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Risorgimento Firenze

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Mostre

Pas de deux. Marino Marini Igor Stravinskij

21/03/2022 da Sergio Casprini

Museo Marino Marini  Piazza di S. Pancrazio Firenze

11 marzo/30 maggio 2022

 Si intitola Pas de deux. Marino Marini Igor Stravinskijla mostra che si è aperta venerdì 11 marzo alle 17.00 e che sarà visitabile fino al 30  maggio presso il Museo Marino Marini di Firenze: cinquanta opere, molte delle quali mai esposte in precedenza, a ripercorrere l’amicizia e il legame tra due delle personalità artistiche più influenti del Novecento, Marino Marini e Igor Stravinskij.
Con la curatela di Luca Scarlini, scrittore, drammaturgo, performer e voce nota di Radio Tre, l’esposizione documenta le tappe (alcune delle quali inedite) di questo straordinario sodalizio, iniziato nel 1948 presso la galleria d’arte newyorchese Curt Valentine, e proseguito con successivi e costanti incontri illustrati in alcune tra le opere più straordinarie di Marini: dalle acqueforti della serie “Marino to Stravinskij” alle litografie “Personnages du sacre du printemps”, fino all’unica, magnifica scenografia mai realizzata dall’artista, quella per “La sagra della primavera” dello stesso Stravinskij, rappresentata alla Scala di Milano l’8 dicembre 1972. Marino Marini aveva rifiutato molte volte di lavorare per il teatro, ed è solo il profondo affetto per l’amico morto l’anno prima (Stravinskij era scomparso a New York il 6 aprile 1971) a persuaderlo. Ne risultano opere straordinarie, che contribuirono a rendere il balletto, diretto da Bruno Maderna con coreografie di John Taras e protagonista l’étoile Natalia Makarova, da poco transfuga in occidente, un netto successo. “Gli incontri tra artisti di diverse discipline generano eredità ricche – spiega Scarlini, collaboratore di numerose istituzioni teatrali italiane e europee (tra cui il National Theatre di Londra) che ha lavorato in varie occasioni su temi di storia della scenografia – Il Novecento è stata epoca di grandi incontri: il lavoro di artisti notissimi con compositori illustri nasceva in base ad affinità elettive. Il ballo per Marino era stato una seduzione importante fin dalla giovinezza, come dimostrano la nutrita sequenza delle danzatrici, di grandi e piccole dimensioni, e i numerosi lavori pittorici e di incisione. “Pas de deux: Marino Marini Igor Stravinskij” narra, attraverso opere inedite o poco viste, la storia di una amicizia che è anche sincera condivisione di un sentimento dell’arte come evocazione di antichi ritmi vitali, che il secolo scorso aveva riscoperto dopo un lungo oblio”.

Al primo piano del Museo sono esposti dipinti dedicati ad attori, danzatori e giocolieri, oltre ad incisioni originali a tema teatrale. In prestito dalla Fondazione Marino Marini di Pistoia le acqueforti e le litografie realizzate tra il 1972 e il 1974 in ricordo dell’amico scomparso nel 1971, oltre al ritratto in bronzo di Stravinskij che il compositore definì “straordinariamente bello” e una serie di affascinanti materiali – tra biglietti e scambi epistolari – che documentano la stima e l’affinità artistica tra i due. Andati malauguratamente dispersi dopo il debutto dello spettacolo, i fondali dipinti da Marini per il balletto di Stravinskij saranno proiettati in formato digitale, ed uno di essi verrà riprodotto su tela. L’allestimento è a cura di Marisa Coppiano.

Pas de deux. Marino Marini Igor Stravinskij 

11 Marzo 2022 / Maggio 2022

Firenze  Museo Marino Marini  Piazza di S. Pancrazio

Orari: Sabato, Domenica e Lunedì 10-19 (ultimo ingresso ore 18.30)

Costo del biglietto: intero: 6 €, ridotto: 4 € (bambini da 7 a 14 anni). Gratuito bambini fino a 6 anni, tessere ICOM, EDU Musei Card, guide turistiche e giornalisti con tesserino in corso di validità, disabili e un loro accompagnatore

Telefono per informazioni: +39 055 219432

E-Mail info: info@museomarinomarini.it

Sito ufficiale: http://museomarinomarini.it

 

Museo Marini Firenze

 

 

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Promised lands

26/02/2022 da Sergio Casprini

AMOS GITAI
Promised lands

Palazzo Vecchio 

Sala d’Arme

25 febbraio – 14 aprile 2022

Dal 25 febbraio  è  in mostra nella Sala d’Arme di Palazzo Vecchio Promised lands, la video installazione dell’artista e regista Amos Gitai (Haifa, 1950). Si tratta di un’opera realizzata ad hoc per l’ambiente fiorentino, che intende proporre una riflessione politica e poetica sui destini umani contemporanei e sulla possibilità di vivere insieme.  

“Il progetto – spiega Amos Gitai – è concepito in funzione di questo luogo particolare: la sua storia e il suo rapporto con l’ambiente fanno parte del progetto tanto quanto le opere presentate. Promised Lands intende evocare a partire da miei lavori teatrali e cinematografici, i destini umani, la storia e il presente nelle varie lingue parlate nell’area del Mediterraneo”. L’opera è concepita come un dialogo immaginario – che trova spazio sulle grandi pareti della Sala D’Arme – tra i protagonisti delle produzioni create da Amos Gitai durante la sua carriera. 

