• Passa alla navigazione primaria
  • Passa al contenuto principale
  • Passa alla barra laterale primaria
  • Passa al piè di pagina
  • Il Comitato Fiorentino per il Risorgimento
  • Redazione
  • Contatti
  • Photogallery
  • Link
  • Privacy Policy

Risorgimento Firenze

Il sito del Comitato Fiorentino per il Risorgimento.

  • Home
  • Focus
  • Tribuna
  • I luoghi
  • Mostre
  • Rassegna stampa
  • Pubblicazioni
  • Editoriale

Pubblicazioni

I BORBONI E LA NAZIONE POPULISTA

04/02/2022 da Sergio Casprini

Storia in Network 1 febbraio 2022 

Massimo Ragazzini

Subito dopo il 1848 centinaia di migliaia di sudditi borbonici si mobilitarono per abolire la costituzione strappata dai liberali a Ferdinando II dopo l’insurrezione di Palermo. Un interessante volume di Marco Meriggi inserisce questa vicenda nel filo rosso della storia del Mezzogiorno preunitario, rappresentato dal conflitto tra costituzionalismo e assolutismo, tra accesi oppositori del regime e irriducibili partigiani della monarchia assoluta.

 

Marco Meriggi insegna nella Facoltà di Lettere e filosofia dell’Università di Napoli Federico II. Si occupa prevalentemente di temi relativi al rapporto tra società e potere politico tra il Settecento e il Novecento.
In questo interessante volume (La nazione populista. Il Mezzogiorno e i Borboni dal 1848 all’Unità – il Mulino, Bologna, 2021, pp. 272, € 25) descrive un momento particolare, e poco conosciuto, della storia del Risorgimento, ossia la mobilitazione legittimista che coinvolse alcune centinaia di migliaia di sudditi borbonici appena dopo il 1848. L’autore assume l’angolazione visuale di coloro che proposero soluzioni radicalmente alternative rispetto all’indipendenza nazionale, all’unità, allo Stato liberale e costituzionale. Si trattò infatti di una mobilitazione che non aveva l’obiettivo – allora perseguito dai liberali di tutta Europa – di far introdurre una costituzione. Al contrario, mirava a far abolire quella, ancora formalmente in vigore, che il fronte progressista napoletano, conquistandosi uno spazio per l’esercizio di una sovranità dal basso, era riuscito a strappare al sovrano, Ferdinando II di Borbone, alla fine del gennaio 1848 dopo l’insurrezione di Palermo.

Rivolta di Palermo 1848

Il volume parte dal presupposto che il filo rosso della storia del Mezzogiorno preunitario sia rappresentato dal conflitto tra costituzionalismo (il progresso) e assolutismo (la reazione), tra accesi oppositori del regime e irriducibili partigiani della monarchia assoluta. Meriggi ci ricorda infatti che “quella del Mezzogiorno tra fine Settecento e l’unificazione nazionale è una storia decisamente bivalente”. Da un lato, dal 1799 in avanti, i territori del regno dei Borboni furono lo scenario di un’effervescenza politica quasi permanente nei confronti dell’ordine costituito; ovvero, fatta salva la parentesi napoleonica tra il 1806 e il 1815, di un ordine tradizionale d’impronta assolutistica e illiberale. In nessun altro degli stati preunitari si contarono tra il 1815 e il 1860 tanti e tanto significativi episodi di ribellione alle autorità costituite; ribellioni di carattere liberale o democratico, di segno progressista, che avevano per obiettivo la conquista di una libertà moderna, alla quale il vecchio ordine tradizionalista e autoritario stava terribilmente stretto. Dall’altro lato si spalancò la filiera delle controrivoluzioni – a partire da quella drammatica del 1799 -, delle resistenze di massa agli esperimenti di modernizzazione istituzionale, dell’inossidabile fedeltà tanto alla dinastia e alla tradizione, quanto a una religione intesa come obbedienza alle gerarchie; lo spettro, insomma, del sanfedismo.
La mobilitazione reazionaria si svolse attraverso lo strumento della petizione collettiva.
Il tema delle petizioni e del loro uso è stato individuato in genere come importante banco di prova dei processi politici di segno progressista, cioè come un terreno tipico per misurare la crescita dei diritti di cittadinanza. La storia raccontata nel libro va invece in un’altra direzione, poiché le petizioni anticostituzionali nel Mezzogiorno chiesero non di estendere, ma di ridurre quei diritti; non di valorizzare la figura del cittadino, bensì di riportare in auge quella del suddito, sforzandosi, scrive l’autore, “di coniugare quest’ultima con l’idea di un potere monarchico assoluto, e però al tempo stesso sorretto da un consenso di massa”.

L’obiettivo fu perseguito con l’utilizzo di uno strumento che era stato ideato e adoperato in prima battuta nel fronte avversario, quello liberale e democratico. Ne scaturì un’esperienza di ripensamento dei modi del rapporto tra governati e governanti che, secondo Meriggi, trovò nel regno borbonico una sintesi ambigua nella formula della nazione populista. Una formula che l’autore mette in relazione all’idea di nazione sviluppata dalle argomentazioni legittimiste delle petizioni. Da qui il ritratto di una monarchia che nei suoi ultimi anni raccolse questa idea di nazione e si fondò sul rapporto diretto di stampo populista tra il sovrano e i sudditi. Ferdinando II cercò infatti di entrare in empatia col popolo, mantenendo in vita alcune delle strutture amministrative del periodo napoleonico, ma avocando a sé ogni potere decisionale.

