• Passa alla navigazione primaria
  • Passa al contenuto principale
  • Passa alla barra laterale primaria
  • Passa al piè di pagina
  • Il Comitato Fiorentino per il Risorgimento
  • Redazione
  • Contatti
  • Photogallery
  • Link
  • Privacy Policy

Risorgimento Firenze

Il sito del Comitato Fiorentino per il Risorgimento.

  • Home
  • Focus
  • Tribuna
  • I luoghi
  • Mostre
  • Rassegna stampa
  • Pubblicazioni
  • Editoriale

Alberto Lopez

Breve cronaca di un ordinario XX Settembre

25/09/2017 da Alberto Lopez

Alberto Lopez  Comitato Fiorentino per il Risorgimento

Come di consueto il venti settembre a Firenze si è celebrata la ricorrenza della Breccia di Porta Pia (1870) che sancisce la fine del potere temporale della Chiesa e il ricongiungimento di Roma all’Italia, grazie alla costanza di alcune associazioni – tra queste il Circolo Piero Gobetti e la Fondazione Ernesto Rossi e Gaetano Salvemini che per prime hanno ripreso la tradizione interrotta nel Dopoguerra – con la partecipazione istituzionale garantita quest’anno dal consigliere comunale Andrea Ceccarelli.

Meno consueto, invece, è stato il luogo: essendo l’Obelisco ai Caduti di piazza Unità d’Italia inaccessibile, a causa dei lavori in corso per la tranvia, la commemorazione è avvenuta in piazza Santa Maria Novella, davanti alla lapide posta all’ingresso di Palazzo Pitti Lorenzi che ricorda il discorso che Giuseppe Garibaldi fece  (quasi) esattamente centocinquanta anni fa – 22 ottobre 1867 -dove fu pronunciata la storica frase ‘O Roma o morte’ in occasione dei preparativi della spedizione che si concluse negativamente a Mentana.

Infatti, allora, come è stato ricordato nell’appassionato e appassionante intervento che Sergio Casprini ha fatto a nome del Comitato Fiorentino per il Risorgimento, mancavano le condizioni perché l’azione militare per liberare Roma potesse avere buon esito, sussistendo ancora la protezione militare che la Francia garantiva allo Stato Pontificio.

E senza l’assenso francese la situazione politica italiana non poteva mutare. Di questo Cavour ne era stato sempre consapevole, non a caso era considerato il più grande statista della sua epoca ( “allo stato attuale in Europa è il solo vero uomo politico, ma disgraziatamente è contro di noi. È il conte di Cavour.” – Klemens von Metternich ) e non incidentalmente l’unificazione dell’Italia avvenne sotto la sua scaltra regia.

Ma il filo che lega l’intervento di  Sergio Casprini a quello di Andrea Ceccarelli che lo ha preceduto, sta nel riconoscere l’importanza che la celebrazione di ricorrenze di questo genere dovrebbero avere nella formazione di un senso di appartenenza e di cittadinanza – se non di amor patrio ( che nulla ha a che vedere con il nazionalismo ) – nelle nuove generazioni, minato, invece, da iniziative come quella pugliese di istituire una Giornata della memoria per i meridionali morti in occasione dell’unificazione italiana, come se si trattasse di vittime di stermini novecenteschi o la promozione di referendum in Lombardia e Veneto che aumentano le spinte centrifughe di una malintesa autonomia regionale.

La commemorazione è proseguita nel Salone della Fratellanza Militare, dove sono intervenuti Valerio Giannellini per la Fondazione Ernesto Rossi e Gaetano Salvemini e Massimo Lensi per l’Associazione per l’iniziativa radicale “Andrea Tamburi”. Di loro vorrei ricordare il richiamo all’attualità politica. In primo luogo, quello riferito alla scarsezza, se non all’assenza, di spazio che viene riservato nei media al confronto tra diverse visoni dell’etica e della società con pesanti ripercussioni sulle libertà individuali.

Si pensi, ad esempio, al testamento biologico. Perché quello dello scontro dialettico è una questione di metodo non certo marginale, secondo la migliore tradizione liberale lasciataci da Einaudi. Viene da ricordare, per inciso, che alcuni dei capolavori del pensiero occidentale sono stati scritti proprio in forma di dialogo, dove prima vengono contrapposte le tesi discordanti per poi cercare di arrivare ad una sintesi che proponga soluzioni che prima non c’erano. Oppure, che lo scienziato che più ha contribuito all’affermazione della meccanica quantistica – alla quale si devono i più importanti sviluppi tecnologici recenti – fu proprio colui che più l’ha osteggiata: Einstein (sono entrati nella storia della scienza i congressi Solvay, fondati dall’industriale belga Ernest Solvay, una serie di conferenze scientifiche dedicate ad importanti problematiche di fisica e chimica, che si tengono a Bruxelles ogni tre anni, a partire dal 1911 e dove si è consumato lo scontro intellettuale con il collega Bohr ) che con le sue sottili critiche ha dato l’impulso maggiore per una più chiara definizione e sistematizzazione degli aspetti più delicati di questa disciplina.

