbiamo quindi rassegnarci a questo stato di cose con il pessimismo della ragione oppure con l’ottimismo della volontà ed anche della ragione ridare senso e valore a queste celebrazioni ?
Il 25 aprile, il 2 Giugno, il 4 Novembre, il 17 marzo sono date che segnano la conclusione del processo risorgimentale in Italia con l’affermazione dell’Unità, dell’Indipendenza, della Libertà e Democrazia nel nostro Paese.
Le loro celebrazioni, salvaguardandone la memoria storica, non solo permettono di perpetuare i valori e gli ideali dei nostri nonni per i giovani di oggi, ma anche rafforzano la nostra identità nazionale e la coesione sociale per poter superare lo smarrimento, le divisioni, la perdita dell’interesse generale, la crisi dell’etica pubblica tra gli italiani.
Ed anche ricordare momenti significativi di storia locale, come il 27 aprile 1859, quando nacque l’Indipendenza Toscana ed il 29 maggio 1848, giorno in cui i volontari toscani, la maggior parte giovani, combatterono a Curtatone e Montanara serve a fondare quella religione civile, che ancora manca nella nostra Nazione e che invece può rianimare tra i Toscani e tra gli Italiani un comune sentimento di appartenenza ed una condivisa volontà di rinascita per un’Italia migliore, degna del suo glorioso passato politico, culturale ed artistico!
Una Passeggiata nel verde a Firenze
Mercoledì 23 marzo 2016 a Villa Bardini è stato presentato un progetto dell’architetto Maria Chiara Pozzana con il sostegno della Fondazione Parchi Monumentali Bardini e Peyron dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze di una Passeggiata in mezzo al verde a Firenze, lunga 15 chilometri e con suggestive vedute sulla città.
E’ al momento un progetto di massima, su cui occorrerà investire risorse e verificarne la fattibilità;e richiama come modello i percorsi naturalistici, già realizzati a New York e Parigi, ed è stato chiamato Greenway, dando però prova nella patria di Dante di provincialismo e di mancanza di orgoglio nazionale. I francesi saranno pure eccessivamente sciovinisti ma hanno chiamato giustamente il loro circuito verde Promenade Plantée !
Il progetto fiorentino, non solo vuole valorizzare un’area verde nel cuore di Firenze di grande bellezza e di notevole superficie (circa 260 ettari) tutta collocata in Oltrarno, ma intende anche favorire il decongestionamento delle zone più frequentate dai flussi turistici nel centro della città. Il percorso parte dal Giardino Bardini e attraversa il Giardino di Boboli, le Scuderie di Porta Romana, l’area verde di Bobolino, il Viale dei Colli, il viale e il giardino del Poggio Imperiale, ritorna sul Viale dei Colli e raggiunge il Piazzale Michelangelo dove possono essere visitati il Giardino dell’Iris e il Giardino delle Rose. La conclusione è nuovamente al Giardino Bardini.
Rispetto al percorso può suscitare qualche perplessità utilizzare come passeggiata sia il Viale dei Colli che il viale del Poggio Imperiale che da anni sono tra i punti caldi del traffico cittadino. Giuseppe Poggi negli anni di Firenze Capitale concepì il viale dei colli come un parco moderno che ampliava quello di Boboli , un viale progettato come un grande giardino all’inglese a scala urbana, da percorrere a piedi o con il calesse.
Oggi invece si dovrebbe camminare sui marciapiedi dei viali con il rumore ed i gas di scarico delle macchine che a tutte le ore passano accanto.
Un’opportuna soluzione potrebbe essere utilizzare bus navetta elettrici che percorressero i viali con brevi intervalli di tempo.
Il progetto poi assumerebbe una forte valenza culturale e politica se, invece di favorire solo il decongestionamento delle zone più frequentate dai turisti, fosse rivolto in primo luogo ai fiorentini, se fosse restituita ai giovani ed agli anziani, alle famiglie e alle scuole della nostra città la possibilità di riprendersi quegli spazi invasi ormai da anni dal turismo di massa, affidando all’amministrazione comunale il compito di trovare le soluzioni più efficaci per i residenti.
Investire infine risorse per la realizzazione concreta di questa Passeggiata nel verde comporterebbe per gli amministratori fiorentini la capacità politica di reperire capitali privati senza subire il ricatto moralistico di una parte dell’opinione pubblica che vedrebbe come al solito minacciato l’interesse pubblico dalla speculazione e dal profitto.
