La Fondazione Primo Conti a Fiesole
La Fondazione Primo Conti si trova in via Giovanni Duprè, 18, Fiesole FI
La Fondazione Primo Conti ha sede nella quattrocentesca Villa “Le Coste” che per molti anni fu l’abitazione del Maestro. Acquistata nel 1945, la villa è divenuta sede della Fondazione quando quest’ultima venne istituita, grazie alla donazione della famiglia Conti, come Centro di Documentazione e Ricerche sulle Avanguardie Storiche, nel 1980. Il Centro ha rappresentato la realizzazione del sogno a lungo coltivato da Primo Conti “di conservare il ricordo e la testimonianza dei più importanti movimenti novatori del Novecento“.
La Fondazione si divide in due sezioni:
Il Museo
Il Museo della Fondazione Primo Conti raccoglie sessantatre dipinti e centosessantatre disegni dell’artista fiorentino. Le opere coprono un arco cronologico che si estende dal 1911, l’anno dell’esordio artistico con l’Autoritratto di sorprendente bellezza e “maturità” espressiva, al 1985. Il Museo consente di studiare, attraverso l’opera di Primo Conti, lo sviluppo delle vicende artistiche in Italia e in Europa, nel Novecento. Di questo secolo così ricco di svolte epocali, il Maestro ha colto la linfa vitale. Nelle sale del Museo, il percorso si snoda dagli studi giovanili sulla figura umana, ai precoci interessi per l’arte “fauve”, preludio alla brillante stagione futurista. Conti seppe recepire gli umori più vivi e fecondi del Futurismo dando vita ad una pittura fresca, antiaccademica e ricca di poesia. In seguito, sempre su posizioni di fervida e costruttiva dialettica il pittore accompagnò l’arte moderna nel recupero della forma e delle tecniche espressive. Artista sempre giovane e pronto a mettere in discussione gli esiti espressivi raggiunti, Conti anticipò e visse fino in fondo lo spirito artistico e letterario del suo tempo. Gli ultimi anni della sua vita sono pertanto caratterizzati da una pittura vivace e lirica.
L’Archivio
Nell’Archivio, che si trova al piano superiore della villa, sono conservati numerosi Fondi che costituiscono la sezione documentaria della Fondazione e che appartennero ai protagonisti della scena culturale del primo Novecento: tra gli altri, i ricchissimi archivi di Papini, Conti, Pavolini,Carocci,Contri,Meriano, Ferrero, Viani, Pea, Sanminiatelli, Pratella ed un ricco fondo librario sul Futurismo composto per lo più da prime edizioni. Nel complesso si tratta di un patrimonio di più di centomila documenti, variamente distribuiti fra missive, manoscritti, disegni e foto d’epoca. Il materiale è suddiviso all’interno di ciascun Fondo secondo un ordine alfabetico e cronologico, quotidianamente a disposizione di un pubblico specialistico costituito da studiosi e ricercatori.
Notevole per il suo interesse storico e letterario è anche la ricca collezione di riviste, giornali e periodici futuristi fra cui si ricorda il numero di “Le Figaro” del 1909 in cui uscì il primo manifesto del Futurismo, la raccolta completa dei Manifesti originali del Futurismo, la serie iniziale della rivista “Noi” con le xilografie di Enrico Prampolini, la collezione della piccola rivista fiorentina “L’Enciclopedia”, considerata uno dei rari esempi di Dada italiano. Degna di nota anche la vasta biblioteca, collocata nella sala riservata alla consultazione, che conserva al suo interno numerosi volumi costituiti per la maggior parte da cataloghi di mostre, pubblicazioni di studi inerenti ai movimenti pittorico-letterari del primo Novecento italiano ed europeo, edizioni di carteggi fra i vari personaggi della cultura novecentesca. Le opere sono consultabili ma escluse dal prestito. Si tratta di pubblicazioni che appartenevano al Maestro, acquistate, frutto di scambio con altri Istituti, cataloghi di mostre alle quali la Fondazione ha partecipato come prestatore. Sempre nella sala di consultazione è conservata la collezione di cataloghi e depliant relativa agli anni 1913-1970, parte integrante del Fondo Contri. Il patrimonio librario della Fondazione è costituito inoltre dalla ricca biblioteca del Fondo Gioaccino Contri, dalla biblioteca privata del Maestro e dalle piccole biblioteche annesse ai vari Fondi documentali; complessivamente si tratta di circa tremilacinquecento unità.