Archivio di Stato di Napoli

Il libro si basa principalmente su una accurata ricerca effettuata nell’Archivio di Stato di Napoli su di un grosso fondo che comprende circa duemilatrecento suppliche collettive prodotte da vari gruppi di sudditi borbonici e dalle comunità del regno tra l’agosto del 1849 e il marzo del 1850. L’autore sottolinea che le prime fasi della mobilitazione erano da attribuire a spontanee iniziative, ideate dal basso senza che ad averle sollecitate fosse stata una pressione governativa. Solo dopo alcuni mesi le autorità passarono dall’iniziale perplessità al sostanziale appoggio. E a quel punto si fecero avanti, ciascuna in nome proprio, anche molte comunità locali.

Il libro si divide in tre parti: nella prima vengono descritti i fatti principali avvenuti nel regno delle Due Sicilie nel corso del periodo 1848 – 1860; nella seconda viene fatto l’ “identikit” dei ceti sociali che animarono la mobilitazione legittimista e delle loro motivazioni; nella terza, la più interessante del volume, vengono analizzati gli argomenti alla base del pensiero politico anticostituzionale delle petizioni. A tal fine Meriggi cita, e passa al setaccio, un’imponente quantità di testi. Tra questi la Storia delle Due Sicilie di Giacinto De Sivo, che, a distanza di poco più di una decina d’anni, riproponeva in forma sintetica molte delle considerazioni contenute nelle petizioni. Attraverso il nuovo costituzionalismo – scriveva l’autore legittimista – “il servo vuole diventare padrone”, e l’effetto della costituzione del 1848 era stato “lo scialacquo delle cose pubbliche e la tirannia dei pochi sui molti”. E quanti avevano esaltato la memoria della costituzione del 1820 e avevano impugnato la volatile bandiera dell’indipendenza italiana e della guerra nazionale contro l’Austria, lo avevano fatto perché volevano trasformare il parlamento in assemblea costituente. Anzi: “Volevan proprio repubblica”. Di conseguenza, ogni persona per bene che avesse “visto il 99 e il 20 […] trepidava, […] alla costituzione non voleva sottostare” dal momento che essa era stata “tizzo all’incendio europeo”.

Storia delle Due Sicilie Giacinto De Sivo,

In numerose petizioni la costituzione venne addirittura presentata come qualcosa di intrinsecamente peccaminoso e anticristiano. Il consiglio distrettuale della Basilicata accostò arditamente costituzione, democrazia e paganesimo: “La mitologia che fanatizza il Paganesimo con la pluralità di dei dissoluti e nequittosi produsse il paradosso della Democrazia. I Pagani che volevano signoreggiare adorarono i sistemi rappresentativi [mentre] i credenti, i Realisti adorarono e adorano un solo Dio, e per ciascun Reame non riconoscono, né si prostrano che ad un solo, e legittimo, signore, il re mandatario di Dio”.
Come contro la costituzione, così contro il liberalismo furono riversati fiumi di parole di fuoco. A titolo di esempio l’autore cita alcune petizioni nelle quali il liberalismo, più che una riprovevole tendenza politica, è in primo luogo un peccato e lo si può paragonare senza remore al “pomo vietato d’Adamo”. Esso mira, infatti, ad “abbattere i dogmi di nostra Sacrosanta Religione”, ad ammaliare con le sue “sedicenti e melliflue parole simili a quelle del Serpente di Eden”. I liberali vogliono addirittura introdurre “il protestantesimo […] nell’Italia mercé il veicolo dell’elemento democratico”, con “la punta del cannone contro del Vaticano, con la quale hanno obbligato l’universale [Gerarchia] della Chiesa a correre esule tra noi, e prendere asilo nella nostra fortunata Gaeta”. La natura peccaminosa dei dogmi liberali si rispecchia nel disordine morale di chi li segue e li diffonde, gente avida “di potere, di libertinaggio, e di profitti illeciti”.
Il liberalismo venne perciò presentato come sinonimo tout court di rivoluzione; o, meglio, come l’anello iniziale di una catena che snodandosi arrivava agli approdi della democrazia, del repubblicanesimo, del socialismo e culminava nell’anarchia e nella guerra civile.

L’albero della libertà

L’autore scrive che in un significativo numero di petizioni la rappresentanza parlamentare, avversata dai sottoscrittori, avrebbe dovuto essere sostituita da un potere decisionale dei comuni in materia amministrativa. In alcune petizioni veniva anche auspicato che i consigli comunali diventassero eleggibili. Il ruolo della rappresentanza parlamentare sarebbe stato quindi sostituito da quello del comune, interprete dei bisogni delle popolazioni. A questo proposito Meriggi, nella parte finale del libro, osserva che si immaginava di rendere in futuro il rapporto diretto tra istituzioni comunali e corona come lo strumento ordinario di governo, da parte del sovrano assoluto, di una popolazione sgranata nella miriade dei suoi municipi grandi e piccoli. Afferma l’autore che “era questo il senso della nazione populista, la nazione più dei paesi che delle città; il frutto di un’esperienza di apprendistato di massa alla politica di segno diverso da quello liberale, ma capace di contendere a quest’ultimo alcuni temi moderni e di coniugarli con quelli tradizionali” (p. 237). Meriggi precisa che questa condizione politico – istituzionale, auspicata dalle petizioni, non fu accettata dal re, che preferì essere a capo non di una nazione populista, ma di una monarchia populista che non riconosceva forme di compartecipazione deliberativa ai comuni e alla borghesia, ma conservò sempre nelle sue mani tutti i poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario).
E’ infine da notare che nonostante la gran massa di petizioni indirizzate al re, la costituzione del 1848 fu congelata, ma non ufficialmente abolita. Col rapido precipitare degli eventi dell’estate del 1860, Francesco II – da pochi mesi monarca al posto del padre defunto – riattivò in tutta fretta la costituzione formalmente rimasta in vita. Ancora una volta i Borbone, sottolinea Meriggi, indossarono la maschera della monarchia costituzionale come ultima carta da giocare per tentare di rimanere sul trono.