Poi, la questione della laicità dello Stato. Perché se è vero che oggi è garantita formalmente, c’è da chiedersi quanta ve ne sia realmente nello Stato italiano. Al di là delle possibili soluzioni, una proposta l’ha indicata Fabio Bertini, per il Coordinamento Nazionale Associazioni Risorgimentali con  l’invito all’impegno di tutti  per l’affermazione proprio di quei valori di libertà, di laicità e di tolleranza che si ricordano  sempre in occasione della ricorrenza del XX Settembre. E con riferimento ai media non si può fare a meno di ringraziare Radio Radicale, che ha effettuato  la registrazione della manifestazione, una radio che è un  modello di servizio pubblico esercitato da un privato e che dovrebbe far riflettere chi di dovere per trovare qualche rimedio al discredito in cui versa l’informazione tradizionale ed ufficiale. Vorrei, infine, ricordare l’intervento di Armando Niccolai, che ha parlato per la Fratellanza Artigiana d’Italia, con la citazione di alcuni articoli della Costituzione della Repubblica Romana del 1849 che sono ancora oggi un esempio, in parte, non eguagliato: “La sovranità è per diritto eterno nel popolo.. ( che ) è costituito in repubblica democratica”. “Il regime democratico ha per regola l’eguaglianza, la libertà, la fraternità”, che inevitabilmente ha portato a rievocare una vecchia, ma non superata, discussione, tanto cara ai laici ed ai liberali, su quali siano i principi che meriterebbero davvero di comparire all’inizio della nostra Carta  Costituzionale.

Erano presenti alla manifestazione anche il Circolo Fratelli Rosselli, l’Associazione veterani e reduci garibaldini, l’Unione degli atei e degli agnostici razionalisti e Firenze Radicale-Per gli Stati Uniti d’Europa. Il tutto più che moderato, animato  da Adalberto Scarlino, presidente del Comitato Fiorentino per il Risorgimento

Questa è  la breve cronaca di un ordinario XX Settembre, celebrato a Firenze il 20 settembre del 2017, che avrebbe meritato una più ampia partecipazione della cittadinanza; è stata infatti una manifestazione  comunque significativa in quanto non è stata solo una mera rievocazione storica di un evento cruciale del Risorgimento italiano, è stata invece anche l’occasione per richiamare all’attenzione della classe politica italiana questioni attuali di laicità dello stato.

Archiviato in:Tribuna Contrassegnato con: Palazzo Pitti

Alle origini dell’indipendenza della Toscana

14/12/2016 da Alberto Lopez

 

Alberto Lopez  Comitato fiorentino per il Risorgimento

Mercoledì 7 dicembre nella Sala Gonfalone del Palazzo del Pegaso ( più noto storicamente come Palazzo Panciatichi ) a Firenze si è tenuta la presentazione del dizionario storico curato da Fabio Bertini “Le Comunità Toscane al tempo del Risorgimento” ( pagg.1529, Editore De Batte, Livorno).

Sono intervenuti Eugenio Giani, presidente del consiglio regionale della Toscana, Cosimo Ceccuti, presidente della Fondazione Spadolini Nuova Antologia, Luca Mannori, direttore del Dipartimento di Scienze sociali dell’Università di Firenze, Sandro Rogari, presidente della Società Toscana per la Storia del Risorgimento ed infine Marcello Verga, membro per l’Università di Firenze del comitato di gestione del Centro Interuniversitario di Ricerca sulla Storia delle Città Toscane; moderati da Adalberto Scarlino, presidente del Comitato Fiorentino per il Risorgimento, alla presenza di un nutrito pubblico, nonché del curatore e di alcuni dei suoi collaboratori fra i quali rammento Andrea Giaconi, segretario del Comitato Pratese per la promozione dei valori risorgimentali.

Per ovvie ragioni di brevità non potrò che soffermarmi solo su alcuni dei passaggi salienti di ciascuno, seguendone l’ordine cronologico.

Giani fa subito notare come il lavoro storiografico compiuto vada ben oltre il limite temporale indicato dal titolo dell’opera, partendo da una ricostruzione dei fatti che risale alla seconda metà del ‘700, trattandosi di una premessa ineludibile per una vera comprensione della genesi delle comunità toscane che si configureranno nel secolo successivo. Sottolinea come Pietro Leopoldo d’Asburgo-Lorena ( Vienna, 1747 – ivi, 1792 ), granduca di Toscana dal 1765 al 1790 ( quando divenneimperatore del Sacro Romano Impero ), all’amministrazione paternalista dei suoi predecessori ne sostituisca una più responsabile e partecipata attraverso una riforma municipale, volta a favorire un’attività più autonoma degli enti locali, realizzatasi anche attraverso il raccoglimento dei numerosissimi borghi di origine medievale in un numero di comuni di poco dissimile da quello attuale. Risulta così che la Lombardia, che è circa due volte la Toscana, ha ancora oggi circa millecinquecento comuni, ben più di cinque volte quelli toscani!

