
Sandra Gilardelli compirà cento anni il 1° luglio, ne aveva diciotto quando entrò nella Resistenza, ma la sua voce risuona ancora nitida e precisa nelle pagine della sua autobiografia. Lidia Beccaria Rolfi, maestra elementare e staffetta, sopravvisse al Lager di Ravensbrück (dove fu deportata dopo l’arresto nel 1944): la sua è anche l’esperienza di chi torna e fa i conti ogni istante della propria vita con le cicatrici profonde di quel vissuto. Iris Versari morì nel modo più crudele: si uccise a 21 anni durante una retata per non intralciare la fuga dei compagni della sua banda partigiana. Tre figure femminili, tre temperamenti, percorsi ed epiloghi diversi, accomunati da un unico obiettivo: agire e rischiare per riconquistare la libertà e porre così le basi di quella Repubblica di cui domani festeggiamo il 79° anniversario.

L’autobiografia di Sandra Girardelli è scritta con Jessica Chia, che con sensibilità e cura ne ha ascoltato e ricostruito le vicende svoltesi nel territorio – cruciale per la Resistenza – del Verbano-Cusio-Ossola, in Piemonte. Nata a Milano e cresciuta in una famiglia antifascista (il nonno paterno era un repubblicano mazziniano), Sandra lascia la città bersaglio delle bombe che distruggeranno la loro casa per sfollare prima a Gorgonzola e poi nella casa delle vacanze a Pian Nava, nel Verbano. Lì la sua vita cambia: a ottobre del ’43 entra nella brigata alpina Cesare Battisti. Non le viene dato un nome di battaglia ed è incaricata di aiutare il medico Paolo. Si ritrova subito nella mischia, ci sono medicinali e bende da procurare, schegge di granata da rimuovere dalle ferite, garze da “inventarsi” quando finivano quelle vere, maglie di lana e calze da confezionare alla meglio; e poi lettere e documenti da consegnare, materiale da nascondere. Leggere queste pagine vuol dire vivere la quotidianità di quelle giornate, tra perquisizioni improvvise e ostacoli apparentemente insormontabili. Si incontrano gli altri uomini e donne protagoniste coraggiose di quella stagione e anche il partigiano di cui Sandra s’innamora, che sarà suo marito: Michele Fiore, nome in codice “Mosca”, esperto nei travestimenti. La gioia della Liberazione arriverà dopo il dolore e lo sgomento per eccidi terribili come quello di Trarego (dieci giovani, quasi tutti ventenni, traditi da una spia e massacrati dai fascisti), o di Fondotoce: 43 partigiani fucilati, tre alla volta, dopo torture e finte impiccagioni. Per questo Sandra, giunta alla fine del racconto, non si capacita di tutta la gente che non va a votare. «Noi abbiamo combattuto per il voto e tante persone sono morte», ha ricordato severamente a un’amica che le aveva annunciato il proposito di non andare alle urne. «Le cose che ho vissuto non si possono dimenticare».

Non le ha mai dimenticate neanche Lidia Beccaria Rolfi (1925 – 1996). Una certezza dichiarata sin dal titolo del libro che le ha dedicato Bruno Maida: Non si è mai ex deportati, uscito con Utet nel 2006 e ora riproposto in una edizione ampliata da Einaudi. Nata a Mondovì in una famiglia contadina, era la quinta e ultima figlia e in lei la madre riponeva tutte le speranze di emancipazione sociale: vederla diplomata e maestra elementare, come effettivamente accadde. La prima nomina in una scuola giunge l’11 novembre del ’43, quando c’è l’occupante tedesco e la consapevolezza delle atrocità naziste in lei è totale, dopo il ritorno di due dei suoi fratelli dalla Russia e i loro racconti sulla brutalità contro gli ebrei. Anche Lidia, come Sandra Girardelli, ha diciotto anni e compie la sua scelta: in Val Varaita, dove insegna, entra nella brigata Garibaldi e diventa una staffetta con il nome di “maestrina Rossana”. Attraversa posti di blocco, nasconde una cassa di bombe a mano sotto il letto, vede con i suoi occhi i primi morti: «Due soldati meridionali sbandati, uccisi come cani a Venasca». Nel corso di pochi mesi la situazione precipita, la violenza nazista dilaga, tra fine marzo e inizio aprile del ’44 la scuola di Lidia viene chiusa “per rastrellamento”. L’arresto, inevitabile, arriva il 13 aprile. Bruno Maida segue nel dettaglio l’evoluzione verso l’abisso della deportazione, raccontato dalla stessa Beccaria Rolfi in Le donne di Ravensbrück (1978). Con altre 13 torinesi arriva nel campo alla fine di giugno e vi rimarrà fino al 26 aprile 1945. Da quel momento è soltanto un numero, come tutte le internate. Il suo è il 44140. Ritroviamo in queste pagine il deperimento e la trasformazione del corpo, la progressiva disumanizzazione e allo stesso tempo l’idea che bisogna combattere il processo di annichilimento descritti in altre drammatiche testimonianze di sopravvissuti. Maida analizza e ricostruisce il dopo: le difficoltà del ritorno, l’indifferenza, il silenzio, e poi la scrittura, salvifica.

C’è anche chi, come Iris Versari, non ha potuto vivere i momenti esaltanti della Liberazione, né la conquista del voto per le donne, né la scelta della Repubblica il 2 giugno 1946. La partigiana romagnola, proveniente da una famiglia antifascista (i genitori e i due fratelli furono arrestati dai nazifascisti), si suicida il 18 agosto del 1944, morendo come è vissuta: con l’impeto, il decisionismo e la sfrontatezza di chi ha le idee chiare e fino all’ultimo le impone, anche a sé stessa. Ha 21 anni, nel gennaio ’44, quando si unisce alla banda guidata da Silvio Corbari, per tutti “il Curbéra”, di cui si innamora e al quale non rinuncia, pur essendo sposato con un bambino. Ed è per dare una possibilità di fuga a lui e agli altri compagni (Arturo Spazzoli e Adriano Casadei) che, ferita a un ginocchio e immobilizzata nel casale di Ca’ Cornio (nel Forlivese), aspetta che i fascisti e i tedeschi lì appostati facciano irruzione: il primo lo fredda al petto, poi rivolge la pistola alla propria tempia. Il suo sacrificio è però inutile. Gli altri verranno presi e massacrati, hanno poco più di vent’anni. I loro corpi saranno appesi, nella solita macabra modalità dimostrativa, sotto il portico nel centro di Castrocaro. Walter Veltroni ne ha fatto un racconto appassionato restituendoci la figura di una donna coraggiosa, anticonformista, medaglia d’oro al valor militare. La forma è quella del romanzo: per certi versi, la cifra della breve esistenza di Iris.
Eliana Di Caro Il Sole 24 ORE 1 giugno 2025