Già ai tempi di Firenze Capitale intellettuali ed artisti, italiani e stranieri, videro nel Piano Poggi di modernizzazione del centro storico solo un’operazione immobiliare ed economica, che avrebbe stravolto così la bellezza della città medievale e rinascimentale; come se avessero ignorato in buona o cattiva fede che dietro le opere di Arnolfo da Cambio e di Brunelleschi, di Giotto e di Masaccio non ci fossero stati gli interessi corposi di mercanti e banchieri, dei Sassetti e dei Peruzzi, dei Medici e degli Strozzi!
Va riconosciuto comunque alla Fondazione Parchi Monumentali Bardini e Peyron con la proposta di una Passeggiata nel verde, di forte significato storico e naturalistico, il merito di aver saputo cogliere in modo propositivo il valore ed il senso della ricorrenza dei 150 anni di Firenze Capitale; una ricorrenza che appunto non deve essere meramente rievocativa e celebrativa, ma che deve riportare alle problematiche di oggi le questioni di ieri, dalle esigenze della Firenze del Poggi alle necessità della Firenze attuale, dai giardini di una città ottocentesca agli spazi verdi di una città del XXI secolo.
Gli italiani vivono nella Repubblica Italiana or in the Italian Republic?
Join the Navy, «entra in marina». L’invito non viene da Annapolis, Maryland, dove ha sede la più importante accademia navale degli Stati Uniti d’America. Più domesticamente, da Roma. Lo slogan compare sui manifesti che in questi giorni annunciano nelle nostre città la nuova campagna di reclutamento della Marina militare italiana … lo Stato maggiore insiste con un giovanilismo di maniera che si pretende dinamico e internazionale ma che, riferito a un’istituzione militare della Repubblica italiana, suona alquanto privo di senso…
Adolfo Scotto di Luzio “Corriere della Sera”, 27 gennaio
L’uso di parole inglesi si afferma sempre di più in modo insensato non solo nella pubblicità, ma anche nel linguaggio pubblico, dal mondo dell’economia a quello della politica (ultimi esempi bail in e stepchild adoption), però viene giustificato dai politici, dagli economisti e dai pubblicitari in nome della necessaria integrazione in un mondo globalizzato in cui la lingua inglese di fatto è la lingua universale come era il latino ai tempi dell’impero romano.
Invero ciò mostra che da parte di costoro ci sia subalternità culturale ad altri modelli di vita ed ancor più grave ci sia lo sforzo autolesionista di demolire la lingua italiana.
La lingua di Dante da connotazione dell’identità nazionale, come voluta da Manzoni, Tommaseo, De Sanctis, sta assumendo negli ultimi tempi una funzione ancillare nei confronti delle lingue straniere.
La scuola in questi mesi è alle prese con il concorsone del 2016 che deve portare 63.712 nuovi insegnanti nelle classi da settembre. Due quesiti saranno in lingua straniera: il candidato dovrà rispondere per iscritto e orale a domande sulla sua materia in inglese o spagnolo o francese.
Un prof di greco o latino si troverebbe così a simulare una lezione su Cicerone o Demostene in inglese; un insegnante d’italiano dovrebbe invece spiegare Dante in spagnolo!
Sempre nella scuola, che ha il compito precipuo di formare i cittadini italiani, salvaguardando le radici storiche e culturali del nostro Paese, con l’ultima riforma dei licei si ha l’obbligo d’insegnare in lingua straniera una materia non linguistica nelle quinte classi. Storia dell’Arte o Matematica o altre discipline verrebbero insegnate così in una diversa lingua, nella maggior parte dei casi in inglese.
È Clil, acronimo non a caso inglese, che sta per apprendimento integrato di lingua e contenuto.
Questo in teoria, nei fatti verrebbero sottratti al dominio dell’italiano contenuti culturali importanti e insieme verrebbe svilito il valore di questi stessi contenuti, riducendoli a mero supporto della lingua straniera.
Alla pervasità crescente della lingua inglese nel mondo della cultura e della formazione , nonostante le bacchettate dell’Accademia della Crusca, che prova a difendere l’attualità ed il valore della nostra lingua, fa da controcanto il declino dell’italiano tra i nostri giovani, i quali ne ignorano non solo la grammatica ma perfino il lessico!