Francesco II di Borbone

Archiviato in:Pubblicazioni

La «gente tosca» di Strapaese

15/01/2022 da Sergio Casprini

Colle val d’Elsa

Il rifiuto della seduzione della città e la celebrazione dell’Italia rurale in accordo con la visione del fascismo. Il libro di Francesco Giubilei Strapaese. L’Italia dei paesi e delle chiese di campagna ricostruisce quelle «battaglie», iniziate a Colle Val d’Elsa nel 1924

 

Luca Scarlini  Corriere Fiorentino 13 gennaio 2022

Niente spiega un certo clima degli anni Trenta italiani meglio della sinfonia Strapaese: impressioni dal vero, che Carlo Alberto Pizzini compose nel 1933. In quella musica ci sono ritornelli di brani popolari da tutte le parti d’Italia, scritti con uno stile da banda, tra riff di fisarmonica e strumenti a fiato che imperversano. Quel termine indicava la volontà di rifiutare la seduzione della città, ribadendo con violenza i valori della provincia e celebrando in ogni suo aspetto l’Italia rurale, in accordo con una visione del reale che si dichiarava drasticamente fascista.

Mino Maccari

Ora Francesco Giubilei ricostruisce questo agitato mondo nel suo recente volume Strapaese. L’Italia dei paesi e delle chiese di campagna. Da Maccari a Longanesi, da Papini a Soffici, da poco edito dalla casa editrice Odoya. Qui si scopre come il termine fu coniato sulla rivista Il Selvaggio che uscì a Colle Val d’Elsa il 13 luglio 1924. Il direttore era Angiolo Bencini, ras di Poggibonsi, ex-ufficiale e vinaio con ambizioni letterarie. Il proclama era chiaro: «Strapaese, o genti porche/ Darà il sacco a Novaiorche/ Da Colle d’Elsa fino a Mosca/ trionferà la gente tosca». La provocazione, l’esibizione muscolare, l’attacco diretto ai propri nemici letterari e politici, definiva il foglio colligiano nella dimensione di un «fascismo anarchico» come indicava Indro Montanelli. In primo luogo si dichiarava necessario recuperare una tradizione toscana, di cui erano pilastri Dino Campana, Aldo Palazzeschi, Federico Tozzi e Ottone Rosai.

Ottone Rosai

Il programma politico era altrettanto chiaro: «battagliero fascista. Marciare non marcire». Le furie squadriste terminano quando la sede si sposta a Firenze e diventa direttore Mino Maccari, che già collaborava a quelle pagine, destinato a trovare un ruolo centrale nelle vicende artistiche e culturali del Ventennio, con una predilezione per la satira e l’ironia. In una girandola di pseudonimi, quello che definisce meglio il suo vivace personaggio è Orco Bisorco. In questa veste si dedica a diatribe di ogni tipo e sferra numerosi attacchi a colui che è percepito come maggiore nemico, Massimo Bontempelli, portatore di una visione che fu subito detta «stracittadina», ossia cosmopolita nella forma e modernista in spirito. Il filo principale è quella della difesa della vita rurale vista come chiave della «vita italiana che va difesa dalle importazioni di civiltà straniere che tendono a distruggerla», in una visione isolazionista che si articola in diversi accenti.

Nei numeri 15-16 del 1929 giunse la penna aguzza di Curzio Malaparte a intonare La Cantata di Strapaese, inno a una visione del reale che dalla Toscana si diffondeva in tutto il paese. Nei tempi seguenti Il Selvaggio cambiò casa, a Torino dal 1931 e poi a Roma, sempre con Maccari come direttore e sempre portando dietro una ventata di scompiglio. Su quelle pagine esordisce Romano Bilenchi con l’accesa, espressionista Vita di Pisto, che va incontro alla censura. Maccari aveva adottato uno strillo sulla fascetta che voleva provocare i lettori: «Questo libro è andato a ruba nel Massachusetts, trenta edizioni in poche settimane, crisi di gabinetto e sommosse». La pubblicazione proseguì fino al 1935, quando infine il regime la chiuse per posizioni reputate contrarie all’attacco italiano in Africa Orientale. Il filo principale della rivista, mentre la redazione girovagava da un luogo all’altro d’Italia era quello della fedeltà alle origini. Essa si ripercuoteva nella ricchissima scelta di incisioni che adornavano la pubblicazione. Ci sono numeri speciali dedicati a Luigi Bartolini, a Renato Guttuso, a Leo Longanesi che si era dichiarato entusiasta della pubblicazione e si era offerto come collaboratore, e a Orfeo Tamburi. In altre edizioni compaiono Carlo Carrà, Giorgio Morandi e Giuseppe Viviani. Insomma tutti coloro che rappresentavano la realtà, contro le avanguardie, e con una continua opposizione al mondo della metafisica di Giorgio De Chirico.