I visitatori vedranno in loop gli estratti della corrispondenza tra Efratia Gitai (1994-2003), madre di Amos, e suo padre Elihau tratti dal lungometraggio Lullaby to my father in cui il regista ripercorre la vita di suo padre Munio e ascolteranno le lettere dal carcere di Antonio Gramsci interpretate da Pippo Delbono tratte dallo spettacolo Exils intérieurs, creato da Gitai per il Theatre de la Ville di Parigi nel 2020 (spettacolo quest’ultimo che verrà messo in scena in esclusiva italiana al Teatro della Pergola il 13 e 14 aprile).

Ci saranno poi gli estratti di Tsili, film ispirato al romanzo autobiografico di Aharon Appelfeld che racconta le peregrinazioni di personaggi immersi nell’incubo della guerra e stralci di Kippur, lungometraggio in cui il regista ripercorre la sua drammatica esperienza durante la guerra dello Yom Kippur. E ancora Field diary, film-diario girato nei territori occupati prima e durante l’invasione del Libano, Ananas/Pineapple reportage di denuncia e The war of the sons of light against the sons of darkness, basato su La guerra giudaica, dello storico antico Flavio Giuseppe, con Jeanne Moreau nel ruolo di Flavio Giuseppe fino a The book of Amos, girato in una strada di Tel Aviv, dove attori e attrici israeliani e palestinesi interpretano il ruolo del profeta Amos e danno una voce moderna, in ebraico e in arabo, alla sua antica denuncia della corruzione e dell’ingiustizia

Fino ad arrivare a Kedma, che prende il nome dalla nave carica di sopravvissuti all’Olocausto in viaggio verso la Terra Promessa alla fine del secondo conflitto mondiale e a Golem, the spirit of Exile film che indaga i significati contemporanei del Libro di Ruth nella Bibbia per terminare con Yitzhak Rabin: Chronicle of an Assassination, sull’assassinio del primo ministro israeliano, avvenuto il 4 novembre 1995 dopo una manifestazione per la pace e contro la violenza a Tel Aviv. 

“Senso di appartenenza e identità, esilio e migrazioni: questi i temi che ispirano e alimentano l’opera di Amos Gitai da più di quarant’anni.  – Sottolinea il sindaco Dario Nardella  – Attraverso film e mostre, conferenze e opere teatrali, questo artista multiforme esplora l’arte come un viaggio tra i tumulti della Storia e della memoria”.

 AMOS GITAI
Promised lands

Palazzo Vecchio 

Sala d’Arme

25 febbraio – 14 aprile 2022

Orari e biglietti: ingresso gratuito. 

La mostra è aperta tutti i giorni h10.00-19.00, giovedì 10.00-14.00.
A seguito del DL 221/2021, dal 10 gennaio 2022 è esteso l’obbligo di Green pass rafforzato per accedere a musei e mostre. Gli ingressi sono contingentati.

Informazioni: info@musefirenze.it oppure 055 2768224.

The book of Amos

 

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Pescia svela i gessi mai visti di Libero Andreotti

26/01/2022 da Sergio Casprini

Alla Gipsoteca opere fuori dai depositi e documenti raccontano il suo percorso

Giulia Gonfiantini Corriere Fiorentino 26 gennaio 2022

A Pescia una mostra amplia la visuale sull’esperienza artistica di Libero Andreotti (1875-1933) grazie a materiali inediti e gessi finora mai usciti dai depositi. Fino al 13 marzo la gipsoteca intitolata allo scultore ospita Libero Andreotti tra monumentalità e dimensione domestica. Documenti dall’archivio dell’artista curata da Elvira Altiero e Claudia Massi, promossa dal Centro di documentazione dell’architettura contemporanea in Toscana in collaborazione con la Soprintendenza Archeologia belle arti e paesaggio per la città metropolitana di Firenze e le province di Pistoia e Prato.

Articolato su due piani, il percorso si apre con le opere d’arte celebrative restituendo al pubblico i modelli in gesso per alcuni grandi lavori compiuti degli anni Venti. Come l’imponente busto dell’Italia turrita, preparatorio per il monumento ai Caduti di Saronno, e i bozzetti per l’irrealizzato monumento ai Caduti di Milano. «Abbiamo cercato di raccontare le varie fasi, dallo schizzo preparatorio al modello in creta, dal passaggio nel gesso alla traduzione in bronzo», spiega Altiero.

Monumento ai Caduti di Saronno 1925

La mostra tratta filoni di ricerca emersi al convegno del 2020 Libero Andreotti  e il rapporto tra scultura monumentale e architettura nel suo tempo, e grazie a nuovi documenti (come disegni e foto da un raro album di ricordi acquisiti da una donazione degli eredi, e opere grafiche in prestito da collezione privata) fa luce su aspetti meno noti quali la progettazione di mobili e arredi per la casa nonché sulla sfera privata dell’abitare, con il richiamo a luoghi cari all’artista. Importante la presenza degli scritti inediti della moglie Margherita Carpi e dello scrittore Raffaello Franchi. «Di solito l’arte monumentale è associata a quella di regime o a un determinato periodo storico ed è legata a dettami, anche iconografici, imposti dall’alto — precisa Altiero — ma al convegno sono emerse posizioni autonome dell’artista, che ha tentato di inserire nelle opere il proprio vissuto. A volte è riuscito a farlo liberamente, altre meno, ma è significativa la volontà di umanizzare temi come la patria e la vittoria, restituendoli a una dimensione più intima».