Nell’estate del 2015 il dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Pisa ha annunciato di voler avviare per il 2016 una serie di corsi di grammatica italiana per i propri studenti, in quanto la competenza della lingua, indispensabile alle professioni forensi, va calando in modo vertiginoso. È ormai noto, secondo rilevamenti Invalsi, che la gran parte degli studenti che escono dalle scuole superiori non sa scrivere, manca dei fondamenti testuali, grammaticali, lessicali, sintattici: dopo le scuole medie si disimpara quel po’di italiano appreso e la tendenza verso il basso continua negli anni dell’università e poi in età adulta.
In conclusione gli italiani stanno dimenticando la loro lingua e provano, da buoni provinciali, senza l’orgoglio della loro storia e della loro cultura, a misurarsi con il mondo, imparando a fatica l’inglese; nel frattempo i migranti per ottenere la cittadinanza italiana devono invece conoscere le nostre leggi e la nostra lingua.
Paradossi della società multiculturale, sorry,.. melting pot!
L’arma della memoria e le scelte della politica
Tre qualità possono dirsi sommamente decisive per l’uomo politico: passione, senso di responsabilità, lungimiranza.
Max Weber
In un recente libro L’arma della memoria di Paolo Mieli si afferma che solo ripensando la storia in maniera meno ideologica e più problematica, per esempio nel confronto difficile dell’Occidente oggi con l’Islam, la cultura potrebbe essere un’arma vincente nei confronti del terrorismo dell’Isis piuttosto che il ricorso alla forza militare ed alla guerra.
La reinvenzione della storia infatti, se si guarda il passato con gli occhi del presente e se vengono riproposti luoghi comuni e verità di comodo, è stata ed è una delle ragioni di una politica ondivaga e contraddittoria dell’Italia e delle altre nazioni occidentali nelle relazioni internazionali, per cui nel corso degli anni si sono fatte o disfatte alleanze di volta in volta con stati amici o nemici.
E questo è successo pure nelle questioni interne di ogni nazione.
L’anno scorso in Italia è stato ricordato il centenario della Grande Guerra, l’anno 1915 in cui l’esercito italiano cominciò quel conflitto, che con un enorme costo di vite umane, più di seicentomila soldati morti, e con innumerevoli sacrifici per buona parte della popolazione civile, portò a compimento il processo di unità del nostro Paese.
Luci ed ombre si trovano in tutti i momenti storici di ogni popolo, quando le guerre nel passato erano carne e sangue della storia dell’umanità e ne segnavano i suoi passaggi cruciali.
In alcune commemorazioni l’anno scorso di questo momento significativo della storia italiana, in mostre, convegni, articoli di giornali, in ragione di un’ideologia pacifista, ormai da tempo cultura egemone nell’opinione pubblica dell’Occidente, per cui ogni guerra è ingiusta e follia armata, anche la Grande Guerra è stata spogliata del suo proprio significato storico politico e giudicata solo un inutile strage.
Ecco un modo scorretto di reinventare la storia,in questo caso in nome della visione irenica ed astorica di una parte dell’opinione pubblica italiana!
L’arma della memoria deve essere uno strumento culturale per tutti i cittadini, ma in particolare per i giovani e per i politici e se per i giovani di oggi, senza vocazioni né per la cultura, per il lavoro ed ancor meno per la politica, spetta alla scuola il compito prioritario di far rinascere in loro l’interesse e la curiosità per la storia, in primis del proprio Paese, perché siano consapevoli del loro passato, abbiano più certezze nel loro presente e guardino con più fiducia al loro futuro, altro e più difficile è il compito per chi governa.
Citando Max Weber non c’e dubbio che per i governanti è necessaria la lungimiranza, la capacità di avere una visione strategica nella soluzione delle questioni politiche che devono affrontare, senza ricorrere a tatticismi e furbizie per un consenso di breve durata; l’arma della memoria in questo caso ne è uno strumento indispensabile.
La passione invece si deve avere quando l’uomo di stato , pur fedele ai valori e gli ideali della sua storia politica, si pone al servizio dell’interesse collettivo della Nazione e non di una sua parte ed in nome appunto degli interessi nazionali assume la responsabilità di fare delle scelte chiare e non contraddittorie e di saper prendere anche la decisione di ricorrere alla forza in delicate e drammatiche situazioni internazionali. Non sarà per fortuna la regola ed avverrà solo in momenti eccezionali, in quei casi però verranno meno le armi della critica e varrà di più la critica delle armi!