Scarlino, invece, lamenta come il Risorgimento non trovi più uno spazio adeguato nei programmi scolastici e come il dizionario, grazie ai numerosi riferimenti biografici, oltre alle 1529 schede delle comunità censite, possa contribuire alla conoscenza dei luoghi e delle personalità che contribuirono al faticoso cammino di conquista delle libertà e dell’indipendenza di cui godiamo tutt’oggi. Dopo aver sottolineato le pagine che ricordano Ferdinando Bartolommei, il liberale cavouriano protagonista degli anni cinquanta fino alla insurrezione del 27 aprile 1859, raccomanda alla lettura i capitoli che mettono in risalto la vivacità culturale e politica di alcuni comuni: Cavriglia, con i suoi 34 volontari arruolati nell’esercito sabaudo nella prima guerra dell’Indipendenza italiana e con le iniziative preziose per la cultura popolare, come la costituzione di bande musicali, da quella di Montegonzi alla Filarmonica “Umberto Giordano” ( la cui storia ènel volume di Giovanni Marrucchi, edito nel 2011 per il centocinquantenario nazionale, promosso da Antonella Fineschi della tessa Filarmonica ); Dicomano, con l’eroico farmacista Antonio Baldini e con gli 851 voti del plebiscito del 1860 favorevoli all’unione alla monarchia costituzionale del re Vittorio Emanuele; Incisa, con quello straordinario personaggio che fu Antonio Brucalassi, scienziato, letterato, astronomo, studioso di storie patrie, biografo di quella Lucrezia Mazzanti che nel 1529 si uccise per non sottostare alla violenza di soldati spagnoli; una storia presa da esempio, nel Risorgimento, di sacrificio per la libertà ( come ha ben documentato una recente ricerca di Cinzia Lodi ).

Ceccuti approfondisce il contributo che Pietro Leopoldo diede alla modernizzazione della Toscana tramite l’abolizione dei feudi, le bonifiche della Maremma senese e della Val di Chiana, la costruzione di nuove infrastrutture e la riforma religiosa che pose forti limiti al potere ecclesiastico avvicinando, con la complicità del vescovo di Pistoia Scipione de’ Ricci, il clero toscano su posizioni gianseniste e che costò la condanna di Pio VI. Ma il dizionario è più della ricostruzione dei grandi eventi, è storia delle popolazioni, del loro lavoro e della maturazione della consapevolezza di essere comunità. È la storia del loro contributo ai fatti che condussero alla libertà. Ma le schede, che si contraddistinguono per l’originalità, testimoniano non solo i momenti esaltanti del Risorgimento, ma anche le paure e le resistenze che comprensibilmente ci furono di fronte al cambiamento. Ma cosa resta del Risorgimento nella Toscana di oggi? È quanto si chiede Ceccuti ed è il quesito che sottende tutta l’opera. La risposta resta in parte sospesa, come deve essere per ogni opera scientifica di qualità. In parte, si può dire che di quell’epopea rimane la grande Toscana delle identità collettive.

Mannori osserva come il dizionario sia lo specchio di una sensibilità storiografica recente che presta attenzione al locale per arrivare al generale. Vi è raccontato come i toscani del ‘800 arrivarono a scoprire la dimensione della politica partecipata non dal centro, ma dalla periferia fino ad arrivare a ricomporre un quadro nazionale, in virtù del fatto che all’epoca ciascuno non viveva la realtà nazionale, ma era partecipe di quella locale della comunità. Le schede sono un censimento paziente che ricostruisce un quadro complessivo delle feste, delle tipografie, dei circoli, del volontariato e della nascita dei partiti, cioè dell’insieme di iniziative e cose che contribuirono alla formazione di una sfera pubblica, non trascurando di testimoniare quanto questo cammino di emancipazione sia stato difficoltoso. Ma il dizionario, conclude, è altro ancora. È concepito come un testo di geografia storica che si presta bene ad essere una base per un atlante storico di più facile lettura e consultazione.

Rogari, invece, rammenta come il libro debba essere trattato per quello che è: uno strumento funzionale agli scopi specifici del lettore. Ciò non toglie che possegga una visione di insieme. Infatti, si può notare come la prospettiva storiografica del Risorgimento che scaturisce dalle diverse realtà locali non sia del tutto riconducibile alle tipologie che tradizionalmente identificano la Toscana nelle sue parti. È questa un’altra delle questioni storiografiche sollevate nel lavoro. L’opera si conferma così come un mosaico di tasselli utili per costruire percorsi diversi.

Verga, con riferimento a quanto già detto negli interventi precedenti, invita a prestare attenzione al fenomeno non casuale che le maggiori fratture e rivolte scaturirono proprio dalle riforme che colpivano il culto popolare. Che dove i legami di fedeltà verticale che caratterizzarono l’Antico Regime erano più forti, le resistenze alle riforme leopoldine ed ai successivi movimenti democratici furono più intense. Nonostante queste resistenze, che si protrassero nel XIX secolo, le riforme delle comunità non mancarono di produrre i loro effetti, portando per la prima volta alla partecipazione degli ebrei nelle amministrazioni locali. Con le riforme religiose, invece, la cittadinanza cessò di coincidere con il battesimo. Dopo che le nuove infrastrutture, come la ferrovia, ebbero prodotto i loro effetti di avvicinare fisicamente i territori con le conseguenti positive ricadute economiche, non tardarono ad arrivare anche i mutamenti di opinione più favorevoli al nuovo ordinamento. Sulla proposta di un atlante storico, infine, nota come sia difficile cartografare le differenze che emergono dalle schede.

