
Negli anni Venti del Novecento ebbe successo e influenza culturale un saggio storico-filosofico, Il tramonto dell’Occidente, scritto da Oswald Spengler, allora uno sconosciuto professore di provincia tedesco. Attraverso l’esame di otto grandi civiltà (babilonese, egiziana, indiana, cinese, ellenico-romana, araba, occidentale e centro americana), Spengler arriva alla conclusione che tutte si evolvono in modo analogo agli individui attraverso le fasi della giovinezza, della maturità e della decadenza. Il filosofo tedesco affronta con particolare attenzione la storia dell’Occidente, che, come tutte le altre civiltà, è destinato all’estinzione. Già nel XIX secolo, sosteneva, la civiltà occidentale era entrata nella sua fase di “decadenza”, indicata come Zivilisation, con il declino delle energie spirituali che l’avevano animata. Tale ultimo periodo viene descritto da Spengler come caratterizzato dal dominio del denaro e della stampa, intellettualmente non più produttivo e politicamente instabile. Nelle grandi città vivono grandi masse con scarsi rapporti tra gli individui, al contrario di quanto succedeva nei villaggi. Il cosmopolitismo fa scolorire l’idea di patria. La tradizione e la religiosità vengono scalzate dai progressi della scienza che dissolve molti misteri e risolve innumerevoli problemi, per i quali in passato ci si rivolgeva alla religione.
Il tramonto dell’Occidente nei drammatici anni successivi alla Grande Guerra venne letto come reazione alla visione positiva e illuministica della Belle Epoque, che aveva portato alla guerra, e soprattutto per questa interpretazione il saggio ebbe successo. Oggi la tesi del declino dell’Occidente e delle sue conquiste politiche, economiche e sociali si riaffaccia a cento anni dall’opera di Spengler, in una situazione di grave crisi internazionale sotto tutti gli aspetti (economico, politico e militare). Rinascono tendenze nazionaliste o addirittura imperialiste, la democrazia perde terreno dopo lunghi decenni di espansione e autocrati come Putin e Xi Jin Ping estendono in più direzioni la loro influenza economica e strategica. Con la rielezione di Trump all’insegna del suo Make America Great Again a suon di dazi, di minacce di annessione, di sostanziale ritiro dal ruolo di guida nella Nato e da quello di principale difensore dell’Ucraina, gli Stati Uniti si affiancano a Cina e Russia nel rendere particolarmente preoccupante il prossimo futuro del mondo. Come se non bastasse, si vanno potenziando i sofisticati metodi informatici per interferire nella vita politica di altri paesi e perdurano, per limitarci alle nostre vicinanze, le guerre in Ucraina e in Medio Oriente, la responsabilità delle quali ricade rispettivamente sull’autocrate russo Putin (che intanto minaccia altre nazioni) e sul terrorismo fondamentalista di Hamas patrocinato dall’Iran.
Come negare che questo Occidente diviso possa dare l’impressione di “tramontare”? A questo proposito, il 26 aprile scorso, “La Stampa” ha pubblicato un articolo intitolato per l’appunto Il Tramonto dell’Occidente del filosofo Massimo Cacciari che scrive: “Proprio a partire dalla Grande Guerra inizia la crisi dell’Occidente, il tramonto che pare inarrestabile di ogni ragione di essere dell’Europa, che non si riduca a logiche di mercato né tantomeno a logiche di riarmo…” Il pessimismo del filosofo Cacciari non coglie però il senso più vero della storia millenaria dell’Europa, che nei secoli ha costruito comunque tra crisi e rinascite una sua forte identità, forse più culturale che politica, radicata nelle grandi civiltà greca e romana, nell’eredità giudaico-cristiana, nel Rinascimento e nell’Illuminismo. Ne è scaturita, non senza grandi sofferenze, un’Europa democratica, che pur nelle sue imperfezioni, garantisce la libertà dei suoi cittadini e consente anche manifestazioni di radicale dissenso verso il potere costituito.
Pertanto, se vogliamo contrastare il declino dell’Europa e ricostruirne un’identità forte anche sul piano politico, non basta approntare contromisure economiche e militari – e su questo ha ragione Cacciari – ma bisogna anche considerare la cultura come un fattore indispensabile per riscattare la dignità di una comunità estesa e diversificata, risvegliandone il senso di appartenenza. Per non essere ridotta a un’idea astratta, aveva appunto ricordato Jacques Le Goff nel suo libro L’Europa raccontata da Jacques Le Goff, l’Europa andrebbe costruita interrogandone la storia: «un’Europa senza storia sarebbe orfana e miserabile».
In questa prospettiva la Storia deve urgentemente tornare a essere una materia fondamentale nella formazione dei giovani per diventare a pieno titolo cittadini italiani ed europei. E di questo giustamente tengono conto le Nuove Indicazioni per la Scuola dell’infanzia e il Primo ciclo di istruzione. Infatti, nella parte dedicata alla Storia ci sono Le radici della cultura occidentale attraverso alcune grandi narrazioni: p. es. Bibbia, Iliade, Odissea, Eneide a partire dalla primariafino ad arrivare allo Sviluppo economico dell’Occidente e verso l’unità europea nel 900 in terza media. Altrettanto opportunamente vi si ribadisce “l’importanza centrale che hanno i fatti, gli eventi, le date, nonché l’importanza che in alcuni snodi essenziali ha avuto la singola personalità umana”.
Recentemente a Firenze, si è tenuto nell’Aula Magna del Rettorato un interessante e importante convegno, Firenze – Resistenza e arte, sugli storici dell’Arte Poggi, Procacci, Fasola, Siviero e Ragghianti, che durante gli anni della guerra e della Resistenza hanno saputo salvaguardare le opere d’arte. Ebbene, pur con una buona partecipazione di pubblico, nonostante la sede, l’Aula Magna del Rettorato, non era presente neppure uno studente universitario, a conferma che sta venendo sempre meno nelle nuove generazioni la memoria del passato.
Sergio Casprini
