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Festa dell’Indipendenza Toscana

26/04/2020

Il 27 aprile 1859 il granduca Leopoldo II di Lorena lasciò Firenze e si insediò il Governo provvisorio della Toscana: la Toscana divenne indipendente dal regno degli Asburgo-Lorena e dopo 290 anni di Granducato, sceglie l’indipendenza e svolge un ruolo decisivo nel Risorgimento.  Per decisione della Regione Toscana dal 2016  la data del 27 APRILE è diventata  la Festa dell’Indipendenza Toscana da celebrare ogni anno  in tutto il territorio della Regione.

Il Comitato Fiorentino per il Risorgimento  celebra  la Festa della Indipendenza Toscana 2020, lunedì 27 aprile, con l’intervento di Christian Satto, Coordinatore Toscano per la Promozione dei Valori Risorgimentali e professore di Storia presso l’Università per stranieri di Siena

XXVII aprile: un anniversario nazionale

Il 27 APRILE ha sempre costituito per la Toscana una ricorrenza patriottica da celebrare in pompa magna per ricordare, e con l’occasione ravvivare, la chiara scelta italiana compiuta dai fiorentini scesi in piazza in quel medesimo giorno del 1859. La moltitudine raccoltasi nell’allora piazza di Barbano, oggi dell’Indipendenza, con la sua manifestazione nettamente antiaustriaca e filoitaliana costrinse Leopoldo II d’Asburgo-Lorena, rimasto anche privo del sostegno delle truppe guadagnate alla causa nazionale, ad abbandonare Firenze per cercare riparo nei domini sotto il controllo della sua famiglia. Il Granduca pensava ad una riedizione del lungo 1848, conclusosi col suo ritorno a Firenze; si sbagliava poiché non avrebbe più visto la sua capitale

Il 1859, infatti, fu un anno di grandi mutamenti politici.

«In questo anno a quali cambiamenti dovemmo assistere! Passammo senza commuoverci, senza atterrirci, senza sgomentarci da un estremo all’altro: dal governo assoluto alla più larga esplicazione del principio democratico; dalla tirannia del Landucci al suffragio universale; dalla vita gretta e municipale alla vita nazionale piena di vigoria o di speranze. Allora noi acclamavamo a Vittorio Emanuele come a duce supremo della guerra contro l’Austria, oggi lo acclamiamo nostro Re». Così «La Nazione» del 27 aprile 1860, primo anniversario della pacifica rivoluzione, riassumeva il valore epocale della transizione che il 27 aprile del 1859 aveva innescato per la Toscana e per l’Italia, transizione concretizzatasi nel 1861 con la proclamazione dell’Unità sotto lo scettro di Vittorio Emanuele II. Il cambiamento era stato consacrato dal plebiscito dell’11-12 marzo 1860 col quale i toscani, a suffragio universale maschile, vollero entrare a far parte del costituendo Regno d’Italia. La sovranità popolare contrapposta a quella assoluta di un principe, Leopoldo II, che pur legatissimo alla Toscana, della quale si sentiva il primo figlio, era divenuto semplicemente un austriaco e basta. I toscani, infatti, nell’idea d’Italia erano riusciti a trovare il motivo per una cooperazione politica fra il liberalismo nobiliare più convintamente unitario, quello di Ferdinando Bartolommei, e il mondo democratico di ispirazione mazziniana, guidato a Giuseppe Dolfi.

Nel corso degli anni il 27 aprile, dunque, è stato celebrato in Toscana, particolarmente a Firenze, come il giorno dell’inizio della fase decisiva del Risorgimento, la data in cui commemorare il contributo venuto dall’antico Granducato al processo unitario. Un passo difficile perché costringeva a mettere in secondo piano l’antica sicurezza del piccolo Stato, fatto forte dalla tradizione, verso un qualcosa di nuovo, vago nelle forme che avrebbe assunto, ma sentito come un’esperienza progressiva che la cultura, della quale la Toscana era portatrice, avrebbe sicuramente reso migliore. Giornata ideale per l’inaugurazione dei monumenti ai patrioti – si pensi, solo per fare un esempio, al 27 aprile 1898 quando, alla presenza dei Sovrani, vennero inaugurate solennemente proprio in piazza dell’Indipendenza le statue di Bettino Ricasoli e Ubaldino Peruzzi – essa fu uno straordinario laboratorio di costruzione di una memoria più larga, capace di uscire dalle visioni strettamente di partito, per proporsi come un qualcosa non tanto conciliativa, quanto articolata.

Nel corso degli anni, tuttavia, tra le righe si legge quasi un sentimento di rimpianto per una «toscanina», oasi felice, al riparo da tutti i conflitti, improvvidamente lasciata affogare nella marea montante dell’Unità. Il «finis Etruriae», per citare Marco Tabarrini, forse era stato proclamato con troppa fretta. Di qui un racconto della giornata tesa ad avvalorare maggiormente l’identità toscana dei protagonisti, mettendo in secondo piano la loro valenza nazionale. Una sorta di inversione dei fattori che avevano originato la pacifica rivoluzione del 1859.

Il XXVII APRILE, per come lo avevano vissuto i protagonisti, andava valorizzato in primo luogo per la generosità con cui i toscani iniziarono un processo che li avrebbe portati a lasciarsi alle spalle la piccola patria per quella più grande che si stava costruendo. Non il rimpianto per la Toscana, ma la visione italiana dei toscani: questo è l’elemento da sottolineare della transizione iniziata con la grande manifestazione in piazza di Barbano.

 Personalmente, vista anche la difficile situazione nazionale che stiamo attraversando, credo che si debba ricordare questo XXVII aprile, più nazionale e meno toscano,  perché, pur con tutti i limiti e le contraddizioni propri dei fenomeni storici, ci ha proiettato in una dimensione nuova: il percorso di maturazione di un senso di cittadinanza più ampio, allora italiano, oggi europeo.

 Christian Satto

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