Concludono brevemente l’incontro Giaconi e Bertini che, oltre a ringraziare quanti hanno contribuito alla realizzazione dell’opera osservano, il primo, l’importanza del dizionario come strumento di consultazione, per conoscere e comprendere il Risorgimento al di là delle mura di appartenenza; per conoscerne le ricadute locali e come il libro sia stato effettivamente pensato come atlante illustrativo ed interpretativo delle riforme leopoldine e del processo risorgimentale. Con l’auspicio che possa avvicinare i lettori ad un periodo storico che per i valori è molto più vicino a noi di quanto si creda. Dell’intervento del secondo, invece, ricordo su tutto una cifra: il lavoro è partito, come di deve, dai dati, rivolgendosi in prima istanza all’ANCI. Interrogati su cosa avessero del Risorgimento, solo il dieci per cento dei comuni interpellati hanno risposto. Di questi i più hanno detto di non possedere nulla. Il dizionario testimonia anche, con le bibliografie che accompagnano ciascuna delle schede del libro, oltre ad altre cento pagine di bibliografia generale, quanto ci sia di inesatto in questa affermazione.

Per me questa presentazione è la migliore risposta che si può dare a quanti contestano la scelta di Giani di aver scelto il 27 aprile come data ufficiale per festeggiare l’indipendenza della Toscana nella ricorrenza della fine del Granducato, avvenuta con l’allontanamento di Leopoldo II di Asburgo Lorena ( Firenze, 1797 – Roma, 1870 ) nel 1859. Il dizionario, infatti, con la sua ricca documentazione testimonia come quel 27 aprile di centocinquantasette anni fa, sancisca non accidentalmente, ma con partecipazione di popolo e in modo consapevole, non senza vicende e risvolti contrastanti, la fine della dominazione straniera della Toscana e l’inizio di un governo autonomo che condusse di lì a poco ( i risultati del plebiscito sull’adesione della Toscana al Regno costituzionale dei Savoia sono del 12 marzo 1860 ) alla scelta libera di far parte dell’embrione di quello che sarebbe diventato lo Stato unitario italiano. Perché non bisogna dimenticare che, per quanto possa essere stato illuminato, Pietro Leopoldo vedeva, comunque, nel piccolo stato dell’Italia centrale un territorio funzionale agli interessi dell’impero di Vienna ed i suoi successori, non esitarono, quando lo ritennero necessario alla conservazione dello status quo, ad adottare provvedimenti liberticidi, come lo stesso mite Canapone che smantellò le garanzie costituzionali edificate prima dei moti del ’48; partire dalla seconda metà del 1850 evitò di convocare il Parlamento, nel ’52 soppresse la libertà di stampa ed accettò fino al ’55 l’occupazione militare con la quale il governo di Vienna intendeva affermare il proprio protettorato sul Granducato. Quindi, bene ha fatto l’amministrazione regionale ad istituire una festività che sia occasione per tutti i cittadini toscani di ricordare il tortuoso cammino compiuto nel passato, più vicino a noi di quanto si voglia riconoscere, verso le libertà.

Archiviato in:Tribuna

Cesare Battisti e la quarta guerra d’Indipendenza

14/07/2016 da Alberto Lopez

Alberto Lopez   Comitato Fiorentino per il Risorgimento

 

Martedì 12 luglio presso la sede del rettorato dell’università di Firenze è stato ricordato il centenario della morte di Cesare Battisti (Trento 1875 – ivi 1916) avvenuta per impiccagione, condanna riservata ai traditori, per mano degli austriaci.

Stessa sorte toccò a Fabio Filzi (Pisino, Istria 1884 – Trento 1916), catturato insieme a lui due giorni prima, il 10 luglio 1916, dopo una notte di combattimenti. Infatti, Battisti si trovava, allora, dopo aver rifiutato l’impegno in retrovia, a capo di una compagnia del corpo degli alpini con il compito di conquistare la cima del monte Corno nell’ambito di una più ampia controffensiva attuata dagli italiani.

Allo scoppio della Grande guerra, come Filzi e tanti altri giovani trentini e giuliani – territori all’epoca austriaci – aveva scelto di arruolarsi nelle file dell’esercito italiano per portare a compimento il processo di unificazione dell’Italia con l’estensione dei confini nazionali alle regioni di lingua e cultura prevalentemente italiane che ancora erano soggette alla sovranità dell’impero asburgico dopo il 1870. Con queste motivazioni, che le altre nazioni coinvolte non avevano, la guerra in corso assumeva un valore ed un significato particolari in continuità con quelli del Risorgimento in misura tale che per l’Italia il conflitto poteva ritenersi, a pieno titolo, come la quarta guerra d’Indipendenza.

Alla cerimonia, che si è conclusa con la deposizione di una corona d’alloro nell’atrio del rettorato di fronte alle due lapidi che ricordano, oltre a quello di Battisti, i nomi degli altri studenti protagonisti dell’irredentismo risorgimentale, sono intervenuti il Magnifico Rettore dell’ateneo fiorentino Luigi Dei, la vicesindaca di Firenze Cristina Giachi, in rappresentanza dell’amministrazione comunale, il colonnello Paolo Bassoli, per l’Istituto Geografico Militare ed il professor Fabio Bertini, coordinatore dei Comitati toscani del Risorgimento.