L’anno che verrà
…Passeggere: “Quella vita ch’è una cosa bella, non è la vita che si conosce,
ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura.
Coll’anno nuovo, il caso incomincerà a trattar bene voi e me e tutti gli altri,
e si principierà la vita felice. Non è vero?'”.
Venditore: “Speriamo…
DIALOGO DI UN VENDITORE D’ALMANACCHI E DI UN PASSEGGERE
Giacomo Leopardi Operette Morali
Nel 2015 è stato celebrato il Centocinquantenario di Firenze Capitale con molte iniziative nel corso dell’anno; la prima è stata il 3 febbraio con una suggestiva e partecipata manifestazione nel Salone dei Cinquecento a Palazzo Vecchio in ricordo dell’arrivo del re Vittorio Emanuele II, in quel giorno del 1865, a Firenze e l’ultima è stata il 18 dicembre con la presentazione nella Sala degli Elementi sempre a Palazzo Vecchio di un pregevole libro, Il Gran Ballo di Firenze Capitale, in cui viene rievocata l’atmosfera di quegli anni e del Gran Ballo che si tenne a Palazzo Pitti nel novembre del 1865. Il fine però di queste manifestazioni e di tante altre non è stato meramente commemorativo, ma anzi è stata colta l’occasione per riflettere, partendo da quel momento significativo della storia di Firenze, sul presente e sul futuro della nostra città. Emblematica per esempio è stata la mostra tenuta all’Archivio di Stato nei primi mesi dell’anno Una Capitale e il suo Architetto, in cui è stata rivalutata la figura dell’architetto Giuseppe Poggi, come autore del progetto di ampliamento e modernizzazione della città, dalla Firenzina dei Lorena ad una Firenze degna di stare alla pari con le altre capitali europee. I convegni, che sono stati organizzati a latere della mostra, sono serviti appunto a mettere a fuoco le problematiche dell’oggi, le sfide urbanistiche che attendono Firenze nel prossimo futuro a partire da un nuovo risanamento del centro storico, senza ripetere gli errori del passato, in fatto di trasparenza di appalti e di commesse, recuperando quel senso di misura e di equilibrio, tipicamente fiorentini, di cui aveva dato prova Giuseppe Poggi nel metter mano al suo piano urbanistico.
Nell’anno che verrà ci saranno sicuramente altre iniziative sulla storia di Firenze Capitale, che rimase tale fino alla breccia di Porta Pia del 1870, e quindi altre occasioni per riprendere il discorso sul presente di Firenze, sulle condizioni attuali del centro storico, aggredito dal turismo di massa, dal consumismo sfrenato e dalla movida selvaggia, al fine di trovare soluzioni concrete per poter tornare ad una convivenza civile, ad un nuovo decoro urbano, ad una Firenze vivibile che non si volti indietro verso il passato, ma che guardi al futuro. Un turismo di massa, che se pure è una risorsa fondamentale per l’economia cittadina, non deve però far sentire stranieri i Fiorentini a casa loro, negando ai residenti la possibilità di fruire pienamente della bellezza dei monumenti, delle chiese e delle piazze fiorentine senza dover subire logiche meramente mercantili e senza perdere la memoria storica dei luoghi natii. Una possibile inversione di tendenza a questa situazione di degrado urbano e culturale della nostra città potrebbe essere utilizzare uno dei tanti immobili pubblici, da anni svuotati di ogni funzione, per la realizzazione un Museo della Città di Firenze,un luogo, progettato e organizzato secondo i più aggiornati criteri museografici, nel quale i momenti salienti della storia cittadina si possano rivivere attraverso molteplici forme di documentazione. Un Museo della Città sarebbe importante non solo per i fiorentini, che hanno a cuore la memoria storica di Firenze e la conservazione di un patrimonio straordinario; lo sarebbe soprattutto per le nuove generazioni, di cui stimolerebbe la curiosità e l’amore per la storia, di cui hanno scarsa conoscenza, immerse come sono nel mare dei social network, in un eterno presente.
E la speranza di un futuro migliore per Firenze e per l’Italia non può che essere affidata ai giovani, se essi riuscissero a trovare grazie al magistero ed alla responsabilità degli adulti, sia esponenti delle istituzioni che semplici cittadini, un posto ed un ruolo consapevole nella società italiana e nel mondo globalizzato!
La bellezza salverà il mondo… ma non Firenze e i fiorentini!