Il Museo e l’Archivio rappresentano nel loro insieme un Centro unico in Italia per ripercorrere e ricostruire con rigore scientifico la vicenda dell’Avanguardia storica che tanto profondamente connotò i movimenti letterari e artistici di tantaparte di questo nostro secolo. Obiettivo privilegiato della Fondazione è infatti lo studio, la promozione e la diffusione del patrimonio artistico e letterario legato alla figura del Maestro Primo Conti, affiancato dalla valorizzazione del patrimonio pittorico, letterario, musicale legato al complesso periodo delle Avanguardie storiche. A questo scopo la Fondazione è coinvolta ogni anno in progetti di studio e ricerca finanziati dal Ministero dei beni culturali, dal Consiglio Nazionale delle Ricerche, dalla Regione Toscana, dalla Provincia e dal Comune di Firenze, dal Comune di Fiesole e dall’Ente Cassa di Risparmio di Firenze.
Il Museo Primo Conti:
è aperto al pubblico dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 14, l’ultimo ingresso per la visita del Museo è alle ore 13.
Visite anche il sabato, la domenica e il pomeriggio, per gruppi, previo appuntamento.
Su richiesta, possibilità di una guida in lingua inglese e francese
Per informazioni, costi e prenotazione: tel.055.597095; fax. 055.5978145
segreteria@fondazioneprimoconti.org
Biglietto:
€ 3.00
Canti dei nostri soldati al fronte
DOMENICA 7 OTTOBRE ore 15,30
Abbazia di San Miniato al Monte, Firenze
A cento anni dalla Grande Guerra
IL CORO SOCIALE DI GRASSINA
diretto da
Ginko YAMADA
Esegue
Canti dei nostri soldati al fronte
La nobiltà della Politica
Se non si è portatori di una visione storica e di strumenti di analisi culturale e di un serio e coerente patrimonio di valori e di idealità su cui fondare programmi di governo, la politica si fa asfittica e di corto respiro ed esposta alle degenerazioni, anche in senso morale, del potere quotidiano. La politica mette così a rischio la sua componente ideale e spirituale, la parte etica e umana della sua natura, di cui peraltro essa non potrà mai spogliarsi del tutto…
Thomas Mann Moniti all’Europa 1947
Il vento della antipolitica soffia da alcuni anni nelle società democratiche dell’Occidente, sostenuto da movimenti e partiti populisti in contrapposizione alle tradizionali forze politiche che hanno governato ininterrottamente dalla fine della seconda guerra mondiale.
La crisi economica, il discredito della classe dirigente per casi frequenti di corruzione oppure perché al servizio di fazioni e di interessi di parte e non del bene pubblico, hanno accresciuto le distanze tra popolo ed élite politico-economiche e convinto, anche in Italia, molti cittadini che in democrazia gli eletti siano i “portavoce” della volontà popolare, superando di fatto la rappresentanza parlamentare classica, che è legittimata dal voto sì, ma per fare in piena autonomia gli interessi dell’intera Nazione e non di una parte sia pure consistente di essa.
Se guardiamo infatti alla storia dei parlamenti europei dopo la fine dell’assolutismo monarchico, i rappresentanti del popolo, a partire dalla costituzione francese del 1791 e poi in tutte le costituzioni dell’Ottocento (compreso lo Statuto Albertino del 1848), progressivamente acquisirono sempre più la rappresentanza politica di tutta la nazione.
E in Italia, infatti, se l’articolo 1 della Costituzione affida la sovranità al popolo, “che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”, l’articolo 67 stabilisce che “ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”. Niente di più distante, quindi, dai diktat dei populisti o dei sovranisti.
