Tutto è pronto. Tra poche ore sveglia. È venuto il tempo di partire. Dopo le feste, i suoni, i canti, le bandiere, i commoventi evviva di questi due giorni, Palermo dorme ma con un occhio solo”. È difficile trovare, tra la letteratura sportiva, qualcuno che abbia saputo descrivere meglio di Dino Buzzati il senso di attesa. Il bellunese aspettava la prima tappa del Giro d’Italia, nel 1949, per il Corriere della Sera – era cronaca la sua, prima ancora che letteratura, ma curiosamente potremmo anche affermare il contrario –: via Solferino lo aveva mandato a seguire una corsa di rinascita per il paese, dove la devastazione lasciata dalla guerra era ancora visibile, scavata nelle anime. Quel codazzo di ciclisti in transito, però, portava con sé speranza e bei sogni.
Fa un certo effetto leggere quell’articolo nei giorni di settembre in cui ricomincia la scuola: un altro codazzo affolla ora le strade, in un ritorno tra i banchi che ha nel Dna da sempre fiducia e slancio. Certo, l’adolescenza appare sempre più come un’età fragile e complessa, e il mondo della scuola non di rado si mostra distante, incancrenito, desueto. Eppure, nessuno si toglierebbe di dosso la speranza di credere che più di uno studente, la notte del primo giorno di scuola, dorma “con un occhio solo”, al pari dei ciclisti di Buzzati, e che davanti abbia la giusta fatica da sudarsi per tagliare i suoi traguardi. Ecco, la metafora potrebbe andare avanti: i chilometri sono i giorni di scuola da percorrere, le salite verifiche e interrogazioni. Poi ci sono pioggia, polvere, forature… Ma c’è un passaggio dell’articolo di Buzzati che battezza una promessa grande, quella che ogni ragazzo o ragazza avrebbe bisogno di sentirsi dire: “Ci sono tra di voi dei formidabili guerrieri. Quando si parte per una nuova guerra, anche nel cuore più umile possono entrare speranze immense. Non si sa mai”. Perché ogni giovane ha davanti a sé un inizio, e attende adulti fiduciosi che sappiano offrirgli una ragione grande per cui pedalare. “Chi si coprì di gloria nel passato può essere battuto al primo scontro. E chi se ne restò oscuro nelle retrovie forse balzerà in testa come aquila. E poi ci sono le nuove reclute, i ragazzi sconosciuti ai quali può darsi il destino abbia già fatto cenno. Tutto veramente ricomincia, tutte le carte sono ancora coperte e una illusione ugualmente intensa fluttua senza parzialità sopra ai partenti”.
Che boccata d’ossigeno – per chi è insegnante, educatore, genitore – poter guardare ai propri figli o ai propri alunni in questo modo? Il finale di Buzzati è una promessa, che giace nel mistero che ogni ragazzo in corsa rappresenta: “Il prologo è finito. Si apre la prima pagina del romanzo. Si vede una lunga strada sotto il sole, da una parte e dall’altra due siepi di umanità in delirio, e in fondo, che si scorge appena, un cosino scuro che si avanza. Dio, come vola! È un uomo in bicicletta a testa bassa, solo, lanciato alla vittoria. Chi è? Chi è? un rombo laggiù si approssima, e l’urlo della folla sembra un tuono. Chi è? Ma non si può rispondere. Troppo lontano è ancora”.
EMMANUELE MICHELA Il Foglio Quotidiano 14 settembre 2024