“La bellezza salverà il mondo” afferma il principe Miškin nell’Idiota di Dostoevskij, ma senza addentrarci nei possibili e tanti significati metaforici di questa frase, tratta dal bel romanzo dello scrittore russo, restiamo al significato della bellezza, come bellezza dell’arte e alla sua funzione pedagogica e catartica.
Contemplare un quadro, una scultura, un’architettura provoca a un tempo emozione e pensieri; certo sono quasi sempre opere del passato, a cui si attaglia indiscutibilmente il canone della bellezza, l’arte contemporanea, in cui l’aspetto estetico è meno importante, invece parla più alla testa che al cuore.
Non tutti sanno che Dostoevskij portò a termine il romanzo l’Idiota a Firenze dove alla fine del novembre 1868 si era trasferito con la moglie in un palazzo in Piazza Pitti, proprio quando a Palazzo Pitti abitava il re d’Italia. Erano gli anni di Firenze capitale,
In quell’anno che rimase a Firenze oltre a terminare l’Idiota fece con la moglie lunghe passeggiate tra chiese, musei e palazzi e qui nacque sua figlia, Ljubov, che in russo vuol dire amore. Fu per lo scrittore un periodo sereno nella sua vita, contrassegnata da tormenti e drammi, e nelle passeggiate tra i monumenti cittadini fu certamente coinvolto dalla bellezza dei luoghi e ne fece partecipe i fiorentini, con cui era entrato in confidenza
Negli anni di Firenze Capitale ed in tutto l’Ottocento nella società civile e nel mondo delle arti tra forestieri e residenti nascono infatti reciproche relazioni di cultura e di amicizia, nella condivisione dei valori e degli ideali del Risorgimento.
Oggi invece a Firenze assistiamo ad un quotidiano assalto dei turisti ai monumenti, ad un consumo passivo e compulsivo dei beni artistici, alla scomparsa dei locali storici e delle botteghe artigiane con le vie e le piazze, trasformate in un mercato caotico e vociante di giorno e talora di notte. E questo allarme non proviene da qualche comitato cittadino, nostalgico del bel tempo che fu, ma dall’agenzia dell’Unesco che tutela i siti, patrimonio mondiale dell’umanità, che ha inviato a maggio a Palazzo Vecchio una lettera in cui denunciava il degrado del centro storico.
Ne consegue che in questa inarrestabile invasione di massa dei turisti i fiorentini progressivamente vengono espropriati della loro città e della possibilità di poter fruire della bellezza del patrimonio storico-artistico con cui per anni avevano convissuto e di cui avevano conservato la memoria.
Ne è un esempio la chiesa di Santo Stefano al Ponte, che si trova tra piazza della Signoria e Ponte Vecchio che da più di un anno non è più accessibile come sito storico-artistico ai fiorentini in quanto, essendo sconsacrata e dopo un lungo restauro riportata agli antichi splendori ( la chiesa ha una facciata romanico-gotica ed un interno barocco con pregevoli opere d’arte) la Curia l’ha concessa in affitto ad una società privata che organizza non solo concerti ma anche mostre multimediali di artisti famosi, per cui all’interno della chiesa in una recente esposizione, tra le altre, di quadri di Van Gogh una sinfonia di luci, colori e suoni ha azzerato per i visitatori la percezione dell’architettura e delle sue decorazioni.
Il Museo dell’Opera del Duomo con un rinnovato, moderno ed intelligente allestimento delle sue splendide collezioni invece è accessibile, ma il prezzo d’ingresso è caro, con la giustificazione da parte dei responsabili del Museo che con lo stesso biglietto si possono pure visitare i monumenti di piazza del Duomo, Battistero, Cattedrale e Campanile, ( una visita per altro da fare nell’arco di 24 ore !).
Anche in questo caso i residenti di fatto vengono respinti da una politica meramente commerciale e per niente culturale in una svendita della città al turismo “mordi e fuggi”.
Andrebbe invece ricordato ai nostri amministratori locali che il nostro patrimonio culturale ed artistico, prima che a produrre ricchezza con lo sfruttamento intensivo del turismo, il nostro petrolio secondo la vulgata del Ministero dei Beni Culturali, serve alla formazione di uno spirito civico e a dare ai fiorentini il senso di appartenenza ad una comunità con le sue specifiche radici storiche e artistiche nell’ambito della comunità più ampia del nostro Paese.