Dai depositi del museo civico proviene la testa in marmo della Vergine del monumento alla Madre italiana in Santa Croce, mentre da quelli della gipsoteca escono i gessi per la scultura del Cristo (parte della stessa opera), una serie di statuette di figure femminili e il bassorilievo della Guerra del monumento alla Vittoria di Bolzano. Per il quale è riproposta, al fianco del soggetto principale del Cristo risorto, l’originaria disposizione delle Virtù, esito di un più generale riordino della gipsoteca.

 Pietà  Cappella votiva alla Madre Italiana in Santa Croce 1926 

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Sulle tracce della bellezza

08/01/2022 da Sergio Casprini

La saletta del fiorentino Caffè Donnini con le opere di Nativi e le celebri sedie «scapolari» di Michelucci

Pistoia racconta Nativi

#NATIVI100
Palazzo Fabroni

20 Dicembre 2021/  5 Giugno 2022

 

Autoritratto del 1946

 

Giulia Gonfiantini Corriere Fiorentino 8 gennaio 2022

Dipinto a smalto di colore azzurro, nero e bianco, il fregio che Gualtiero Nativi realizzò alla fine degli anni Cinquanta per il bar del Centro tecnico federale della Federazione italiana giuoco calcio di Coverciano si estende per sei metri e mezzo. Ricorda una decorazione rinascimentale e al contempo un pentagramma dalla scrittura sincopata. Lavoro tra i più importanti realizzati dall’artista per uno spazio pubblico, è stato cercato e ritrovato durante gli studi per la realizzazione della mostra #Nativi100 dalla curatrice Giovanna Uzzani e per tutta la durata dell’evento, fino al 5 giugno a Palazzo Fabroni, sarà visibile insieme a 99 altre opere selezionate per ripercorrere la vicenda di uno dei maestri dell’astrattismo.

«Ogni sala del percorso espositivo corrisponde a un capitolo (riprodotto nel catalogo edito da Gli Ori), a una frase di Nativi, a un mood — dice Uzzani — che ricostruiscono la vita di un uomo e la ricerca di un artista al contempo». L’esposizione che celebra il centenario della nascita del pittore (Pistoia, 1921 – Greve in Chianti, 1999) è promossa e realizzata dal Comune e dai musei civici, in collaborazione con la Fondazione Giovanni Michelucci, Tempo Reale, l’associazione Eletto Arte e l’Archivio Nativi.

La mostra ripercorre le tappe artistiche di Nativi, dall’proveniente dalle Gallerie degli Uffizi al passaggio all’arte astratta fino alle irruzioni nella scultura e alla ricerca più solitaria dopo l’esperienza dell’astrattismo classico, passando per il clima di fermento del secondo Novecento. 

Presenti due significative installazioni sonore, curate da Tempo Reale nell’ambito di «Toscanaincontemporanea20 21»: una accompagna l’autoritratto giovanile con un ritratto sonoro dell’artista, realizzato con materiali vocali tratti da un’intervista. La seconda si ispira a composizioni elettroacustiche di Vittorio Gelmetti ed è rappresentativa della collaborazione tra artisti visivi e musicisti elettronici, tipica di anni. Presentati con l’occasione i dipinti donati dall’artista alla città nel 1982: sette sono visibili nell’esposizione permanente, gli altri saranno allestiti a rotazione.

Grande rilievo, inoltre, alla riflessione sulla pittura nello spazio pubblico e privato, e all’intenso rapporto con il maestro, amico e compagno di ricerca Giovanni Michelucci. Insieme collaborarono nel’49 per il riallestimento del fiorentino Caffè Donnini, rievocato al Fabroni con le iconiche sedie «scapolari» michelucciane.

Nativi ha infatti «lasciato molte tracce di bellezza» e le ricerche per la mostra sono state l’occasione per un «viaggio emozionale in una Firenze che non c’è più», afferma Francesco Di Fiore, artefice del progetto espositivo insieme a Uzzani, ricordando le opere per il Chiosco degli sportivi, per il cinema Edison, per la chiesa degli Scolopi, oltre al fregio di Coverciano appena riscoperto.

Museo del Novecento e del Contemporaneo di Palazzo Fabroni

Via Sant’Andrea 18 – Pistoia tel. 0573 371817
fabroni.artivisive@comune.pistoia.it

Orario

dal martedì al venerdì 10.00/14.00
sabato, domenica e festivi (8 dicembre, 26 dicembre e 6 gennaio) 10.00/18.00
Natale e Capodanno 16.00/19.00
lunedì chiuso

La biglietteria chiude 30 minuti prima.

