
IL FILOSOFO DIVIDE ANCORA L’ITALIA TRA MEMORIA E POLITICA
Oggi sono i 150 anni dalla nascita di Giovanni Gentile, mentre gli 80 anni dalla sua uccisione sono stati il 15 aprile dell’anno scorso, ma è a quell’evento è intitolato il libro da poco uscito con cui Alessandro Campi – docente di Storia delle dottrine politiche, Scienza politica e Relazioni internazionali all’università di Perugia e dal 22 febbraio 2024 direttore dell’istituto per la storia del Risorgimento italiano – fa comunque un punto generale sulla sua eredità. “Una esecuzione memorabile Giovanni Gentile, il fascismo e la memoria della guerra civile” (Le Lettere, 242 pp., 18,05 euro). “Gentile è un personaggio che, indipendentemente dagli anniversari, merita comunque una riconsiderazione complessiva per l’importanza obiettiva che ha avuto nella storia politico-culturale-filosofica di questo Paese”, ci spiega. “Poi, naturalmente, gli anniversari sono, nel caso di Gentile, ogni volta il pretesto per polemiche, discussioni, scontri politici, su come ricordarlo, che tipo di omaggio pubblico tributargli. È figura ancora molto controversa, sulla quale non si è stabilizzato un giudizio definitivo”.
Ma, per parafrasare Benedetto Croce, cosa c’è di vivo e cosa c’è di morto in Gentile? “Il più grande filosofo italiano del Novecento, con Benedetto Croce, che nel contesto di una guerra civile viene ucciso in quel modo. Gentile è uno spartiacque epocale, perché con lui finisce una certa Italia che si considerava la prosecuzione della vicenda risorgimentale. È come se si fosse spezzato il filo della continuità storica nazionale che proprio Gentile interpretava al meglio. Il lavoro di Gentile per tutta la sua vita è stato questo: prendere tutti i grandi autori della tradizione italiana, da Dante in poi, Giordano Bruno, Tommaso Campanella, Giambattista Vico, Vincenzo Cuoco, Alessandro Manzoni, i fratelli Spaventa, Giuseppe Mazzini, e creare un canone nazionale in grado di completare a livello culturale l’unificazione politica che si era realizzata nel corso del Risorgimento. Un modello di grande pedagogo, che infatti finisce con lui. Dopo di lui sono venuti gli intellettuali militanti, che sono una cosa diversa. L’impegno politico, per come lo intendeva lui, andava al di là della contingenza storica, ed era un modo per pensare in grande. Anche sbagliando in grande, certo, perché fu un errore fatale pensare che il fascismo fosse il compimento di un Risorgimento che non era stato solo ricerca dell’unità nazionale, ma anche della libertà. La libertà è un aspetto che il fascismo rimuove completamente dal suo orizzonte; quindi, in qualche maniera è un anti-risorgimento. Resta però di Gentile la capacità di pensare oltre la cronaca, che pochissimi intellettuali hanno avuto dopo di lui. Forse solo Norberto Bobbio. Un’altra cosa che sicuramente rimane viva di Gentile è proprio la sua eredità come grande organizzatore in cultura. Se l’architettura istituzionale da lui creata è arrivata ai giorni nostri, vuol dire che non era solo funzionale al regime. Tra l’altro, in tutte le iniziative che faceva chiedeva il coinvolgimento di studiosi, pensatori e autori non necessariamente fascisti. Spesso e volentieri anche in odore aperto di antifascismo”.
Che faceva arrabbiare i fascisti ortodossi… “Da cui teorie complottiste su una loro corresponsabilità in un delitto rivendicato da partigiani comunisti. Non lo faceva per spirito tollerante, ma perché il suo disegno culturale esigeva il coinvolgimento di più gente possibile. Teniamo conto che, quando Gentile aderisce al fascismo, il suo pensiero era oramai bello e strutturato”. Insomma, non il filosofo del fascismo, ma il filosofo che cercò di mettere il regime al servizio del suo progetto… “Da cui continui dissensi, ad esempio sul Concordato o sulle leggi razziali, mentre il fascismo smantella la sua riforma della scuola. Anche a Salò gli arrivano attacchi durissimi, per i suoi appelli alla pacificazione”.
Fin dal titolo, il libro prende le distanze da entrambe le visioni predominanti sulla morte di Gentile: l’atto di giustizia e l’atroce delitto. “C’è nel titolo una citazione di Machiavelli per una posizione molto storico-realista. Chiaramente non mi piacciono quelli che parlano dell’omicidio di Gentile come se fosse stato un atto di giustizia popolare. Però anche l’atteggiamento che hanno avuto i nostalgici del neofascismo, ‘non si uccidono i filosofi’, vuol dire non capire cosa è stata una guerra civile”. Gran parte dell’intellettualità formatasi con Gentile finì poi nell’apparato del Pci. Fu una uccisione simbolica del padre? “Anche. Morto Gentile, in molti si sono sentiti liberati da un peso, ed hanno potuto reinventarsi”.
Maurizio Stefanini Il Foglio Quotidiano 29 maggio 2025