Lo spirito tutelare rimane però Ottone Rosai, visto come un capofila  per la sua vis polemica come compare nel suo Libro di un teppista in cui racconta senza retorica la sua vita negli Arditi del Grappa durante la grande Guerra.

Archiviato in:Pubblicazioni

Il CORRIERE DELLA SERA. Biografia di un quotidiano

07/01/2022 da Sergio Casprini

Frutto di minuziose ricerche d’archivio, questo libro racconta quasi centocinquant’anni di vita di un quotidiano          divenuto presto il più influente della penisola.

Autori   Pierluigi Allotti e Raffaele Liucci

Editore il Mulino

Collana Biblioteca Storica

Anno     2021

Pagine   528

Prezzo   € 30,00

«Giammai l’annunzio d’un giornale suscitò tanti e sì furibondi attacchi. Si capiva che stava per aprirsi una bocca che non sarebbe stata facile chiudere» – Eugenio Torelli Viollier

Il 5 maggio 1876 usciva a Milano il primo numero del «Corriere della Sera», fondato e diretto da un intraprendente napoletano, Eugenio Torelli Viollier. Frutto di minuziose ricerche d’archivio, questo libro racconta quasi centocinquant’anni di vita di un quotidiano divenuto presto il più influente della penisola. I direttori, gli amministratori, le grandi firme e gli scrittori che vi hanno collaborato, ma anche Milano, la sua borghesia e le dinastie imprenditoriali succedutesi alla proprietà. Nel palazzo di via Solferino, trasfigurato da Buzzati nella Fortezza Bastiani del Deserto dei Tartari, s’è riflessa l’intera storia d’Italia. E la storia di questo giornale – dalle pressioni politiche agli arrembaggi finanziari, dalle lotte intestine ai certami sindacali, dal frastuono delle rotative al ticchettio delle macchine da scrivere – rivive in queste pagine, assieme all’orgoglio di un mestiere ancora indispensabile.

I due autori del libro, Pierluigi Allotti e Raffaele Liucci,  si sono divisi il lavoro a metà (Allotti, docente di Storia del giornalismo alla Sapienza di Roma, è arrivato alla vigilia del 25 luglio 1943; Liucci, biografo con Sandro Gerbi di Indro Montanelli, e autore di una bella monografia su Leo Longanesi, è arrivato sino al 1992)

 

Redazione del Corriere della Sera in via Solferino Milano

Archiviato in:Pubblicazioni

Una profezia per l’Italia

29/11/2021 da Sergio Casprini

RITORNO AL SUD

Autori      Aldo Schiavone, Ernesto Galli della Loggia

Editore     Mondadori

Anno       2021

Pag.        204

Prezzo      € 18,00

 «Oggi non si tratta più di trovare le vie per integrare il Meridione nel resto della Penisola. Si tratta di rifare per intero il Paese, cogliendo un’occasione irripetibile. È l’Italia nel suo insieme, il suo modo di essere Paese e Stato, che vanno ripensati. Per dare vita a questa nuova storia c’è più che mai bisogno del Mezzogiorno.»

Da quanto tempo non si sente più parlare di «questione meridionale»? Del Sud con i suoi problemi antichi e nuovi, del suo eterno contenzioso con l’Italia unita? Ma da quanto tempo anche tutto il Paese non parla più del suo futuro? E non s’interroga su cosa vuole diventare, sui suoi interessi nel concerto europeo, sulla propria identità geopolitica? È un duplice silenzio che dura almeno dalla fine del secolo scorso. È il silenzio del declino italiano. Questo libro si propone di romperlo riportando al centro della discussione entrambi i temi – il Sud e l’Italia – ma ripensati come due aspetti di una medesima e inedita prospettiva di rinascita che oggi, grazie a una felice e inaspettata congiuntura politico finanziaria, seguita alla crisi della pandemia, non appare impossibile. Ritornare al Sud vuol dire indicare una nuova strada per l’unità del Paese, fondata sulla consapevolezza del suo carattere mediterraneo e su un ruolo nuovo del Mezzogiorno, finalmente chiamato a fare da sé, libero dai lamenti del vecchio meridionalismo e dalla corruzione degli aiuti di Stato così come dai guasti del regionalismo e del malgoverno. Ernesto Galli della Loggia e Aldo Schiavone firmano un libro polemico e appassionato tra storia e politica, costruito attraverso l’esperienza e gli incontri di un viaggio, di una ricognizione sui luoghi di un’Italia oggi ai margini, ma nella quale forse è scritto il nostro comune destino.

Aldo Schiavone (Napoli, 1944) ha insegnato all’università di Bari, Pisa, Firenze (dove è stato preside della facoltà di Giurisprudenza), all’Istituto italiano di Scienze umane (di cui è stato fondatore e direttore) e alla Scuola Normale Superiore. È membro dell’American Academy of Arts and Sciences. Tra i suoi ultimi libri: Eguaglianza. Una nuova visione sul filo della storia (Einaudi 2019) e Progresso (il Mulino 2020), tradotti in varie lingue.

Ernesto Galli della Loggia (Roma, 1942) è professore emerito di Storia contemporanea. Si è occupato specialmente di storia politica italiana ed europea del Novecento. Da molti anni collabora con il «Corriere della Sera». Tra i suoi libri più recenti: Speranze d’Italia. Illusioni e realtà nella storia dell’Italia unita (il Mulino 2018) e L’aula vuota. Come l’Italia ha distrutto la sua scuola (Marsilio 2019).