Tariffe

Intero € 3.50
Ridotto € 2.00

Palazzo Fabroni

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Le Georgofile fuori dall’oblio

05/01/2022 da Sergio Casprini

Lezione teorica di agraria con la professoressa Carolina Valvassori, 1915

 

Riconoscere il merito, superare i pregiudizi:

scienziate ai Georgofili (1753 – 1911) 

 

Caterina Ruggi d’Aragona Corriere Fiorentino 4 gennaio 2022 

«Le donne son venute in eccellenza/di ciascun’arte ov’hanno preso cura», scriveva Ariosto nel Canto XX dell’Orlando Furioso. Erano i primi anni del XVI secolo. I talenti femminili sono però rimasti a lungo nell’ombra. Nella comunità scientifica, in particolare, la storia ne rintraccia una presenza «consentita solo fino a quando resta ufficiosa e invisibile». Lo chiarisce Federica Favino nell’introduzione al volume Donne e scienza nella Roma dell’Ottocento.

Soltanto ora, per prima, l’Accademia dei Georgofili di Firenze, che ha accompagnato lo sviluppo delle scienze agrarie, fa emergere dal buio le sue prime socie donne. Dal poderoso lavoro di recupero dei registri manoscritti in cui sono annotati i 2.500 accademici corrispondenti nei suoi primi 150 anni di attività (dal 1753 al 1864) sono infatti emersi tre nomi di donne: Teresa Paveri Invrea, Elisabetta Fiorini e Caterina Scarpellini. A cui è stata accostata Carolina Franceschinis Valvassori, eletta nel 1911.  Una chimica, una botanica, un’astronoma e un’agronoma: a queste quattro figure singolari è dedicata la mostra virtuale Riconoscere il merito, superare i pregiudizi: scienziate ai Georgofili (1753 – 1911), online sul sito Georgofili.it, che attraverso lettere e documenti ricostruisce la maternità di importanti innovazioni. Come il procedimento per estrarre zucchero dall’uva e il primo monito per la conservazione della biodiversità; la stazione ozonometrico-metereologica sul Campidoglio e l’Istituto agrario femminile e di economia domestica di Firenze. «Non abbiamo tentato una storia di genere. Abbiamo voluto rendere disponibile in maniera libera e gratuita materiali difficilmente reperibili. Questo ci ha permesso di far riemergere alcune accademiche di cui si era persa memoria, riscoprendone il valore scientifico», spiega Daniele Vergari, co-curatore assieme a Davide Fiorino della mostra.

La prima donna ammessa tra i Georgofili è la marchesa Teresa Invrea Paveri Fontana. A lei viene attribuito un testo pubblicato anonimo nel 1811: Memoria sulla estrazione dello zucchero dall’uva di una castalda del Dipartimento del Taro. «Per sopperire alla mancanza di zucchero, che non arrivava più dai Caraibi per il blocco napoleonico alla circolazione delle merci, gli scienziati di tutta Europa stavano all’epoca sperimentando l’estrazione dello zucchero da uva, castagne, barbabietola e altre coltivazioni. La marchesa, che si dilettava con la chimica in modo amatoriale, mise insieme vari esperimenti — spiega Vergari — e scrisse il suo metodo di estrazione». Quel volume le procurò nel 1812, un anno prima della morte, l’ammissione tra i Georgofili, di cui però non c’è cenno nei verbali delle sedute accademiche. E nemmeno nell’elenco dei nuovi soci del 1817. La stessa autrice, in una lettera di ringraziamento all’Accademia, si dichiara stupita per un riconoscimento inaspettato ad un’«umile cultrice di quei rami di scienze naturali, che più si confanno al mio genio, e più da vicino riguardano la domestica, e rurale economia».

Sorpresa di essere ammessa tra i soci dei Georgofili, mezzo secolo dopo, è anche la botanica Elisabetta Fiorini Mazzanti, che dette un importante contributo allo studio delle crittogame (felci, muschi, licheni, epatiche e sfagni), dimostrando originalità e lungimiranza. 

Sua  è la polemica con il governo impegnato a ripulire dalla vegetazione il Colosseo e altre vestigia romane è una delle prime azioni di difesa della biodiversità. «A differenza dei colleghi maschi non aveva la possibilità di andare in spedizione tra le montagne. Così, erborizzava nei terreni di famiglia oppure tra le rovine romane, che proprio in quei tempi furono liberate dalla flora sedimentata da secoli di incuria. Lei ebbe il coraggio di dire “Cosa state facendo?”. Prima donna a leggere una memoria in una riunione ufficiale dei Georgofili, di cui diventò socia corrispondenti nel 1852, fu eletta — aggiunge Vergari, agronomo e socio corrispondente dei Georgofili — anche dall’Accademia medico-scientifica fiorentina. Nel 1856 diventò la prima socia ordinaria dell’Accademia Pontificia dei Nuovi Lincei. Nel 1874 partecipò all’Esposizione internazionale dell’Orticultura a Firenze, per la quale fu inaugurato il mercato di San Lorenzo.

Caterina Scarpellini, di otto anni più giovane di Elisabetta Fiorini, non fu invece ammessa ai Nuovi Lincei, sebbene suo zio Feliciano, direttore dell’Osservatorio astronomico della Sapienza, avesse contribuito alla rinascita dell’Accademica Pontificia. E nonostante le sue osservazioni dell’atmosfera attraverso cui, ad esempio, colse con acume la correlazione tra la mancanza di ozono e la diffusione di epidemie. Scoperte a cui arrivò grazie a una presenza costante, sebbene non ufficiale, all’Osservatorio astronomico, dove si era ritagliata un posto all’ombra dello zio prima e poi del marito, Erasmo Fabri, custode della strumentazione che lei ereditò alla morte di Feliciano.