Ma perché è importante per Firenze ricordare questo anniversario? Perché è qui che Battisti ha conseguito nel 1897 la laurea in Geografia con una tesi dal titolo “Il Trentino. Saggio di geografia fisica e di antropogeografia”, di grande interesse metodologico.

La monografia del giovane dott. Battisti poteva infatti additarsi come eccellente modello del genere, sia per la struttura generale, sia per le singole parti, nelle quali l’Autore aveva profuso tutto il migliore intelletto nella determinazione diretta e originale della fisionomia degli elementi fondamentali della corografia tridentina. Per suo mezzo il Trentino, cioè la sezione meridionale della Venezia Tridentina, era illustrato sotto ogni aspetto su un piano originale e moderno. Il Trentino fu la prima regione d’Italia che, per il contributo d’uno studioso, venisse a possedere una monografia morfografica e antropogegrafica fondata sui moderni espedienti areometrici e morfometrici.

Così scrive Luigi Filippo de Magistris, nell’introduzione a “Il Trentino. Cenni geografici, storici, economici, con un’appendice su l’Alto Adige”, Novara 1915, una delle ultime opere scientifiche di Battisti.

Si deve, infatti, ricordare che dopo il passaggio di Padova all’Italia, era impossibile per un suddito asburgico di lingua italiana poter seguire corsi universitari completi nel proprio idioma entro i confini dell’impero.

Ed è sempre a Firenze che Battisti ha conosciuto la donna della sua vita, Ernesta Bittanti, non solo fedele custode della sua memoria, ma prosecutrice irriducibile dell’impegno civile, culturale e politico che condivideva con il marito.

Infatti, l’interesse scientifico che Battisti nutriva andava di pari passo con la sua attività di propaganda di quei valori del Risorgimento che vedeva sintetizzati nel socialismo al quale aveva aderito nella convinzione che senza la partecipazione di un forte movimento popolare non sarebbe stato possibile portare avanti la causa dell’autonomia della minoranza italiana in seno all’impero austro-ungarico. Pertanto, si adoperò con ogni mezzo affinché in Trentino i ceti meno abbienti acquisissero la consapevolezza di essere parte di un gruppo etnico e linguistico con una tradizione

ed una storia che aveva forti legami con la cultura italiana, attraverso conferenze, riviste e la lotta per l’istituzione di un centro di ricerca e di attività scientifica che fosse di lingua e cultura italiane.

Il suo impegno nelle valli del Trentino fu coronato con l’elezione a deputato, sia al parlamento di Vienna nel 1911, che alla dieta del Tirolo, poi, alla vigilia della guerra. Ma le forti resistenze ed il violento ostruzionismo che trovò il progetto di un’università italiana, insieme alla deludente esperienza parlamentare, dove poté assistere alla deriva del governo su posizioni sempre più oppressive sulle questioni di politica interna e militariste su quelle di politica estera, fecero disperare Battisti circa la possibilità che il regime imperiale potesse evolvere pacificamente e gradualmente verso un assetto più liberale.

È in questo contesto che l’irredentismo si fece sempre più decisamente strada in Battisti: la liberazione delle nazionalità oppresse era ormai possibile solo con lo smembramento dell’impero

asburgico ed in questa logica le frontiere che l’Italia poteva rivendicare dovevano limitarsi a comprendere solo i territori abitati da popolazioni italiane.

Allo scoppio della guerra fare ritorno in Italia fu, dunque, una scelta inevitabile.

A distanza di un secolo da quegli eventi la testimonianza di Battisti resta di grande attualità, oggi più di ieri, in un’epoca di grande smarrimento, dove mancano proprio quei riferimenti che possono essere di aiuto per superare i momenti di maggiore difficoltà.

Mosso da grandi idealità, ciò, tuttavia, non gli impedì di fare scelte pragmatiche, dettate dalla necessità di ottenere risultati concreti.

Per questo, sia con le diverse anime del socialismo, che con le altre forze politiche ed i diversi movimenti irredentisti, cercava di soffermarsi più sugli elementi che potevano unire, che su quelli che potevano dividere, per poter portare avanti un’immediata collaborazione ed evitare situazioni difficili che avrebbero potuto precludere quelle future.

Infine, lui insieme a tanti della sua generazione, ci ricordano che senza generosità e spirito di sacrificio non si può pensare di costruire qualcosa di duraturo.

Archiviato in:Tribuna

Per non smarrire i valori nazionali

24/12/2015 da Alberto Lopez

Giovedì  17 dicembre 2015 nella sala concerti di Casa Martelli di Firenze si è tenuta la conferenza “Le bandiere di Dante. L’inaugurazione del monumento a Dante in Firenze Capitale e l’identità nazionale” promossa dal Comitato fiorentino per il Risorgimento in collaborazione con  Il Museo di Casa Martelli, l’Associazione Insieme per San Lorenzo in occasione della prima edizione della settimana delle Associazioni culturali fiorentine.

Dante 2Dopo un omaggio a Paola D’Agostino, neo direttrice del Museo Nazionale del  Bargello di Firenze, sono intervenuti Laura Cirri e Sergio Casprini che ha curato nel 2013 insieme ad Alessandro Savorelli e Rodolfo Galleni la mostra dei documenti che riproducono le effigi dei numerosissimi vessilli che parteciparono all’evento, il quattordici maggio 1865, in rappresentanza di comuni, scuole istituzioni e associazioni di ogni parte della penisola.

