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Niente cancel culture, sarà l’incuria ad abbattere le statue del Gianicolo

30/12/2021 da Sergio Casprini

 

Adriano Sofri

Il Foglio Quotidiano 29 dicembre 2021

 

Caro sindaco Roberto Gualtieri, desidero unire la mia voce alle molte altre che chiedono di metter fine all’incresciosa situazione del Gianicolo e dei suoi più famosi monumenti, le statue equestri di Giuseppe e Anita Garibaldi. Il Garibaldi a cavallo, 25 metri su una base di 15, scolpito da Emilio Gallori e inaugurato il 20 settembre 1895. Il 7 settembre del 2018 fu colpito da un fulmine, evento di timore e tremore, e da allora è folgorato, le lastre scolpite del suo basamento riverse al suolo, le transenne attorno miste a spazzatura e ferraglia che mortificano gli sguardi dei pellegrini e costringono gli automobilisti a una gimkana incazzata. C’è scritto “Lavori in corso”, ma non è vero. Appena più in là, hanno ceduto la cavalcatura di Anita e l’intero suolo, sicché da anni il cavallo temerariamente impennato poggia su un trespolo di tubi Innocenti, e anche qui le auto… E si tratta, com’è noto, di una via di intensa comunicazione.

Oltre che dell’itinerario per l’ospedale pediatrico del Bambin Gesù; a non ricordare Sant’Onofrio e quercia e tomba di Torquato Tasso, sulla quale Giacomo Leopardi venne e “ci piansi: il primo e l’unico piacere che ho provato a Roma”. Le mie compagne e compagni di liceo – il Virgilio, dalle cui finestre si guardava in faccia Garibaldi e viceversa – continuano, con la guida di Tonino Cutuli e Massimo Capoccetti, a visitare e presidiare il Gianicolo e le sue tappe: l’hanno appena rifatto, mascherine e distanze. E pochi luoghi hanno una custodia civica della loro memoria come il Gianicolo e Monteverde: l’associazione Amilcare Cipriani e il Comitato Gianicolo, oggi unificati ( comitatogianicolo. it), conducono una fervida attività di studio, informazione e commemorazione, in cui sono coinvolte, coi cittadini di Monteverde, innumerevoli scolaresche.

All’Associazione amici di Righetto si deve, nel 2005, il monumento a Righetto, il dodicenne orfano trasteverino che in quel 1849 come tanti coetanei e tante popolane spegneva a mano le micce delle bombe dei francesi, e ci esplose sopra con la cagnetta Sgrullarella.

Non penso certo che lei non sia informato di tutto ciò e molto altro: lei vive addirittura a Monteverde Vecchio, cammina a Villa Pamphilj, ed è a suo modo uno storico, e il suo assessore alla cultura lo è a sua volta, e c’è un assessore alla Memoria. E immagino che lei condivida la convinzione che fra le accezioni migliori dello scivoloso nome di patriottismo ( la migliore, direi) stanno la Repubblica romana del 1849 e i suoi luoghi, la Porta e il convento di San Pancrazio, Villa Corsini, Villa Doria Pamphilj, Villa Aurelia, il Vascello, Villa Spada, Villa Sciarra, e il Mausoleo Ossario ( chiuso)… Nel 2004, per l’inaugurazione dell’itinerario garibaldino, Carlo Azeglio Ciampi lo spiegava così: “Il legame che stringe l’Italia e il suo Risorgimento all’Europa, il carattere universale dei diritti dei popoli, sono ricordati dal monumento all’eroe dei due mondi che sovrasta il Gianicolo, lì dove si svolse l’estrema difesa della Repubblica. Sulle pendici del colle sono accolte ora anche le spoglie di Goffredo Mameli e le ‘ Urne dei forti’ accorsi a difendere Roma italiana”. Gli scolari in visita al parco del Gianicolo scoprono con una certa stupefazione che il Mameli dell’inno era uno morto là, combattendo, a 21 anni.