 

Archiviato in:Pubblicazioni

Racconti del Risorgimento

23/11/2021 da Sergio Casprini

 Un’ antologia di scritti tratti dai giornali d’epoca e dalle opere dei maggiori narratori attivi tra il 1848 e il 1915

Curatore   Gabriele Pedullà

Editore    Garzanti

Anno      2021

Pagine     1120

Prezzo     € 40.00

Come hanno raccontato il Risorgimento gli scrittori italiani? Per rispondere a questa domanda ci si rivolge di solito a un pugno di romanzi celebri o alle poesie patriottiche di Carducci, Pascoli e D’Annunzio. L’antologia approntata da Gabriele Pedullà rivela invece decine di testi brevi, quasi sempre ignoti o poco noti, nei quali i massimi narratori del secondo Ottocento e del primo Novecento – da Collodia De Amicis, da Nievo a Pirandello, da Verga a Gozzano – fanno i conti con la grande epica dell’Italia moderna e con le sue delusioni. A colpire è soprattutto la varietà dei registri adoperati per restituire le passioni, le ansie e i sogni dei giovani di allora: talvolta ci si commuove, secondo le regole del melodramma, ma più spesso ancora si ride o si sorride; i principali eventi militarie civili della stagione appena conclusa sono celebrati in tutta la loro nobiltà, ma non mancano le deliberate stonature, quando i narratori sottolineano, invece, ciò che nel processo di costruzione nazionale non è andato come ci si attendeva. Prende così vita sotto gli occhi del lettore un libro sorprendente: per interpretare il Risorgimento (e la migliore letteratura dell’Ottocento) in chiave inedita, e liberarlo così dalla prigione di marmo in cui, ancora oggi, rischiano di rimanere intrappolatigli uomini che hanno fatto l’Italia.

Gabriele Pedullà (Roma 1972) insegna Letteratura italiana presso l’Università degli Studi di ROMA TRE. È autore di numerosi saggi di critica letteraria, in particolare riguardanti Beppe Fenoglio, la letteratura della Resistenza e Niccolò Machiavelli. Si è occupato anche di critica cinematografica dando alle stampe una monografia sul regista francese Claude Sautet e un volume sul rapporto tra pubblico e sistema delle arti.

Giovanni Fattori, In vedetta, 1874

 

Archiviato in:Pubblicazioni

La nazione populista

16/10/2021 da Sergio Casprini

Pasquale Ricca Statua in ghisa di Ferdinando II di Borbone

 

Il Mezzogiorno e i Borboni dal 1848 all’Unità

 

Autore  Marco Meriggi

Editore  Il Mulino

anno    2021

Pag.     272

Prezzo   € 25,00

La storia del Mezzogiorno preunitario è marcata nel profondo dal conflitto tra forze progressiste e reazionarie. Il 1848, che segna in tutta Europa un momento di evoluzione liberale, vede anche qui la concessione da parte di Ferdinando II di una blanda costituzione. Già nel 1849-50 però, con il ritorno all’ordine, una mobilitazione legittimista si rivolge al re con petizioni che chiedono l’abolizione della costituzione e il ripristino della monarchia assoluta. Questo episodio, rilevante ma poco conosciuto, è quanto viene qui ricostruito e analizzato. Fu iniziativa spontanea o guidata dall’alto? Chi e quanti erano coloro che la animarono nei vari territori del Regno? Quali i moventi? Dallo studio dei documenti l’autore trae un persuasivo identikit di questa che fu una mobilitazione di massa di dimensione ingente e il ritratto di una monarchia che nei suoi ultimi anni si fondò sul rapporto diretto di stampo populista fra il sovrano e i sudditi.

Marco Meriggi insegna Storia delle istituzioni politiche nell’Università Federico II di Napoli. Con il Mulino ha pubblicato «Amministrazione e classi sociali nel Lombardo-Veneto 1814-1848» (1983), «Gli Stati italiani prima dell’Unità» (nuova ed. 2011) e «Racconti di confine nel Mezzogiorno del Settecento» (2016).

Ferdinando II di Borbone delle Due Sicilie in un ritratto fotografico di  Alphonse Bernoud 1859

Archiviato in:Pubblicazioni

Icaro, il volo su Roma

10/10/2021 da Sergio Casprini

 

Autore  Giovanni Grasso

Editore  Rizzoli

Pagine  384

Anno   2021

Prezzo  € 19,00

 

Il Romanzo

Roma, 1928. Ruth Draper, attrice newyorkese, è una donna colta, indipendente, schiva. Si è votata al teatro come una vestale al tempio e non ha mai ceduto alle lusinghe dell’amore. Fino a quando, nella Città Eterna per una tournée, non incontra il giovane e fascinoso Lauro de Bosis. Dandy per eccellenza, poeta per vocazione, antifascista per scelta, aviatore per necessità, Lauro è un visionario ma è anche un uomo coraggioso capace di passare all’azione: con due amici infatti ha fondato un’organizzazione segreta che diffonde messaggi clandestini di propaganda contro il regime. Tra il giovanissimo Lauro e la matura Ruth, nonostante diciassette anni di differenza, scoppia un amore travolgente e tragico, che si cementa nella lotta al fascismo. Sullo sfondo, l’Italietta del regime, ma anche l’inquieto mondo dell’antifascismo in esilio, tra Parigi, Londra e Bruxelles e l’America divisa tra i fremiti del jazz, la cappa del Proibizionismo e la Grande depressione. Dopo Il caso Kaufmann, Giovanni Grasso torna a mescolare storia e invenzione, ricostruendo nei dettagli l’epopea e il ricco mondo di relazioni di un eroe dimenticato che fece tremare la dittatura: la sera del 2 ottobre 1931, a bordo di un piccolo monoplano, Lauro de Bosis sorvolò Roma, beffando clamorosamente il regime, prima di scomparire nel Tirreno al termine di un volo fatale compiuto in nome della libertà.

