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Grande Guerra

La ballata della Grande Guerra

20/12/2015 da Comitato Fiorentino per il Risorgimento

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Autore  Roberto Piumini
Prezzo € 14,00

Anno 2015

Pag. 96 p., ill.
Editore Franco Angeli
Età di  lettura da 7 anni

 

La guerra raccontata ai bambini, la guerra raccontata dai bambini: questo il capolavoro di un grande scrittore, illustrato dai capolavori di alcuni tra i tanti bambini delle scuole primarie che hanno partecipato al concorso, promosso da Ufficio Scolastico Regionale e Corriere.it/scuola, in occasione del centenario della Grande Guerra. L’incontro della poesia di Roberto Piumini, che ci trascina nel ritmo ciclico della ballata, con i disegni dei bambini, che raccontano la guerra e istintivamente ne dipingono la condanna, produce a sua volta un’opera coesa, da leggere e godere insieme, in famiglia o a scuola; un saggio didattico di Piergiovanni Genovesi, storico dell’età contemporanea, aiuterà l’insegnante o il genitore a far “esplodere” l’evento storico, offrendoci l’occasione di ripensare il passato immaginando, e magari progettando, un futuro migliore.

 

 

BALLATA DELLA GRANDE GUERRA
di Roberto Piumini
Dopo quasi cent’anni senza guerra,
si arma, nell’Europa, ogni potenza:
Quelle centrali vogliono più terra,
le altre potenze fanno resistenza.
Si sono già spartite i continenti,
l’Africa e l’Asia, imperi coloniali:
ma i potenti non son mai contenti:
l’Europa si prepara ad altri mali.
Si armano gli Stati, bellicosi,
navi da guerra e grossi cannoni,
si scambiano messaggi minacciosi,
si stringono alleanze, alzano toni.
In Serbia è ucciso un Duca: una scusa
ha l’Austria, per invadere il paese.
“E’ un’aggressione!” l’Inghilterra accusa,
lo stesso strilla il Governo francese.

Così scoppia la guerra, la maggiore
che, fino allora, il mondo abbia veduto,
la più piena di morti e di dolore,
la più orrenda in cui il mondo è caduto.
Ogni nazione crede alla vittoria:
“Viva la guerra!” si va proclamando.
Ogni nazione è convinta di gloria,
e partono gli eserciti, cantando.
Le madri e le mogli e le sorelle,
salutano i soldati alla partenza,
e quelli le salutano: “Ciao, belle!”
auguri, fiori, baci, non violenza.
I giovani arruolati se ne vanno,
restano a casa le donne e gli anziani
per fare tutti i lavori dell’anno,
pensando ai loro giovani lontani.

E dopo i canti e i baci, c’è la guerra,
fatta di corpi umani e di animali,
e spari, scoppi, sangue, fango, terra,
di qua o di là dal fronte, tutti uguali.
Dicevano, dall’una all’altra parte:
“Noi vinceremo in qualche settimana!”
Ma la guerra non è un gioco di carte, l
a fine si fa sempre più lontana.
Da meno di vent’anni, dagli uccelli,
hanno imparato gli uomini a volare,
e già, qui, come falchi sugli agnelli,
calano occhiuti, pronti ad artigliare.
Da aerei molto fragili, nel cielo,
cadono i semi della distruzione,
da casematte di cemento e gelo
sputa semi di morte il cannone.

Si scavano dei solchi nella terra,
così profondi, mai se n’è veduti:
dentro, viventi semi della guerra,
stanno i soldati, spaventati e muti.
Passano i mesi, il vento, le stagioni,
nelle trincee scende pioggia e neve:
dentro, bagnate, gelide legioni
di veterani, e sempre nuove leve.
In patria, nelle fabbriche, le donne,
che facevano, prima, i mestieri
di casa e orto, sporcano le gonne
con l’olio d’officina, tra i neri
sbuffi e il frastuono dei macchinari
al posto di operai, ora soldati:
ma, anche se son donne, gli orari
di produzione restano immutati.