Casprini ha rievocato la cerimonia di inaugurazione della statua di Dante posta al centro di piazza Santa Croce (in seguito rimossa incautamente nell’attuale posizione)  soffermandosi sul ruolo dei monumenti nell’assetto urbanistico dell’epoca,  citando lo storico dell’arte Mario De Micheli: «In Italia nell’Ottocento quello dei monumenti è stato un fenomeno di grande rilievo, una scultura espressione della borghesia risorgimentale ed infatti sarà dopo il ’60 che le statue nelle piazze si moltiplicheranno, con il compito di svolgere una funzione pedagogica nei confronti del popolo e di sviluppare presso di esso una coscienza nazionale…” ( La scultura italiana dell’Ottocento UTET 1992)

A riguardo, per inciso, non si può non ricordare la gradita guida “Firenze, percorsi risorgimentali” di Silvestra Bietoletti e Adalberto Scarlino (Lucio Pugliese edizioni) a cura del Circolo Piero Gobetti utile per maturare anche e soprattutto oggi tale coscienza.

Di seguito, Cirri in modo conciso ed efficace ha ripercorso le vicissitudini delle bandiere che sfilarono in corteo e di cui si erano perse le tracce fino al recente ritrovamento nei depositi di Palazzo Pitti. Per alcune di queste è stato possibile scattare una foto, le più attendono un delicato e oneroso restauro. Di queste si hanno le copie acquerellate in un inedito manoscritto della Biblioteca Nazionale

In particolare, hanno suscitato curiosità quelle dei gonfaloni con gli stemmi delle città di Venezia e di Roma che all’epoca erano ancora territorio straniero come ci ricorda, fra l’altro, il prezzo maggiorato (di ben il settanta per cento!) con cui veniva distribuito in quei luoghi il “Giornale del Centenario di Dante Alighieri” pubblicato per circa un anno, a cavallo tra il 1864 e il 1865, in occasione dei preparativi per la festa del centenario del Poeta. Fatto di difficile concezione per noi abituati ad un’unità e integrità nazionale, che, allora, ben lungi dall’essere scontata doveva, invece, essere conquistata. Il ritrovamento di questo significativo materiale ha motivato anche un convegno che ha avuto luogo a Palazzo Vecchio e di cui è stato pubblicato un volume che ne raccoglie gli atti: “Le Bandiere di Dante” (Edizioni il Campano).

Questa edizione di pregevole qualità a cura di Cirri, Casprini e Savorelli si articola in tre parti:

1) “La festa in piazza Santa Croce del 14 maggio 1865” con interventi di Sergio Casprini (“L’inaugurazione della statua di Dante in Piazza Santa Croce nel 1865: celebrazione di Firenze capitale ed educazione ai valori nazionali”), Alessandro Savorelli (“Le bandiere della festa di Dante: un plebiscito per immagini”) e Laura Cirri (“Una parata di simboli per la giovane Patria”);

2) “Musei, archivi, biblioteche: la memoria dell’evento” con interventi di Laura Lucchesi (“Bandiere per l’Italia: una storia ritrovata”) e Maria Letizia Sebastiani (“La festa di Dante nei manoscritti della Biblioteca Nazionale”);

3) ”Dante e il Risorgimento” con interventi di Cosimo Ceccuti (“Dante padre della nazione”) e Carlo Sisi (“Santa Croce e il mito di Dante”).

Arricchisce l’opera il Catalogo della mostra “Le Bandiere di Dante”, Firenze Biblioteca Nazionale Centrale, tribuna dantesca 15-29 ottobre 2013.

La conferenza si è conclusa con un brindisi per gli auguri di Natale. Auguri che è opportuno continuare a fare se vogliamo conservare memoria del significato di questa ricorrenza. Non c’entra la religione, ma la storia, duemila anni di storia occidentale. E se ci si ferma a riflettere senza pregiudizi e pretesti polemici ci accorgeremmo che ricordare la nascita di Gesù secondo quanto riportato dalla tradizione evangelica è più motivo di unione e rispetto verso tutti che di divisione.

Poi ognuno festeggerà come meglio crede, se crede.

 

Archiviato in:Tribuna Contrassegnato con: dante alighieri, Firenze capitale, le bandiere di dante, Palazzo Pitti, piazza santa croce

Di che reggimento siete, fratelli Cavriglia e i suoi Caduti nella Grande Guerra

02/10/2015 da Alberto Lopez

copertinaA cura di Antonella Fineschi e Filippo Boni

Prefazione di Leonardo Degli Innocenti o Sanni

Anno     2015

pagg.     272

Edizioni Settore 8

Prezzo   € 16.

 

 

La memoria restituita

Venerdì 18 settembre è stato presentato a Firenze, presso la Sala del Gonfalone di Palazzo Panciatichi, alla presenza del presidente del consiglio regionale della Toscana Eugenio Giani, il libro a cura di Antonella Fineschi e Filippo Boni dal titolo “Di che reggimento siete, fratelli?”, un richiamo esplicito a “Fratelli” – poesia dal forte potere evocativo scritta da Giuseppe Ungaretti durante la sua esperienza di volontario sul Carso – che fin da subito sollecita l’attenzione del lettore.