Giovanni Grasso, Roma 1962, è un giornalista, scrittore e autore televisivo italiano, consigliere per la stampa e la comunicazione del Presidente della Repubblica e direttore dell’ufficio stampa della Presidenza della Repubblica dal 2015.

E su Roma piovvero volantini antifascisti

Angelo Varni  Il Sole 24 Ore Domenica 10 ottobre

Il cielo terso di un tramonto romano, mentre gli ultimi raggi di un sole ormai appannato dall’autunno incombente cercavano di resistere all’incalzare dell’oscurità, veniva attraversato dal rombo inatteso di un piccolo velivolo monoplano biposto, il Pegasus, dal quale piovvero sui luoghi più noti del grand tour della Città Eterna quattrocentomila volantini inneggianti alla libertà, alla democrazia, al rifiuto dell’oppressione fascista.

Era il 3 ottobre 1931 e lo pilotava un ardimentoso trentenne, Lauro De Bosis, che era riuscito abilmente a beffare i controlli posti in atto dalla polizia e a penetrare nello spazio aereo nazionale, per testimoniare la sua generosa – e magari utopica – volontà di risvegliare con un gesto esemplare al limite del martirio le coscienze sopite e manipolate dal regime in “camicia nera”. E il martirio in effetti si compì: portata a termine con successo la sua impresa, lungo la rotta del ritorno verso la Corsica, forse per mancanza di carburante e nella più completa oscurità, l’aereo si inabissò nelle acque del Tirreno rendendo impossibile il ritrovamento dei rottami e del corpo del pilota.

Del percorso intellettuale ed etico che aveva condotto De Bosis a misurarsi con una simile prova ci parla questo volume, che già nel titolo (Icaro, il volo su Roma) richiama il protagonista del mito greco, cui lo stesso giovane antifascista , nella sua attività di docente di letteratura italiana negli Stati Uniti, di traduttore di autori classici e di scrittore, aveva dedicato una tragedia in versi premiata alle Olimpiadi di Amsterdam. In quest’opera Icaro non viene descritto come un ragazzino disobbediente al padre, bensì quale un eroe che decide di morire per la libertà del suo popolo. Anticipazione premonitrice di un esito cui l’autore si sarebbe votato pochi anni dopo. La raffinata formazione culturale di De Bosis, figlio di Adolfo, poeta e saggista di qualche notorietà, risentì profondamente della temperie del tempo, tra crisi dello Stato liberale, ideali patriottici esaltati dalla guerra ma poi disattesi, fremiti di un superomismo dannunziano presto insoddisfacente per il suo agitatorio estetismo fine a sé stesso. Ma ben presto individuò la propria strada nel rifiuto della violenza esercitata dal fascismo per raggiungere e conservare il potere, avvertita quale tradimento dei valori che avevano costruito l’Italia democratica del Risorgimento e ai quali occorreva ritornare con lo stesso spirito di eroico sacrificio dimostrato dalle giovani generazioni di quella stagione gloriosa…

 

 

 

Archiviato in:Pubblicazioni

Il Sommo italiano.

22/09/2021 da Sergio Casprini

Dante e l’identità della nazione

 

Autore  Fulvio Conti

Editore  Carocci

Anno    2021

Pagine   244

Prezzo   € 18,00

Il precursore dell’unità italiana, simbolo principe dell’identità nazionale, amato dai patrioti romantici e dai fascisti. Il ghibellino fustigatore della Chiesa, bandiera dell’Italia laica. Ma anche il Dante guelfo capace di incarnare l’idea di una cattolicità trionfante. Infine, il Dante pop del cinema, della pubblicità, dei fumetti, icona polisemica del nostro tempo, punto di riferimento incredibilmente attrattivo anche nell’età di internet e della globalizzazione. Le declinazioni che il mito di Dante ha avuto dal Settecento a oggi ci aiutano a capire qual è stata l’evoluzione del sentimento patriottico. Il poeta ha incarnato la passionalità e la forte contrapposizione politica che caratterizzano la storia del nostro paese nel lungo periodo. Dante ha unito, ma al tempo stesso ha diviso. In ogni caso, mai ha lasciato indifferenti le molte anime della nazione.

Fulvio Conti (1961) è professore ordinario di Storia contemporanea presso la Scuola di Scienze Politiche «Cesare Alfieri» dell’Università degli Studi di Firenze.  È consulente scientifico del Dizionario biografico degli Italiani e membro dei consigli direttivi dell’Istituto storico della resistenza in Toscana, della Società toscana per la storia del Risorgimento e del Centro interuniversitario per la storia delle città toscane. È membro inoltre della Deputazione toscana di storia patria, della Società italiana per lo studio della storia contemporanea (Sissco) e dell’Istituto per la storia del Risorgimento italiano.