Oggi più che mai, nella crisi dei valori e degli ideali democratici, non va delegittimata la Politica insieme ai suoi esponenti, ma va anzi rifondata nei suoi valori costitutivi, ridandole quel prestigio che aveva alle origini. Piero Calamandrei scrisse che la politica non è una professione. Il che è ovvio se si vuol dire che non può essere soggetta alla stessa logica degli affari. Ma la nobile arte della politica vuol dire vocazione e alta professionalità. Essa, come dice Max Weber, deve mettere insieme l’etica della convinzione e l’etica della responsabilità, ovvero saper commisurare le finalità con i mezzi disponibili, con lo sguardo addestrato a guardare nella realtà della vita. Se questi sono i tratti distintivi dell’uomo politico, la politica non può essere affidata al dilettantismo. Un dilettantismo e un’impreparazione culturale che portano alla demagogia e al disprezzo delle regole della democrazia e dello stato di diritto.
Una professione, quindi, quella del politico, che deve saper unire la razionalità dei programmi e degli obiettivi con la sincerità e la passionalità di accenti nella difesa del patrimonio di valori e ideali del suo Paese, entrando così in sintonia con i bisogni e i sentimenti non solo dei suoi elettori ma di tutti i cittadini.
Chi invece denigra l’arte della politica e parla in nome del popolo oppresso da fantomatici poteri forti, auspicando forme di democrazia diretta, prepara il terreno (eterogenesi dei fini) a forme di governo illiberali e autoritarie; e forse all’avvento dell’Uomo della Provvidenza.
Sergio Casprini
IL 20 SETTEMBRE 1870
Edmondo De Amicis – Poesie (1882)
IL 20 SETTEMBRE 1870
Si deve vigilare sulle grandi opere, ma non vagheggiare un ideale ritorno al Medioevo!
Caro Direttore,
un breve commento sull’editoriale di settembre sul sito del Comitato Fiorentino per il Risorgimento La Paura della Modernità. (https://www.risorgimentofirenze.it/paura-della-modernita-2/)
Hai perfettamente ragione. I giganteschi passi del gambero che cercano di far fare alla società italiana, vedi l’incredibile vicenda dei vaccini che ha costituito perfino una base elettorale vincente, sono in linea con quanto dici. Quando fu costruita la prima ferrovia in Toscana, la Leopolda tra Firenze e Pisa, i contadini sparavano sulle locomotive convinti che il fumo fosse responsabile dei danni all’uva causati invece dalla peronospera.
Stando a quei cervelli anche la costruzione di una mulattiera sarebbe distruzione dell’ambiente. L’uomo ha modificato il paesaggio per migliorare la vita. Ciò non vuol dire che non si debba vigilare sulle distruzioni reali delle risorse vitali, ma neppure vivere in un continuo ideale ritorno al medio evo mentre gli altri paesi hanno già costruito da tempo infrastrutture.
C’è anche il risvolto della corruzione, è vero ed è reale, ma questo attiene anche al vuoto di democrazia che fa sparire i controlli. In più la foia delle privatizzazioni -all’inseguimento della deregulation reaganiana – ha fatto sì che lo Stato perdesse il controllo dei settori strategici e cioè facesse il contrario di quando il centro-sinistra nazionalizzò l’energia elettrica. Fosse stata in mano ai privati, per qualche decennio ci sarebbero state zone del paese senza luce perché alle società non conveniva cablare.
Per darsi un’idea è come la perdita del calcio avvenuta in questi giorni (per inciso, ho disdetto il pacchetto Sky in segni di protesta e seguirò il mio Livorno alla radio).
Cari saluti,
Fabio Bertini
Paura della Modernità
L’evo moderno è finito. Comincia il medio-evo degli specialisti. Oggi anche il cretino è specializzato Ennio Flaiano
La tragedia di Genova con il crollo del viadotto Morandi e la drammatica perdita di vite umane al di là della doverosa ricerca di verità sulle responsabilità politiche e penali di questo disastro pone delle domande su cui è necessario riflettere e dare risposte non emotive né tantomeno ideologiche.
In primis capire perché negli ultimi anni il nostro Paese che aveva scommesso sulla sua modernizzazione, di cui le infrastrutture come le autostrade e i loro viadotti, le linee ferroviarie e le gallerie, i gasdotti e le relative condotte sottomarine sono state e sono la nervatura principale, ha smesso di pensare in grande ed alle grandi opere.