All’ombra del marito (Vincenzo Valvassori, direttore della Scuola di pomologia e orticoltura) svolse la sua attività anche Carolina Franceschinis Valvassori, legata alla fondazione (nel 1907) e alla direzione (per 20 anni) dell’Istituto agrario femminile e di economia domestica di Firenze. Oltre che alla stesura dell’Enciclopedia domestica. All’Accademia dei Georgofili, che nel 1911 la inserì tra i soci corrispondenti, rispose: «La nomina mi è di incoraggiamento a proseguire nella modesta via tracciata per l’insegnamento agrario a vantaggio della donna, e per la sua pratica educazione famigliare».

Ancora tanta strada c’era da fare per l’emancipazione femminile.

 

 

Accademia dei Georgofili. Sala delle Adunanze

 

 

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LEVI, RAGGHIANTI E LA POLITICA

22/12/2021 da Sergio Casprini

 

Fino al 20 marzo alla Fondazione Ragghianti , Via S. Micheletto 3, Lucca, la mostra sull’amicizia tra lo scrittore e il critico toscano. Dalla militanza nella Resistenza al cinema, dalla pittura a «Cristo si è fermato a Eboli»

Simone Dinelli  Corriere Fiorentino 19 dicembre 2021

L’amicizia pluridecennale fra il critico e storico dell’arte lucchese Carlo Ludovico Ragghianti e il pittore, scrittore e politico Carlo Levi, raccontata attraverso opere, lettere, documenti, fotografie e filmati. Sono questi il senso e il contenuto della mostra che fino al prossimo 20 marzo sarà visitabile all’interno del complesso di San Micheletto, nel centro storico di Lucca: Levi e Ragghianti, un’amicizia tra pittura, politica e letteratura.

Carlo Levi  Ritratto di Ragghianti 1944

Un rapporto, quello fra i due, fondamentale per entrambi e che si intensificò a Firenze durante l’occupazione nazista, attraverso la comune militanza politica nella Resistenza, soprattutto dopo che Levi nel 1941 trova rifugio clandestino nella casa di Anna Maria Ichino in piazza Pitti, dove scrive il romanzo Cristo si è fermato a Eboli, cui è dedicata una sezione della mostra. Non è però soltanto la politica, nelle file del Partito d’Azione, a unirli, ma anche una condivisa sensibilità per il patrimonio artistico del Paese. L’interesse di Ragghianti nei riguardi di Levi pittore è da far risalire al 1936, quando lo inserisce nel suo articolo dedicato alla pittura italiana contemporanea; e nel 1939 recensisce sulla rivista La Critica d’Arte la mostra a New York.

La mostra e il catalogo offrono una testimonianza del significato dell’amicizia fra Ragghianti e Levi, anche alla luce della loro formazione culturale. Un aspetto interessante e nuovo presentato è quello del comune interesse dei due per il cinema:

Levi lavora come sceneggiatore e scenografo per alcuni film, disegna il manifesto di Accattone di Pier Paolo Pasolini, e dagli anni Cinquanta in poi, a Roma, diventa un ritrattista ambito da molti personaggi del mondo del cinema, da Silvana Mangano ad Anna Magnani, da Franco Citti allo stesso Pasolini

Pier Paolo Pasolini

Tutti questi ritratti sono presenti in mostra, insieme con quelli di Ragghianti e di loro comuni amici, come Eugenio Montale e Carlo Emilio Gadda. Oltre ai documenti, la mostra presenta un nucleo di quasi cento opere di Carlo Levi mirato a ricostruire anche la cerchia di intellettuali e amici cui i due appartenevano — Eugenio Montale, Giovanni Colacicchi, Paola Olivetti, Aldo Garosci e altri — con l’aggiunta dei ritratti di personaggi dei quali entrambi avevano stima, come Italo Calvino e Frank Lloyd Wright. «Le opere in mostra — sottolinea  il curatore Bolpagni — sono quelle che Ragghianti selezionò ed espose durante la sua vita. La mostra, oltre a ricostruire gli eventi e le circostanze della loro amicizia e i punti di interesse comune, mette in luce la loro formazione culturale comune. Tutte opere che siamo riusciti a portare qui grazie alla collaborazione con la Fondazione Carlo Levi di Roma, al contributo del Gabinetto Vieusseux di Firenze e ad alcuni collezionisti privati».

 

Per info e orari: www.fondazioneragghianti.it.

 

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Galileo Chini e il Simbolismo Europeo

10/12/2021 da Sergio Casprini

Villa Bardini  Costa S. Giorgio, 2-4, Firenze

7 dicembre 2021/25 aprile 2022

Duecento pezzi fra dipinti, disegni, illustrazioni e ceramiche del pittore, illustratore e ceramista fiorentino, che è stato il maggiore esponente italiano e uno dei maggiori interpreti europei del modernismo Liberty e del simbolismo

Focalizzata sugli anni giovanili di Galileo Chini (Firenze 1873-1956), che lo resero famoso internazionalmente, l’esposizione è a cura di Fabio Benzi ed è promossa da Fondazione CR Firenze e da Fondazione Parchi Monumentali Bardini e Peyron. Sono esposti dipinti, disegni, illustrazioni e ceramiche, in un susseguirsi continuo di legami e parallelismi fra l’artista e l’arte internazionale che lo ispirò e che spesso a lui si è ispirata.