 

 

Archiviato in:Pubblicazioni

IL POSTO DEGLI UOMINI

11/09/2021 da Sergio Casprini

 

Dante in Purgatorio dove andremo tutti

Autore    Aldo Cazzullo

Editore    Mondadori

Anno      2021

Pag.       288

Prezzo    € 18,00

«I nostri nemici finiranno all’Inferno; le nostre mamme in Paradiso; ma a noi un po’ di Purgatorio non lo leva nessuno. Per questo il Purgatorio è il posto degli uomini, dove andremo tutti. Meglio sapere per tempo quel che ci aspetta. Dante stesso pensava di finirvi da morto, nel girone dei superbi...».

Sandro Botticelli Il Purgatorio Canto V

Aldo Cazzullo prosegue il viaggio sulle orme del «poeta che inventò l’Italia». Il romanzo della Divina Commedia, dopo l’Inferno, racconta ora il Purgatorio: il luogo del «quasi», dell’attesa della felicità; che è in sé una forma di felicità. Un mondo di nostalgia ma anche di consolazione, dove il tempo che passa non avvicina alla morte ma alla salvezza. Una terra di frontiera tra l’uomo e Dio, con il fascino di una città di confine. La tecnica narrativa è la stessa di “A riveder le stelle”. La ricostruzione del viaggio nell’Aldilà viene arricchita dai riferimenti alla storia, alla letteratura, al presente. Il Purgatorio è il luogo degli artisti: il musico Casella, il poeta Guinizzelli, il miniaturista Oderisi che cita l’amico di Dante, Giotto. Ci sono i condottieri pentiti nell’ultima ora: Manfredi con il ciglio «diviso» da un colpo, Bonconte delle cui spoglie il diavolo ha fatto strazio, Provenzano Salvani che si umiliò a chiedere l’elemosina per un amico in piazza del Campo a Siena. E ci sono le donne: gli occhi cuciti dell’invidiosa Sapìa, le lacrime disperate della vedova Nella e la splendida apparizione di Pia de’ Tolomei, l’unico personaggio a preoccuparsi per la fatica di Dante, «Deh, quando tu sarai tornato al mondo/ e riposato della lunga via…». Nel Purgatorio, oltre a descrivere il Bel Paese, il poeta pronuncia la sua terribile invettiva civile: «Ahi serva Italia, di dolore ostello…». E in cima alla montagna, entrato nell’Eden, ritrova Beatrice, più bella ancora di come la ricordava. Dante trema per l’emozione, piange, perde Virgilio, e si prepara a volare con la donna amata in Paradiso. E ognuno di noi, dopo due anni di pandemia, ha capito quello che il Purgatorio vuole significare. Può così sentirsi come Dante: «Puro e disposto a salire a le stelle».

 

Gustave Dorè Il Purgatorio canto XXIII

Aldo Cazzullo, Giornalista italiano. Dopo quindici anni a “La Stampa” di Torino, dal 2003 è inviato speciale ed editorialista del “Corriere della Sera”. Ha raccontato le Olimpiadi di Atene e di Pechino, gli attentati dell’11 settembre, il G8 di Genova, gli omicidi di Massimo D’Antona e Marco Biagi ad opera delle Brigate Rosse.
Tra i suoi libri, pubblicati da Mondadori e incentrati in gran parte sul tema dell’identità nazionale, ricordiamo: Ragazzi di via Po (1997), I ragazzi che volevano fare la rivoluzione (1998), Il caso Sofri (2004), I grandi vecchi (2006), Outlet Italia. Viaggio nel paese in svendita (2007), L’Italia de noantri. Come siamo diventati tutti meridionali (2009), Viva l’Italia! Risorgimento e Resistenza: perché dobbiamo essere orgogliosi della nostra nazione (2010), La mia anima è ovunque tu sia (2011), L’Italia s’è ridesta. Viaggio nel paese che resiste e rinasce (2012), Basta piangere! Storie di un’Italia che non si lamentava (2013) e La guerra dei nostri nonni (2014). Ricordiamo anche Le donne erediteranno la terra (2016), L’Intervista: i 70 italiani che resteranno (2017), La guerra dei nostri nonni. (1915-1918): storie di uomini, donne, famiglie (2018), Giuro che non avrò più fame. L’Italia della Ricostruzione, Peccati immortali (con Fabrizio Roncone, 2019) e A riveder le stelle (2020) tutti editi Mondadori.

Domenico di Michelino: Purgatorio (ca. 1465)

 

Archiviato in:Pubblicazioni

LE PROTAGONISTE. L’emancipazione femminile attraverso lo sport

02/09/2021 da Sergio Casprini

Autori     Eva Cantarella, Ettore Miraglia

Editore    Feltrinelli

Anno      2001

Pag.       200

Prezzo    € 16,00

 

Ci sono tanti modi e tanti aspetti della vita alla luce dei quali seguire il lungo e difficile cammino delle donne contro le discriminazioni di genere: e lo sport è uno dei percorsi attraverso i quali esse sono finalmente riuscite a superare il pregiudizio che ne faceva delle cittadine di seconda categoria.

Oggi finalmente la liberazione dagli stereotipi di genere è parte della storia contemporanea. Ma, singolarmente, quando questo accade, non vengono mai o quasi mai ricordate le protagoniste che danno il nome a questo libro, a partire da quelle che hanno conquistato il diritto di partecipare a una competizione tipicamente e originariamente solo maschile quali sono state le Olimpiadi. Queste, in sintesi, le considerazioni dalle quali nasce l’idea di questo libro, composto di due parti diverse ma complementari.