Sottotitolo del libro: “Cavriglia e i suoi Caduti nella Grande Guerra” (2015, pagg. 272, edizioni Settore 8, 16 €).

Cavriglia è uno di quei bei piccoli comuni che si possono trovare visitando il Valdarno aretino.

Ma per quali ragioni leggere questo testo fra i tanti pubblicati per la ricorrenza dei cento anni dall’ingresso dell’Italia nel primo conflitto mondiale? Perché «Cavriglia è l’Italia e l’Italia è Cavriglia, anche per quanto riguarda la Grande guerra. Solo riconoscendosi compiutamente in un fatto “mondiale” si potrà valorizzare la nostra specificità» (Antonella Fineschi, “Le ragioni di una ricerca”); perché le identità e le civiltà si erigono dal proprio passato, ignorarlo, quindi, significa anche ignorare un po’ se stessi. La storia del passato si scrive con i documenti e in tal senso questo libro assolve in pieno questo scopo. Di più: questo è un lavoro che riesce nel non facile risultato di essere originale nel suo genere. Partendo dalla volontà di restituire il giusto ricordo a tutti i caduti di Cavriglia, il contributo dei diversi autori produce un’opera corale che si muove fra le vicende minute delle persone coinvolte e gli eventi epocali che caratterizzarono il conflitto con una ricchezza di dettagli densi di significato che  rendono tale opera preziosa. Si spazia, infatti, dalla sconcertante testimonianza dei “cestini di guerra” all’introduzione delle pratiche di stabilizzazione clinica dei feriti negli ospedali da campo, i cui principi sono tuttora in vigore nei reparti di emergenza (Vittorio Cecconi, “Medicina di guerra”). Ad  un quadro generale del conflitto, completato nel breve spazio di una ventina di pagine, che va dalle cause della guerra ai principali luoghi di battaglia, passando per le posizioni e i contributi delle diverse componenti della società italiana – incluse quelle soventemente trascurate – fino alle fonti: lettere e canti (Adalberto Scarlino, “La Grande Guerra”) segue la descrizione del clima socio-economico e culturale del Valdarno alla vigilia della guerra. Clima che riflette, al di là delle singole specificità, quello dell’intero Regno d’Italia: per esempio, il coinvolgimento nel dibattito sull’ingresso  nel conflitto delle associazioni e dei circoli costituitisi in seguito alle nuove modalità di produzione di beni e di servizi o la presa di posizione dei  giornali locali dell’epoca (Paola Bertoncini, “Il Valdarno alla vigilia del conflitto”).

Ma la ricchezza del libro non si limita ai contenuti, coinvolge anche i generi. Si passa da quello scientifico per definire modalità e criteri che danno rigore al lavoro di ricerca effettuato sui caduti di Cavriglia (Antonella Fineschi e Sascha Bottai, “I caduti di Cavriglia”) o sui prigionieri di guerra (Andrea Ventura, “I prigionieri austro-ungarici”) a quello romanzato per narrare le vicende di un soldato austriaco che non fece più ritorno in patria, ma per ragioni di natura decisamente diversa da quella di suoi tanti altri commilitoni…. (Filippo Boni,”La storia di Martin Pinter”).

Vi è molto altro ancora, che lascio alla curiosità del lettore. Il tutto arricchito da un’ampia e accurata riproduzione di documenti e immagini. Immagini   parole che, nel loro insieme, non possono non far ritornare alla memoria il primo “Heimat” di Edgar Reitz e forse ha proprio ragione Guido Ceronetti nel ritenere che la Grande guerra, in realtà, non sia mai terminata se è vero, come ci mostra Sascha Bottai, che «bastano cinque parole ad evidenziare quel che ci lega tragicamente ad un passato che vogliamo sentire lontano, ma che ci parla, appena abbiamo cura di stare a sentire» (“Il fascino dei vecchi registri”).

 

Archiviato in:Pubblicazioni

1865-2015: Firenze tra passato e futuro

24/04/2015 da Alberto Lopez

Oggi, come allora, Firenze è oggetto di grandi opere pubbliche. Sono altrettanto indispensabili (aeroporto)? Ma soprattutto, è necessario che siano realizzate così come è stato deciso (stazione ferroviaria, stadio)?