Quel gran Garibaldi – “Alto, a cavallo, mentre il sol dilegua / dietro i templi dell’urbe, alla Coorte / Garibaldi parlò: Nessuna tregua! / Lascio Roma, che cede oggi al più forte / … / V’offro fame, battaglie, agguati, morte…” ( Giovanni Marradi, Rapsodie garibaldine) – è ridotto dunque al rango di un barbone equestre. Anita è messa peggio. Sento che anche il Belvedere, e il muro sul quale è inciso il testo dei 69 articoli della Costituzione della Repubblica romana, non sono in forma. Lei, gentile sindaco, avrà letto che Carlo Verdone si era sentito offrire la candidatura a sindaco, corredata da valutazioni che lo davano oltre il 70 per cento di gradimento – del tutto verosimili – e si era guardato dall’accettare, affezionato a quello che sa fare meglio, cinema e ora anche scrittura. Dunque bisognerebbe dedicargli una speciale attenzione, quando racconta: “Dovevo girare una scena della serie ‘ Vita da Carlo’ al Gianicolo. Chiesi alla Raggi l’autorizzazione e mi rispose che c’erano tre sovrintendenze da consultare. Possibile? Il fulmine che ha colpito la statua di Garibaldi l’ha colpita sei anni fa. Perché dobbiamo sempre fare questa brutta figura coi turisti?”. Ho orecchiato la voce secondo cui l’inerzia sulla rovina delle due statue ( e non parlo del resto della statuaria gianicolense, compresi i busti, né della statuaria naturale composta degli alberi e del resto della vegetazione) si debba a dissensi fra le soprintendenze: ridicola eventualità, che andrebbe ignorata se non irrisa, e direi che il ferrarese e risorgimentista ministro della Cultura darebbe man forte.

Non voglio pensare che l’incuria con cui si infierisce sulle statue gianicolensi sia un modo di fatto per emulare la cultura della cancellazione. Non mancherebbero gli appigli. Il monumento- tomba di Anita a cavallo fu inaugurato nel 1932 dalla famiglia reale e da Mussolini. Erano appena stati traslati i resti di lei, morta ventottenne, da Nizza a Staglieno e infine al Gianicolo, dopo lunghi negoziati. Si dice che Mussolini avesse personalmente ordinato il complemento materno alla figura della guerriera, che con la destra levata impugna un pistolone e con la sinistra tiene briglia e neonato Menotti: ma la postura era già in un bozzetto del 1907 di Carlo Fontana. In realtà lo scultore, Mario Rutelli, era alle prese con il progetto della statua fin dal 1906. Imputabile di aggiustamento maschilista è anche che Anita cavalchi all’amazzone, mentre era stata davvero una forte cavallerizza nel suo Brasile e pare che da lei Garibaldi avesse imparato a stare in sella. Obiezioni infatti sono già venute da persone di teatro e d’arte ( così in una performance della peruviana Daniela Ortiz nello scorso settembre): ma critica storica e artistica ai monumenti e inerzia che li manda in malora dovrebbero restar separate. Così pensa Francesco Rutelli, che è di famiglia: “Il mio bisnonno ha fatto il monumento ad Anita Garibaldi, al Gianicolo, e Mussolini impose che Anita – che raffigura mia nonna Graziella, perché non c’è un’iconografia di lei – fosse rappresentata cavallerizza e combattente, ma anche madre e che allattasse il figlio”.

Nel 2011, per il 150° dell’unità d’Italia, c’era stato un restauro del Garibaldi e delle altre sculture del Gianicolo: Anita, il Faro (“degli italiani d’argentina”, 1911), Mamiani, Ciceruacchio spostato dal lungotevere, e gli 83 busti marmorei ( uno solo femminile: Colomba Antonietti, 1826- 1849, che del resto per combattere aveva tagliato i capelli e si era vestita da bersagliere, la uccise una cannonata) che qualche fervido imbecille aveva decapitato un anno prima, e le stele e le lapidi. ( L’anno scorso il comune di Ravenna stanziò 71 mila euro per ripulire e sistemare le sue statue di Garibaldi e Anita, tirandosi addosso la sua parte di polemiche). Leggo che nell’ottobre 2020 è stato approvato definitivamente dalla Soprintendenza di stato il progetto di restauro del monumento a Garibaldi: “L’importo da stanziare nel bilancio di previsione 2021 è di 460.804 euro. L’intervento prevede il consolidamento e ripristino della parte superiore del basamento con ricomposizione delle parti cadute, il restauro delle superfici bronzee e lapidee, e un sistema di protezione dalle scariche atmosferiche costituito da una gabbia di Faraday lungo il basamento”. L’ottobre 2020 era un anno e due mesi fa.

Ecco, gentile sindaco. Prenda a cuore l’affare, pro domo sua, del resto. Ne guadagnerà Roma, e anche lei. E se no, lei ci rimetterà di più.

 

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