E’ diventata l’Italia del fare e disfare. Dell’Alta Velocità tra Torino e Lione (Tav) si discute dal 1994 e i lavori preparatori sono iniziati nel 2011; ora è stata avviata una analisi costi benefici per una sua «revisione integrale». Del Gasdotto transadriatico (Tap) si discute dal 2003 e l’opera è iniziata nel 2016; ora il governo esprime dubbi e vuol riaprire la valutazione d’impatto ambientale.
E’ vero anche che le grandi opere a volte sono diventate un pozzo senza fondo di denaro pubblico dai tempi della progettazione di queste opere al momento conclusivo della loro realizzazione, ma la diffidenza dell’opinione pubblica sulla loro utilità è dovuta soprattutto alla presa mediatica di parole d’ordine, sovente ideologiche, della lotta alla corruzione e della difesa dell’ambiente.
Per molti, opera pubblica è sinonimo di corruzione. E più grande è l’opera , più grave è la corruzione L’unico modo per bloccare il malaffare è smettere di farne. Se non ci sono appalti per opere pubbliche non ci sono nemmeno mazzette che passano di mano.
Ci sono poi quelli che pensano di battersi per la conservazione dell’ambiente, per i quali qualunque opera pubblica di grandi dimensioni è un attentato alla natura, una violenza all’ambiente con un sottofondo ideologico di critica allo sviluppo capitalistico in nome di una vagheggiata decrescita felice.
Eppure a partire dagli anni del Risorgimento la formazione dello Stato unitario è stata accompagnata da un processo di modernizzazione insieme alla crescita democratica della società italiana, che ha attraversato l’età giolittiana, la Grande Guerra, il fascismo, fino agli anni 60 del Novecento, gli anni del Boom economico.
Infatti la lungimiranza politica di Cavour nella realizzazione di infrastrutture ferroviarie nel suo Piemonte sta a dimostrare quanto il processo storico del Risorgimento italiano sia stato strettamente legato al processo di modernizzazione del nostro Paese, che partì appunto dal Piemonte per estendersi a tutta l’Italia unita
Una modernità che comportò anche dei prezzi: in primo luogo i costi sia per la costruzione sia per gli espropri per ragioni di pubblica utilità, il disagio per i residenti nel territorio per tutto il tempo dei lavori ed infine la modificazione del paesaggio naturale talora in maniera brutale come nel caso del traforo del Frejus.
I benefici per i cittadini alla fine furono superiori ai costi, nel passaggio da una società chiusa e statica ad una società aperta e dinamica in uno sviluppo non solo economico ma anche culturale della Nazione.
Oggi però per vincere le paure, talora giustificate, dell’opinione pubblica e del popolo rispetto ad una Modernità che ultimamente produce disastri l’elités tecnico-politiche italiane devono ritrovare un’autorevolezza, data da leggi e norme chiare, sulla gestione delle grandi opere, sui tempi e costi della loro realizzazione ed anche della loro periodica manutenzione, un’autorevolezza che avevano quando nell’Ottocento dopo l’unità c’era ed era efficiente il Genio civile, il quale fece letteralmente l’Italia, costruendo strade, ponti, edifici pubblici. Li progettava, li realizzava, li manuteneva. Non a caso aveva il corpo di ingegneri civili più prestigioso d’Italia!
Il compito della politica pertanto come sua ragione d’essere resta quello di costruire il futuro e non distruggere il passato facendosi condizionare da culture populiste ed antimoderniste in nome di una decrescita tutt’altro che felice
Altrimenti torneremo ai tempi in cui nelle strade polverose delle nostre campagne i signori giravano in calesse ed i paesani procedevano faticosamente a dorso di muli !
Sergio Casprini
Novecento in musica
Protagonisti, correnti, opere. I primi cinquant’anni.
