La canzone in sé non parla esplicitamente della Seconda Guerra Mondiale e dell’Esodo istriano, ma il quattordicenne Sergio Endrigo si ritrovò a vestire i panni di uno dei molti “profughi giuliani e dalmati” dovendo abbandonare con la famiglia la natìa Pola, passata alla Jugoslavia proprio a causa degli esiti della sconfitta italiana nella Seconda Guerra Mondiale. Oltre vent’anni dopo egli scriverà questa struggente elegia della sua città perduta (la quale, assai efficacemente ed incisivamente, non porta altro titolo se non l’indicazione dell’anno – 1947 – che cambiò la vita a lui e più in generale agli italiani d’Istria).
1947 è la mia storia, la storia della mia famiglia scacciata da Pola, dall’Istria, anche se io allora non ho sofferto molto, perché per me che avevo quattordici anni partire era un po’ un’avventura, ma per mia madre fu un colpo veramente duro lasciare la casa, gli amici, l’ambiente, la strada dove camminavi tutti i giorni, così all’improvviso. Fu veramente una sofferenza per gli adulti. E così l’ho cantata pensando non tanto a me quanto a loro, ai grandi. Sergio Endrigo
1947
Da quella volta non l’ho rivista più
Cosa sarà della mia città
Ho visto il mondo e mi domando se
Sarei lo stesso se fossi ancora là
Non so perché stasera penso a te
Strada fiorita della gioventù
Come vorrei essere un albero che sa
Dove nasce e dove morirà
È troppo tardi per ritornare ormai
Nessuno più mi riconoscerà
La sera è un sogno che non si avvera mai
Essere un altro e, invece, sono io
Ma quella volta non ti ho trovato più
Strada fiorita della gioventù
Come vorrei essere un albero che sa
Dove nasce e dove morirà
Come vorrei essere un albero che sa
Dove nasce e dove morirà
