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L’Italia: una Nazione liquida?

01/04/2018 da Sergio Casprini

Non c’è segno più grande di un decadimento generale della virtù di una nazione della mancanza di zelo nei suoi abitanti per il bene del loro paese.
(Joseph Addison)

 

Il sociologo polacco Zygmunt Bauman ha dato una  definizione della società attuale, quella occidentale come società liquida,  una definizione che ha avuto successo tra i media e l’opinione pubblica e che è in contrasto con la visione della società del passato, in cui con l’avvento della modernità tutto era dato come una solida costruzione, con ben definiti rapporti sociali e produttivi, con forti istituzioni politiche e civili, con credibili rappresentanze democratiche, sia sindacali che politiche in un  condivisa dimensione comunitaria.

Con la crisi del concetto di comunità emerge un individualismo sfrenato, dove nessuno è più compagno di strada ma antagonista di ciascuno, da cui guardarsi. Questo soggettivismo – così Umberto Eco spiegava anni fa  Zygmunt Bauman – ha minato le basi della modernità, l’ha resa fragile, da cui una situazione in cui, mancando ogni punto di riferimento, tutto si dissolve in una sorta di liquidità. Si perde la certezza dell’ identità e le uniche soluzioni per l’individuo senza punti di riferimento sono da un lato l’apparire a tutti costi, l’apparire come valore e il consumismo…

Pertanto nell’età post-moderna l’esperienza individuale e le relazioni sociali sono segnate da caratteristiche e strutture che si vanno decomponendo e ricomponendo rapidamente, in modo vacillante e incerto, fluido e volatile.

Va da sé che il senso di appartenenza ad una comunità, locale, nazionale o sovranazionale sia sempre più labile e l’agire civico e politico dei cittadini sia sempre più affidato ad istanze più emotive che razionali senza il possesso di una seria formazione culturale, attingendo invece alle pseudo-verità, propagate quotidianamente dai social network.

Anche in Italia si vive in una società liquida testé descritta ?

Certo è che già negli ultimi anni del secolo scorso la crisi dei partiti non solo come rappresentanze democratiche di ceti e classi sociali ma soprattutto, arroccatisi nelle loro autoreferenzialità, come mediatori politici e culturali tra cittadini e istituzioni dello Stato, l’affermarsi della società del benessere e del consumismo minata però periodicamente da fattori di crisi economica e di instabilità di un mondo ormai globalizzato hanno esasperato la frantumazione conflittuale e rivendicativa della società italiana ed ha accentuato il venir meno di qualsiasi filosofia del pubblico bene in cui la collettività possa riconoscersi.

Di conseguenza il dissolversi del sentimento della civitas ha portato con sé anche la crisi della tradizione politica dell’Occidente, fondata su una percezione comunitaria della vita umana e cioè in primo luogo la Nazione.

Ritrovare nella società odierna, individualistica ed anticomunitaria, i valori di quella tradizione non significa recuperarne la memoria storica attraverso le grandi narrazioni delle filosofie ed ideologie del passato, ormai tramontate come l’illuminismo, l’idealismo ed il marxismo ma ridare valore all’altra grande invenzione dell’Occidente che è il Diritto, il complesso  delle norme che regolano la vita dei membri di una comunità.

Diritto sì di eguaglianza dei cittadini di fronte alle leggi dello Stato ma anche Jus culturae per la formazione ad una cittadinanza consapevole, in primis per i giovani, italiani o migranti che siano: la scuola quindi deve assumere la responsabilità di essere luogo di trasmissione del canone culturale della Nazione, l’insieme dei saperi, teorici e manuali, umanistici e scientifici che hanno contrassegnato la storia del nostro Paese.

La scuola italiana deve allora tornare ad essere una stabile e solida istituzione nella società liquida in cui stiamo vivendo per  poter ritrovare il sentimento di un’appartenenza comune e l’orgoglio di un’identità nazionale condivisa!

Sergio Casprini

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