I viali del PoggiTre sono state le capitali d’Italia: dopo Torino e prima di Roma, dal 1865 al 1870 è toccato a Firenze. Quest’anno nel capoluogo toscano, per celebrare il centocinquantesimo anniversario della proclamazione di Firenze Capitale sono state promosse diverse iniziative, fra le quali il convegno di studi tenutosi mercoledì scorso presso l’Auditorium dell’Archivio di Stato di Firenze “Tradizione storica e mutamento dei confini culturali”. Coordinati da Carla Zarilli direttrice dell’Archivio, sono intervenuti Giovanni Cipriani ( “Filosofia e filologia negli anni di Firenze Capitale” ), Fabio Bertini ( “Scienza e Società in Firenze Capitale” ), Alessandra Campagnano ( “Associazionismo e volontariato a Firenze dopo l’Unità d’Italia” ) e Sergio Casprini ( “La ridefinizione della forma urbana di Firenze Capitale tra resistenze romantiche ed esigenze di modernità” ). Lungi dall’essere un resoconto dettagliato degli interventi si può, tuttavia, rilevare brevemente che, pur nella diversità degli argomenti trattati, è emerso in modo unanime che Firenze negli anni Sessanta del XIX secolo non fu solo oggetto di grandi ristrutturazioni urbanistiche, ma anche al centro dell’attività intellettuale e associativa nazionale (oltreché politica, come ovvio, in ragione del suo nuovo e breve status). Infatti, è presso l’Istituto di Studi Superiori, specchio dei valori dell’Italia unita e della cultura risorgimentale e il Museo della Scienza, entrambi ampliati in dimensioni e funzioni proprio in quegli anni, che furono dibattute accesamente le tematiche scientifiche, gnoseologiche e sociologiche più in auge all’epoca: il darwinismo, il positivismo, l’uso della vivisezione in fisiologia con l’inevitabile confronto fra determinismo materialista e libero arbitrio. Non solo, l’affluire delle maestranze per gli ampliamenti della città e delle professionalità per l’esercizio delle funzioni politiche in qualità di capitale contribuirono, in una realtà già ben affermata come quella delle associazioni fiorentine, alla nascita di nuove forme di società di mutuo soccorso di tipo corporativo che negli anni successivi avranno successo anche nelle altre regioni italiane. Una su tutte la Fratellanza Artigiana, prima forma di esercizio della democrazia nella gestione associativa, è stata esempio di filantropia laica, dove l’assistenza medica è stata condotta con rigore scientifico. Come detto durante il convegno e testimoniato dall’ampia documentazione esposta nella mostra “Una capitale e il suo architetto” (fino al 6 giugno all’Archivio di Stato di Firenze, da vedere), gli interventi di allora facevano parte di una visione fiduciosa nel futuro, pianificata con grande accuratezza dall’architetto Giuseppe Poggi e rispondevano alle reali necessità della città: la realizzazione dei Lungarni Torrigiani e Serristori proseguivano quelli già avviati dai Lorena per la messa in sicurezza dell’Arno in seguito alla piena del 1844 e, più in generale, una regimazione delle risorse idriche assicurarono l’acqua alla città che si stava ampliando, schiudendo il nucleo medievale con la creazione di nuovi spazi (dove non doveva mancare il verde pubblico) e di una nuova rete stradale a cui si deve ancora oggi una certa viabilità a Firenze. Anche il viale dei Colli che culmina con il Piazzale Michelangelo nel panorama di Firenze famoso nel mondo si deve al progetto del Poggi. E a lui si deve molto altro ancora. Qui basti ricordare che nel suo lavoro è riuscito nel non mai facile obiettivo di conservazione della memoria e di inserimento del nuovo. Oggi, come allora, Firenze è oggetto di grandi opere pubbliche. Sono altrettanto indispensabili (aeroporto)? Ma soprattutto, è necessario che siano realizzate così come è stato deciso (stazione ferroviaria, stadio)? Oppure esistono (e ci sono) alternative meno costose che incidono meno su vita e tessuto urbani e, quindi, rispondono meglio alle vere necessità dei fiorentini e alle tasche degli italiani tutti?

Archiviato in:Tribuna Contrassegnato con: Firenze capitale, mondo

Barra laterale primaria

il Comitato Fiorentino per il Risorgimento
è associato al Coordinamento nazionale Associazioni Risorgimentali FERRUCCIO

L’editoriale del direttore

La sempiterna questione meridionale

Video

Ubaldino Peruzzi Sindaco, il video integrale del Convegno

Prossimi appuntamenti

I Garibaldi dopo Garibaldi

06/02/2023

“Mazzini in Ucraina” alle Oblate di Firenze

25/01/2023

Lettere al Direttore

La coscienza ecologica tra passato e presente

07/12/2022

Focus

Quei ragazzacci delle riviste

03/02/2023

Tribuna

Il PASSATORE, mito della Romagna

26/12/2022

Luoghi

LA FORTEZZA DEL RISORGIMENTO A BRESCIA

23/01/2023

Mostre

ST. JAVELIN

17/01/2023

Rassegna stampa

L’ERRORE DI SALVEMINI

27/01/2023

Pubblicazioni

I Garibaldi dopo Garibaldi

20/12/2022

RisorgimentoFirenze.it nella tua mail

E' possibile ricevere un messaggio e-mail ad ogni nuova pubblicazione sul nostro sito.
Basta inserire il proprio indirizzo di posta elettronica nella casella sottostante. Il servizio è gratuito e può essere interrotto in ogni momento.

Unisciti a 87 altri iscritti

Footer

Archivio articoli

Archivio rubriche

Area amministrativa

  • Accedi
  • Feed dei contenuti
  • Feed dei commenti
  • WordPress.org

Blogroll

  • Arte del Poggio
  • Comitato livornese per la promozione dei valori risorgimentali
  • PensaLibero.it, quotidiano on line dei laici e dei liberali della Toscana.
  • Risorgimento Toscana
  • Sito ufficiale delle celebrazioni per il 150° anniversario

Direttore Sergio Casprini | Responsabile della Comunicazione Irene Foraboschi | Webmaster Claudio Tirinnanzi

 

Caricamento commenti...