Autore Fiamma Nicolodi
Editore Il Saggiatore
Collana La cultura
Anno 2018
Pagine 286
Prezzo € 28.00
Se ci volgiamo a osservare i primi cinquant’anni del Novecento musicale in Italia, il tempo sembra restituire un’immagine inaspettata: una galassia di associazioni stellari, di polveri diversamente rifulgenti, di pianeti elusivi eppure connessi dalla stessa forza gravitazionale
Alcuni destinati alla deriva, altri all’immortalità, ma tutti a loro modo protagonisti di decenni decisivi della storia italiana. Il Futurismo di Francesco Balilla Pratella e Luigi Russolo, gli esordi della Scuola di Vienna e i Canti di prigionia di Luigi Dallapiccola. I dibattiti di Giannotto Bastianelli e Ildebrando Pizzetti sulla Voce, la nascita del Pianoforte e della Rassegna musicale di Guido M. Gatti. La perenne lotta italiana tra nazionalismo e internazionalismo, modernità e tradizione, tonalità e atonalità. La figura del compositore-critico, emblematicamente rappresentata da Ferruccio Busoni. Il respiro di Roma, tra i concerti sinfonici di Santa Cecilia, le manifestazioni del Teatro delle Arti, l’attività del Teatro dell’Opera e l’ascesa di Goffredo Petrassi. La lungimirante scrittura critica di Gianandrea Gavazzeni, gli epistolari di Francis Poulenc. Una mappatura astrale, quella compiuta da Fiamma Nicolodi, ricca di storie e scoperte inattese. Sempre in elegante equilibrio tra il rigore della critica e la narrazione di un’epoca che ha sconvolto ogni certezza politica, ideologica e culturale, “Novecento in musica” annota ricordi, testimonianze, intuizioni teoriche, innovazioni tecniche che hanno scritto una nuova pagina della nostra storia. Un esercizio di memoria e di lettura che rintraccia i sottili legami e le inconciliabili differenze, le metamorfosi e gli angoli umbratili di un secolo che è stato chiamato a definirsi in una tradizione ma che, se colto nell’istante del suo farsi, si dimostra l’artefice di straordinarie, spesso ancora celate rivoluzioni.
Fiamma Nicolodi è stata professore di Musicologia e Storia della musica all’Università di Firenze. Della sua feconda attività scientifica, oltre alla direzione di numerosi progetti di ricerca, ricordiamo le pubblicazioni di Musica e musicisti nel ventennio fascista (Discanto 1984), Lemmario del lessico della letteratura musicale italiana (1490-1950) (con Renato Di Benedetto e Fabio Rossi, Cesati 2012), Novecento in musica. Protagonisti, correnti, opere. I primi cinquant’anni (Il Saggiatore 2018) e la curatela della raccolta degli scritti di Luigi Dallapiccola Parole e musica (il Saggiatore 1980). Fra i suoi campi di indagine: Rossini, Meyerbeer, la Generazione dell’80, Dallapiccola, Petrassi, Berio, i il nazionalismo, il fascismo, i rapporti tra Italia-Francia, Italia-Spagna.
Passo del Muraglione
Mt. 907.
Unisce la Romagna (valle del Montone) con la Toscana (valle di San Godenzo).
Strada Statale 67
Nell’antichità questo tratto dell’Appennino era attraversato esclusivamente da mulattiere.
Fu solo nel 1836 che per volere del Granduca Leopoldo II fu realizzata una carrozzabile che per i tempi rappresentò una delle più ardite opere di ingegneria.
Con l’aiuto delle mine furono scavati una serie di tornanti sul fianco della montagna che permisero di raggiungere il crinale alla Colla dei Pratiglioni. Qui fu costruita una cantoniera, un albergo ed un grande muro, su progetto dell’architetto ed ingegnere fiorentino Alessandro Manetti, muro che serviva per riparare i viandanti dal forte vento presente.
Da questo muraglione deriva il nome del passo.
Una grande lapide al centro del muro ricorda l’opera:
LEOPOLDO II
ELESSE QUESTO DEPRESSO GIOGO
PER VARCARE L’APPENNINO
E CON L’ARTE DI ALESSANDRO MANETTI
VINTO OGNI IMPEDIMENTO DI NATURA
DIEDE FACILE ACCESSO ALLA ROMAGNA E ALLA TOSCANA
APRI’ AL COMMERCIO PER BREVE VIA
DAL MEDITERRANEO ALL’ADRIATICO
L’ANNO 1836
CON L’AVANZO DEL DENARO PUBBLICO FU FATTA LA SPESA
E AD ESSA LE COMUNITA’ BENEFICATE CONCORSERO
Attualmente la lapide per le condizioni di degrado avrebbe bisogno di un’opera di restauro e sulla necessità di un pronto intervento è stata informata l’amministrazione del comune di San Godenzo, il cui sindaco avrebbe dato la sua disponibilità ad intervenire.