Sono presenti opere dell’ambiente artistico tra simbolismo francese e mitteleuropeo, tra preraffaellismo e secessioni, che vede intrecciare il percorso di Chini con quello di artisti come Auguste Rodin, Gustav Klimt, Max Klinger, Ferdinand Hodler, William de Morgan, Walter Crane, Aubrey Beardsley, Gaetano Previati, Giovanni Segantini, Odilon Redon, Ferdinand Khnopff, Félix Vallotton, Pierre Bonnard e molti altri

Villa Bardini e Mostre

Orari

Dal martedì alla domenica (chiuso il lunedì)
dalle ore 10 alle ore 18 – ultimo ingresso ore 17

Visite guidate alla mostra ogni sabato e domenica ore 15.30 e 16.30,

con prenotazione obbligatoria su www.eventbrite.it fino a max 20 persone per turno

Biglietti

Intero
€ 10,00

Ridotto
€ 5,00 per giovani da 18 a 24 anni, gruppi superiori a 10 pax, Touring Club Italiano, FAI, Soci Coop, dipendenti Toscana Aeroporti.

Gratuito
ragazzi fino a 17 anni, diversamente abili e loro accompagnatori, giornalisti, guide turistiche, possessori della Firenze Card.

Il biglietto è valido anche per la visita al Museo Annigoni.

 

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REALISMO MAGICO

17/11/2021 da Sergio Casprini

Palazzo Reale Milano

19 ottobre 2021/ 27 febbraio 2022

 

Promosso e prodotto dal Comune di Milano-Cultura, Palazzo Reale e 24 ORE Cultura-Gruppo 24 ORE si tratta un progetto espositivo che punta – secondo una precisa ricostruzione filologica e storiografica del fenomeno del Realismo Magico – a far scoprire al visitatore più di ottanta capolavori di questa complessa e affascinante corrente artistica, con un allestimento curato dallo Studio Bellini. 

Uno sguardo nuovo sul Movimento, una nuova chiave di lettura che, a trent’anni di distanza dall’ultima mostra milanese sul tema curata da Maurizio Fagiolo dell’Arco nel 1986, Palazzo Reale torna a offrire al pubblico un’occasione unica per fare il punto su un periodo storico-artistico – quello tra le due guerre – che ha subito per molto tempo una damnatio memoriae, ma che negli ultimi anni è stato prima oggetto di una riscoperta graduale attraverso affondi monografici su singoli artisti che sono riusciti a mantenerne vivo l’interesse e ora oggetto di un vero e proprio trend di valorizzazione che culmina, dopo trent’anni di studi ininterrotti, in questa mostra corale sul Realismo Magico.

Il percorso cronologico-filologico ruota intorno a capolavori italiani di questa specifica temperie, a loro volta messi in relazione con alcune opere della Neue Sachlickheit, la cosiddetta “Nuova oggettività” tedesca. I confronti saranno anche con i caratteri del Novecento Italiano di Margherita Sarfatti, dai quali il Realismo Magico si distingue, ma con il quale condivide alcune personalità artistiche come Achille Funi, Mario Sironi, Ubaldo Oppi.

La definizione Realismo Magico riguarda un momento dell’arte italiana circoscritto, nella fase più creativa ed originale, in circa quindici anni, tra il 1920 e il 1935, rappresentando in sostanza il clima del ritorno al mestiere della pittura e una specifica declinazione di una temperie “neoclassica”, che ha tangenze con il gusto déco nella sua specificità italiana, ma anche di un ricercato “arcaismo quattrocentesco” e di ambigue atmosfere metafisico/realistiche. Allo stesso tempo a questo segmento dell’arte italiana si legano termini specifici quali realismo, magia, metafisica, spettrale, obiettivo, vero, naturale, surreale.

In mostra vengono esposte le opere originalissime di Felice Casorati, come il Ritratto di Silvana Cenni del 1922, così come le prime invenzioni metafisiche di Giorgio de Chirico come L’autoritratto e L’ottobrata del 1924, ma anche le proposte di Carlo Carrà, con Le figlie di Loth del 1919, e Gino Severini con i suoi Giocatori di carte; tutti propongono un originale e tutto italiano “ritorno all’ordine”. Su quest’ultimo concetto di ‘ritorno’, si innesta un generale recupero dei valori plastici dell’arte del passato, da Giotto a Masaccio a Piero della Francesca, fino alla formazione dello specifico formulario realistico e magico che il visitatore trova nei dipinti di Antonio Donghi, Ubaldo Oppi, Achille Funi, Mario e Edita Broglio, pittrice raffinata e di cui si presenta un congruo numero di opere, e soprattutto di Cagnaccio di San Pietro, con il capolavoro Dopo l’orgia.

Un formulario riconoscibile anche in alcune opere di Mario Sironi – in mostra la sua Allieva viene per la prima volta affiancata e messa a confronto con L’architetto – Gli Amanti di Arturo Martini e in Achille Funi nella sua fase realistico-magica come la straordinaria Maternità. Il manipolo dei “realisti magici” si incrocia con i destini di “Novecento”, il gruppo milanese creato da Margherita Sarfatti, ma soprattutto con esperienze tedesche e austriache.