Una prima, di tipo storico, che dopo aver raccontato la nascita nell’antica Grecia dello stereotipo di un “femminile” non competitivo, analizza i fatti che dimostrano la sua non rispondenza a realtà: ad esempio, nell’antica Roma, l’esistenza accanto ai gladiatori di donne gladiatrici. La seconda è la storia delle “protagoniste”, a partire dal Diciannovesimo secolo a oggi, di ciascuna delle quali, accanto agli exploit sportivi, si racconta la storia, la provenienza sociale, la vita familiare e affettiva, il carattere e le difficoltà incontrate nella vita sia pubblica sia privata.

 

Eva Cantarella ha insegnato Diritto romano e Diritto greco all’Università di Milano ed è global professor alla New York University Law School. Tra le sue opere ricordiamo: Norma e sanzione in Omero. Contributo alla protostoria del diritto greco (Milano 1979), Secondo natura. La bisessualità nel mondo antico (Milano 1987, 2006), I supplizi capitali. Origine e funzioni delle pene di morte in Grecia e a Roma (Milano 1991, 2005), Il ritorno della vendetta. Pena di morte: giustizia o assassinio? (Milano 2007), I comandamenti. Non commettere adulterio (con Paolo Ricca; Bologna 2010), “Sopporta, cuore…”. La scelta di Ulisse (Roma-Bari 2010).
Con Feltrinelli ha pubblicato numerosi saggi, alcuni di maggior divulgazione: Passato prossimo. Donne romane da Tacita a Sulpicia (1996), Itaca. Eroi, donne, potere tra vendetta e diritto (2002, premi Bagutta e Fort Village), L’amore è un dio. Il sesso e la polis (2007, premio Città di Padova per la saggistica; “Audiolibri – Emons Feltrinelli”, 2011), Dammi mille baci. Veri uomini e vere donne nell’antica Roma (2009), L’ambiguo malanno. Condizione e immagine della donna nell’antichità greca e romana (2010), l’edizione rivista de I supplizi capitali (2011), Pompei è viva (con Luciana Jacobelli; 2013), Perfino Catone scriveva ricette. I greci, i romani e noi (2014) e ha tradotto Le canzoni di Bilitis (2010) di Pierre Louÿs. Nella collana digitale Zoom è uscito L’aspide di Cleopatra (2012).

Ettore Miraglia (Milano, 1966), giornalista del “Corriere della Sera” e della “Gazzetta dello Sport”, si è sempre interessato degli sport olimpici. In precedenza ha scritto, sempre di sport, per “Il Giorno”, e poi è passato alla tv: per Eurosport ha commentato per dieci anni gli sport della piscina in occasione delle più importanti manifestazioni internazionali. Gli stessi sport ha seguito anche per Sportitalia, dove ha curato le news per sette anni. Per Feltrinelli ha pubblicato L’importante è vincere. Da Olimpia a Rio de Janeiro (con Eva Cantarella; 2016) e Le protagoniste. L’emancipazione femminile attraverso lo sport (con Eva Cantarella; 2021).  

La nuotatrice Federica Pellegrini

 

Archiviato in:Pubblicazioni

  • « Vai alla pagina precedente
  • Vai alla pagina 1
  • Vai alla pagina 2
  • Vai alla pagina 3
  • Vai alla pagina 4
  • Pagine interim omesse …
  • Vai alla pagina 41
  • Vai alla pagina successiva »

Barra laterale primaria

il Comitato Fiorentino per il Risorgimento
è associato al Coordinamento nazionale Associazioni Risorgimentali FERRUCCIO

L’editoriale del direttore

La calda estate del Presidente Draghi

Prossimi appuntamenti

La commemorazione di Curtatone e Montanara al Cenacolo di Santa Croce a Firenze

21/05/2022

Lettere al Direttore

Un confronto d’opinioni tra Fabio Bertini e Giorgio Ragazzini in merito al referendum sulla giustizia del 12 giugno

01/06/2022

Focus

UNA FAMIGLIA QUALUNQUE A FIRENZE NEL SECOLO SCORSO

26/07/2022

Tribuna

L’ALLEGRA RIVINCITA DELL’INNO DI MAMELI

14/08/2022

Luoghi

Villa della Rinchiostra

11/08/2022

Mostre

Paesaggi di Toscana. Da Fattori al Novecento

02/08/2022

Rassegna stampa

Addio alla campionessa delle nevi. Sfidò il fascismo indossando gli sci

03/08/2022

Pubblicazioni

Giacomo Matteotti e il socialismo riformista

15/07/2022

RisorgimentoFirenze.it nella tua mail

E' possibile ricevere un messaggio e-mail ad ogni nuova pubblicazione sul nostro sito.
Basta inserire il proprio indirizzo di posta elettronica nella casella sottostante. Il servizio è gratuito e può essere interrotto in ogni momento.

Unisciti a 83 altri iscritti

Footer

Archivio articoli

Archivio rubriche

Area amministrativa

  • Accedi
  • Feed dei contenuti
  • Feed dei commenti
  • WordPress.org

Blogroll

  • Arte del Poggio
  • Comitato livornese per la promozione dei valori risorgimentali
  • PensaLibero.it, quotidiano on line dei laici e dei liberali della Toscana.
  • Risorgimento Toscana
  • Sito ufficiale delle celebrazioni per il 150° anniversario

Direttore Sergio Casprini | Responsabile della Comunicazione Irene Foraboschi | Webmaster Claudio Tirinnanzi

 

Caricamento commenti...