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Noi credevamo

11/02/2011

Due commenti di Alessandra Campagnano e Sergio Casprini al film NOI CREDEVAMO, tratti da pensalibero.it

“NOI CREDEVAMO”

L’avvicinarsi del 150° anniversario ha risvegliato interesse per le vicende che portarono all’unità nazionale, ma purtroppo questo avviene in un momento non facile per il Paese. E quindi la proiezione del presente sul passato può influire non poco sulla lettura di quel periodo che pose le basi per la fondazione di uno stato unitario di cui fino al XIX secolo non si era avuta notizia. La delusione e la disillusione segnarono fin dai primi anni dopo l’unità – quando ancora il processo di unificazione nazionale non si era ancora concluso – la vita pubblica del nuovo stato, basti pensare alla parabola di Carducci, alle opere veriste del Verga, alla novella Senso di Camillo Boito, ma il passare dei decenni non ha contribuito a superarle. E tutto questo è chiaramente visibile nel film. Già il titolo Noi credevamo è il preludio a una realtà completamente diversa dai sogni e dalle aspettative di chi lottava per fare dell’Italia divisa in tanti stati caratterizzati dall’arretratezza economica e sociale e dal dispotismo, uno stato unito, moderno, al passo con i paesi europei più evoluti. Nel film le passioni e le emozioni dei protagonisti si intrecciano e si fondono con le vicende della grande storia nella quale essi sono coinvolti ma per la quale non sono determinanti. Tuttavia non si tratta delle vicende degli “umili” di manzoniana memoria, i protagonisti vivono il loro percorso esistenziale con consapevolezza e fede nei loro ideali, non si affidano a nessun disegno provvidenzialistico e per questo alla fine l’amarezza dell’unico sopravvissuto dei tre giovani sui quali si impernia il racconto filmico, è ancora più grave e sconsolata.
L’aver voluto rintracciare nelle origini dello stato unitario le cause dello sfaldamento della nostra identità civile può portare a conclusioni non volute dal regista lo spettatore non addentro alle vicende risorgimentali. Il film, per tre ore, seguendo le vicende di tre giovani mazziniani del Cilento, allude, fa riferimento ai contrasti personali e politici che caratterizzavano gli appartenenti all’area democratica, ma non spiega, dà per scontato che chi assiste alla proiezione sia informato. Non si tratta solo di histoire événementielle, ma di attenzione al dibattito fra culture politiche diverse che nel Risorgimento fu fondamentale anche per lo svolgimento dei fatti. Si tratta di un dibattito che ebbe spesso e volentieri collegamenti con quello che si svolgeva in Europa in contesti economici e politici ben più avanzati dei nostri stati preunitari, ai quali anche il film fa riferimento sempre in modo sfuocato.
Sia la caduta dell’impegno politico e civile che caratterizza la nostra società, sia, soprattutto, l’aver voluto rincorrere a tutti i costi l’attualità nell’insegnamento della storia hanno fatto sì che la storia dell’Ottocento, e quindi del Risorgimento, non abbia più avuto lo spazio e l’approfondimento che meritava. Se lo spettatore si lascia coinvolgere troppo emotivamente dalle vicende personali e dalla disillusione che alla fine prevale, si corre il rischio di avere reazioni di tipo qualunquistico, che vedono inutile ogni forma di impegno perché tanto “tutto cambia [ma] tutto resta come prima”. Se invece a chi va a vedere questo film, si dà un promemoria con un invito ad approfondire le motivazioni che portarono tanti italiani, di tutte le classi sociali, a mettere a rischio allora la vita propria e dei propri familiari, a soffrire esilio e galera, sarà possibile avere una proiezione rovesciata. Il presente deludente non porterà più a una lettura non positiva del passato, ma il passato, sia pure con tutte le delusioni e le disillusioni, porterà a trovare i motivi di un impegno politico quotidiano, con la consapevolezza di appartenere a un Paese che, grazie ai patrioti del Risorgimento, cominciò quel cammino che lo ha portato ad essere uno stato che trovava collocazione e riconoscimento nel contesto europeo.

Alessandra Campagnano

NOI CREDEVAMO : tentativo riuscito di ricostruzione storica o ennesima interpretazione di parte?

In una scena del film il mazziniano Domenico fugge insieme ad alcuni garibaldini dopo gli scontri di Aspromonte e si ritrova davanti allo scheletro di edificio ancora da costruire con in evidenza pilastri di cemento armato,Questa immagine deturpa il bel paesaggio calabrese ed è metafora evidente della attuale distruzione del territorio con la speculazione edilizia, a dimostrare che negli anni del nostro Risorgimento in nuce erano presenti le cause dello “sfascio ” attuale , sia politico, economico e culturale.
Il Risorgimento è “un albero nato con delle radici malate” dice in una lettera a Domenico la principessa Cristina di Belgioioso ( vista nel film come una radical-chi dell’ottocento) e questo giudizio è il leitmotiv che accompagna tutto il film e non a caso la storia si conclude con Domenico che si aggira per il parlamento italiano, in cui appare solo Crispi che in aula arringa a degli scranni vuoti, mentre nelle cappelliere fuori dall’aula c’è una teoria di cilindri neri tutti uguali a testimoniare simbolicamentel ‘uniformità e il vuoto della politica, della classe dirigente separata, allora come oggi, dal paese reale, dai suoi bisogni e dalle sue aspettative.
Capisco che Martone , prendendo spunto dal romanzo di Anna Banti su un vecchio garibaldino che racconta con amarezza e delusione la sua storia, si è messo dalla parte di chi tra il popolo,tra i mazziniani,tra i garibaldini voleva non solo l’unità d’italia, ma anche un’ italia più giusta,più democratica,la repubblica e non la monarchia e quindi ha giustamente ridimensionato il ruolo dei monarchici, dei moderati e soprattutto di Cavour nel processo risorgimentale,
Però ha anche recuperato in maniera consapevole quella interpretazione che risale a Gramsci del Risorgimento come rivoluzionetradita, conquista regia, anzi ha perfino recuperato una lettura , di moda a sinistra ,antropologica degli italiani, da una parte i buoni quelli del Risorgimento sano, sconfitti da un destino cinico e baro;dall’altra parte i cattivi, quelli del Risorgimento malato,che invece purtroppo sono ancora al potere.Negli stati uniti , che hanno visto il genocidio degli indiani e le pagine tragiche e sanguinose della Secessione , gli americani hanno un rispetto direi sacro della loro storia e salvaguardano sempre , anche quando criticano alcuni aspetti della loro storia nei loro film o romanzi, l’identità nazionale.
Martone ha creduto di dare un contributo alla verità storica del Risorgimento, invece suo malgrado ha reso un servizio a tutti coloro, leghisti, cattolici integralisti, neo-borbonici che negli ultimi anni hanno negato i valori e le idealità del Risorgimento.

Sergio Casprini

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