La realtà artistica italiana, ben connotata e ricca di suggestioni e spunti, infatti, non risulta isolata, trovando significativi contrappunti e analogie, pur nella diversità degli obiettivi e delle matrici culturali di partenza, con la Neue Sachlickheit (Nuova Oggettività) tedesca, a sua volta divisa tra aree più classiche e vicine alla sensibilità italiana (i pittori di Monaco, come Heinrich Maria Davringhausen e Christian Schad) e aree più radicali e rivoluzionarie (gli artisti berlinesi), ma anche con i realismi che emergono in Olanda così come in Unione Sovietica, negli Stati Uniti come in Francia, in una generale riconquista dell’arte come mimesis della realtà, ma inevitabilmente attraversata dalle inquietudini esistenziali e ideali del Novecento.

Alla struttura cronologico-filologica – blocco portante del percorso – si innesta in alcuni punti una lettura tematica: dal ritratto alla maternità ai bambini, dai nudi femminili e l’eros al paesaggio, alla natura morta, all’allegoria. Un’interessante chiave di lettura proposta al pubblico che permette al visitatore di cogliere le novità interpretative che il Realismo Magico mise in campo rispetto ad alcuni generi della tradizione pittorica.

 Catalogo di 24 ORE Cultura

a cura di Gabriella Belli e Valerio Terraroli

 

Orario

Da martedì a domenica ore 10:00-19:30, giovedì chiusura alle 22:30. Ultimo ingresso un’ora prima.

Lunedì chiuso.

Orari festivi 1° nov 10- 9:30; 7,8,26 dic 10-19.30; 24 e 31 dic 10-14:30 25 dic 14:30-18:30; 1° gen 14:30-19:30; 6 gen 10-22.30

Biglietti

Intero € 14

Ridotto € 12

Abbonamenti. Musei Lombardia € 10

Ridotto speciale € 6

Biglietto Famiglia: 1 o 2 adulti € 10 / ragazzi dai 6 ai 14 anni € 6

Audioguida inclusa. 

Realismo Magico | Palazzo Reale Milano

Palazzo Reale Milano

 

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Gli ebrei romani e il Risorgimento

10/11/2021 da Sergio Casprini

Trasteverina uccisa da una bomba Gerolamo Induno

1849-1871. Ebrei di Roma tra segregazione ed emancipazione »

 

Museo ebraico di Roma- Sinagoga Via Catalana Roma

10 novembre 2021/ 22 maggio 2022

Info: www.museoebraico@roma.it

Edoardo Sassi Corriere della Sera (Roma)10 novembre 2021 

Un’esposizione che ripercorre la storia e il ruolo — non marginale — che gli ebrei ebbero nel processo unitario nazionale, con particolare riferimento a Roma, la città dove, presenti da più di venti secoli, erano stati rinchiusi in un ghetto a partire dalla bolla papale di Paolo IV del 1555.

In un suggestivo dialogo tra dipinti, sculture e testimonianze documentarie, la mostra — curata da Francesco Leone e Giorgia Calò nelle sale del Museo Ebraico — racconta proprio il coinvolgimento dei cittadini della comunità nel Risorgimento e nelle alterne vicende che portarono alla proclamazione (1871) della Città Eterna capitale d’Italia, partendo — cronologicamente — dall’esperienza dell’eroica Repubblica Romana del 1849, quando per la prima volta, sia pure per un brevissimo periodo e dopo l’altrettanto limitata esperienza napoleonica, la situazione per i cittadini ebrei sembrò migliorare. Solo l’anno prima Massimo d’Azeglio — uno dei tanti protagonisti di questa esposizione in cui ogni esemplare esposto è accompagnato da una didascalia ragionata che ne spiega la funzione — aveva pubblicato il volume Sull’emancipazione civile degli Israeliti, denunciando anche le condizioni degli ebrei nel ghetto.

L’esposizione rappresenta anche un’antologia di grandi nomi della pittura e della scultura dell’Ottocento, con opere, tra gli altri, di Giovanni Fattori, Silvestro Lega, Ippolito Caffi, Gerolamo Induno, Tranquillo Cremona, Ettore Ximenes, Vincenzo Gemito, oltre che di artisti ebrei le cui figure cominciano a delinearsi proprio in questo periodo di embrionale emancipazione, come Vito D’Ancona e Serafino De Tivoli, pittori-soldato impegnati al fianco di Garibaldi. E a chiudere il percorso, un ritratto del potente editore triestino Emilio Treves, dipinto da Vittorio Corcos.

1907 Emilio Treves Vittorio Corcos

 

 

 

 

 

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FATTORI Capolavori e aperture sul ’900

14/10/2021 da Sergio Casprini

GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino

14 Ottobre 2021 / 20 Marzo 2022

Giovanni Fattori Accademia di Belle Arti Firenze

La GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino ospita per la prima volta nei suoi spazi una grande retrospettiva dedicata all’opera di Giovanni Fattori (Livorno 1825- Firenze 1908), uno dei maestri assoluti dell’Ottocento italiano che seppe interpretare in modo originale e innovativo tanto i temi delle grandi battaglie risorgimentali quanto i soggetti legati alla vita dei campi e al paesaggio rurale a cui seppe infondere, analogamente ai ritratti, nuova dignità e solennità.