Il Sovranismo malattia senile del Nazionalismo
In un saggio del 1920 L’estremismo, malattia infantile del comunismo Lenin attaccava i critici del Bolscevismo, i quali affermavano di essere ancora più di sinistra rispetto ai bolscevichi, accusati nella loro azione politica di eccessivo pragmatismo e di cedimento ai principi del comunismo nei momenti drammatici della nascita dell’Unione Sovietica dopo la Grande Guerra.
Negli ultimi anni in alcune nazioni europee, in particolare in Francia ed in Italia è nato e si è progressivamente affermato un movimento politico populista, definito sovranismo che propugna la difesa o la riconquista della sovranità nazionale da parte di un popolo o di uno Stato, in antitesi alle dinamiche della globalizzazione e in contrapposizione alle politiche sovrannazionali, soprattutto economiche e finanziarie delle Istituzioni dell’Unione europea, dal Consiglio dei ministri di Bruxelles al Parlamento di Strasburgo.
Il Sovranismo non ha certo nulla a che vedere con il comunismo di Lenin, che si fondava sui principi dell’internazionalismo proletario e della lotta di classe, ma ha lo stesso retroterra politico delle ideologie otto-novecentesche e nel caso del Sovranismo quella nazionalista, l’insieme di idee, dottrine e movimenti che sostenevano l’importanza del concetto di identità nazionale di una collettività, ritenuta depositaria di valori tipici e consolidati del patrimonio culturale e spirituale di un popolo.
In Italia dal 1870 in poi con il sociologo Vilfredo Pareto, l’ideologo Alfredo Oriani, il poeta D’Annunzio, la rivista La Voce di Prezzolini e di Papini, nella temperie culturale europea della crisi del Positivismo si affermarono istanze idealistiche, irrazionali e nazionaliste, fortemente critiche nei confronti della vita politica con le sue classi dirigenti, i suoi partiti, le sue procedure parlamentari, auspicando una mobilitazione delle energie morali del paese per stare al passo con le altre nazioni europee ed iniziare una nuova era di potenza e prestigio italiano nel mondo.
E quindi il nazionalismo italiano fu colonialista, interventista nella Grande Guerra e poi fascista.
Non va dimenticato però che questo movimento politico nato alla fine dell’Ottocento fece parte della storia del Risorgimento italiano e pur nei suoi esiti tragici non venne mai meno ai valori e alle idealità della Patria ed in nome di essa molti nazionalisti combatterono e morirono.
Non sorprende quindi che Alfredo Oriani con il suo libro La rivolta ideale affascinasse persino Gramsci e Gobetti e venisse poi rivalutato da Spadolini come uno dei protagonisti del Risorgimento!
Il Sovranismo populista oggi della Lega di Salvini e di Fratelli d’Italia della Meloni sono invece una deformazione caricaturale di quel momento storico, una patologia senile senza alcun aggancio reale con i valori risorgimentali, anzi con la grave colpa di avere mistificato il senso e l’identità della nazione, per cui essa da elemento vivo costitutivo del modo d’essere e di pensare della intera classe dirigente e dei giovani italiani, nella scuola e nella società, è divenuta solo strumento di manipolazione demagogica in mano ai sovranisti.
Ernesto Galli della Loggia in un recente editoriale sul Corriere della Sera ha scritto: …All’inganno nazionalistico che incalza e che cresce non vale opporre la speranza sbiadita e senza voce, il disegno dai contorni tuttora imprecisi e imprecisabili, del progetto europeistico. Va opposta prima di ogni altra cosa, in tutta la sua forza storica, la cultura della nazione democratica. Che più volte, ricordiamo anche questo, ha dimostrato anche di sapere aprirsi al mondo superando i confini della propria patria con la sua carica emancipatrice volta all’umanità.
Con una solida cultura della nazione democratica si può allora rispondere agli inganni nazionalistici dei sovranisti e dei populisti e riaffermare quindi un autentico sentimento di Patria per i cittadini italiani, uomini e donne, giovani e vecchi con l’orgoglio della propria specifica storia ed in un fecondo confronto con le altre nazioni europee.
Sergio Casprini