Il percorso espositivo, che presenta oltre 60 capolavori dell’artista livornese, tra cui tele di grande formato, preziose tavolette e una selezione di acqueforti, si articola in nove sezioni e copre un ampio arco cronologico che dal 1854 giunge al 1894, dalla sperimentazione macchiaiola e da opere capitali degli anni Sessanta e Settanta fino alle tele dell’età matura, che ne rivelano lo sguardo acuto e innovatore, capace di aperture sull’imminente ’900.

Le curatrici del progetto, Virginia Bertone (Conservatore Capo della GAM) e Silvestra Bietoletti (Storica dell’arte, specialista di pittura toscana dell’Ottocento), affiancate dal Comitato scientifico composto da Cristina Acidini, Giuliano Matteucci e Fernando Mazzocca, hanno concepito un articolato progetto espositivo dove si succedono, secondo una scansione cronologica e tematica, le opere del maestro la cui vicenda artistica seppe incontrare, già nel corso dell’Ottocento, anche il gusto dei torinesi, come testimonia la presenza di Fattori alle mostre allestite in città – sia alle manifestazioni annuali della Società Promotrice di Belle Arti di Torino sia alle Esposizioni Nazionali – dalla primavera del 1863 e fino al 1902. A concludere il percorso sono alcune opere emblematiche di allievi di Fattori e di artisti influenzati dalla suggestione della sua pittura – Plinio Nomellini, Oscar Ghiglia, Amedeo Modigliani, Lorenzo Viani, Carlo Carrà, Giorgio Morandi – a testimonianza della lezione che il maestro livornese seppe stimolare nella pittura italiana del Novecento. Ad arricchire la mostra è un suggestivo video che racconta i luoghi, le vicende umane e le relazioni artistiche che hanno accompagnato la vita del maestro attraverso le parole dello stesso Fattori, desunte da lettere e documenti d’epoca. Un viaggio nel viaggio, che vuole avvicinare il visitatore all’artista livornese la cui indole fu schiva eppure così carismatica da influenzare future generazioni di artisti.

FATTORI E TORINO

Nella primavera del 1863 Giovanni Fattori inviava alla mostra della Società Promotrice di Belle Arti di Torino la sua Ambulanza militare (Episodio dell’indipendenza italiana del 1859). Per presentarsi per la prima volta al pubblico torinese, l’artista aveva voluto riproporre il soggetto de Il campo italiano dopo la battaglia di Magenta che gli aveva assicurato la vittoria al Concorso Ricasoli, tappa fondamentale per l’avvio della sua carriera artistica.

La presenza di Fattori alle mostre allestite nella capitale subalpina – sia alle manifestazioni annuali della Promotrice sia alle Esposizioni Nazionali – si sarebbe ripetuta con cadenza regolare fino al 1902. Tra i suoi primi estimatori è il torinese Marco Calderini, brillante allievo di Antonio Fontanesi e autorevole animatore della scena culturale cittadina, che entra in contatto con lui per l’acquisto di una cartella di litografie, a testimonianza di un vivo apprezzamento anche per la sua opera grafica. Nel corso dei primi anni del Novecento, l’attenzione per l’opera di Fattori si intensifica sino a divenire il modello di un nuovo “ideale classico”: furono allora autorevoli collezionisti, come l’imprenditore Riccardo Gualino, ad arricchire le proprie raccolte con capolavori come il Ritratto della seconda moglie, conservato alla Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti a Firenze e presente in mostra.

Nel 1930, anno in cui aveva assunto la direzione del Museo Civico di Torino, Vittorio Viale riuscì ad assicurare alle collezioni torinesi la preziosa tavola Gotine rosse, dipinto appartenuto alle collezioni fiorentine di Giovanni Malesci e poi di Mario Galli e oggi custodito alla GAM. E proprio la vicenda dell’acquisto di Gotine rosse offrirà lo spunto per sottolineare la fortuna di Fattori e di altri artisti toscani dell’Ottocento a Torino nel segno di Lionello Venturi.

Eventi & Mostre / GAM

La mostra “Fattori. Capolavori e aperture sul ‘900”, che apre al pubblico dal 14 ottobre per proseguire fino al 20 marzo 2022, è organizzata e promossa da GAM Torino – Fondazione Torino Musei e da 24 ORE Cultura – Gruppo 24 ORE in collaborazione con l’Istituto Matteucci e il Museo Civico Giovanni Fattori di Livorno.

BIGLIETTI                                                     

Intero € 13,00 | Ridotto € 11,00

INFORMAZIONI E BIGLIETTERIA ONLINE

www.ticketone.it;  Call center e info line: 011/0881178

(dal lunedì al venerdì dalle 9.30 alle 18.00)

Orari di apertura della GAM di Torino:
  • Lunedì: chiuso.
  • Martedì: dalle 10.00 alle 18.00.
  • Mercoledì: dalle 10.00 alle 18.00.
  • Giovedì: dalle 10.00 alle 18.00.
  • Venerdì: dalle 10.00 alle 18.00.
  • Sabato: dalle 10.00 alle 18.00.
  • Domenica: dalle 10.00 alle 18.00.

 

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