L’industria della guerra fa faville,
si fabbricano armi a tonnellate,
gli industriali guadagnano a mille,
mentre le donne sono consumate.
Al fronte, sopra i campi di battaglia,
attacchi, contrattacchi, avanti, indietro,
dalle trincee, su, verso la mitraglia,
per conquistare solo qualche metro.
Se non si è feriti, o non si muore,
si va per qualche giorno in retrovia,
a riposarsi un poco dal terrore,
scrivere lettere di nostalgia.
Le leggono le donne, silenziose,
e, se i bambini vogliono sapere,
dicono loro solo poche cose,
le più gloriose, quelle più leggere.

La vita di trincea non è una vita,
è chiusa in una tomba a cielo aperto,
è un tempo cupo d’attesa impaurita,
un tempo di sussulto e di sconcerto.
C’è poco sonno, molto freddo e fame,
e topi e vermi e zecche sulla pelle,
puzzo di morti, di umano letame,
l’inutile splendore delle stelle.
E non c’è mai silenzio, sempre tuona
qualche cannone, un continuo fragore,
se senti il colpo è una cosa buona:
la palla viene prima del rumore.
E, nel silenzio, qualche volta arriva
il suono delle voci dei nemici,
voci come la tua, umana e viva,
vicine come quelle dei tuoi amici.

E altre voci, a volte, offesa e sfida,
anche al cielo, astiose e rabbiose,
battute sconce, lazzi, fischi, grida,
ordini di ufficiali, voci odiose.
La vita di trincea è vita morta,
cammina con le scarpe appesantite
dal fango e dal gelo, e si porta
sopra le spalle, altre morte vite.
Anche se non è proprio Carnevale,
ognuno ha una maschera attaccata,
perché c’è in giro un’aria che fa male,
un’aria che non va mai respirata.
Arriva in un confetto di cannone
che cade, esplode, e dopo un abbaglio,
si espande in uno stabile nebbione,
che ha un profumo di senape e aglio.

E’ nebbia che, se solo l’ho toccata
anche attraverso stoffa, gomma, cuoio,
mi dà vesciche, e se l’ho respirata
un poco troppo, poco dopo muoio.
Non sempre poi la maschera funziona,
la scienza, in questo campo, poco sa,
e poi l’industria, all’occasione buona,
non bada troppo alla qualità.
C’è anche chi s’oppone a quest’orrore,
ma, se lo fa al fronte, è condannato
per tradimento, o come disertore,
e viene fucilato, o impiccato.
Si muore in molti modi in questa guerra,
e se non riesce a ucciderti il nemico,
se non ce l’hai di fronte, chi t’atterra,
ti prende nella schiena il “fuoco amico”.

In terra, sotto terra, in aria, in mare,
quando, alla fine, vince il più forte,
questa orribile guerra può contare,
dieci milioni di persone morte.
Ma anche ai vivi, lascia quantità
di corpi ammalati o mutilati,
a volte ne rimane una metà,
mezze persone, resti di soldati

Reduci con la guerra nella mente,
col rombo del cannone nel pensiero,
senza lavoro, a morir lentamente,
dentro un presente disperato e nero.
E altri dolori e danni, immisurati,
le vedovanze e le orfanità,
città e paesi e case rovinati:
un’altra guerra è la povertà.

E le Potenze? Ahi, di nuovo pronte
a nuove discussioni, accuse, offese,
contendersi un fiume, mezzo monte,
a chiedere i rimborsi per le spese.
Non pensano alla pace come un bene,
ma come al tempo per i buoni affari.
Non pensano a levare le catene,
pensano a spartirsi terre e mari.
Se andranno avanti in questo modo,
temo fra dieci anni, o quindici, o venti,
al massimo ventuno, rivedremo
ancora sfide, e armi, e reggimenti,
ascolteremo ancora, sulla terra,
il suono, il tuono orribile e profondo,
un altro tempo di violenza e guerra,
un’altra guerra assassina del mondo.

 

 

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Le giornate del maggio del 1915 furono radiose ?

05/05/2012 da Adalberto Scarlino

Pubblichiamo volentieri l’intervento di Giorgio Ragazzini e la risposta di Adalberto Scarlino in merito all’editoriale di maggio , scritto come tutti gli editoriali mensili dal direttore Sergio Casprini, editoriale in cui si valorizzano allo stesso modo le ragioni ideali dei volontari toscani che combatterono a Curtatone e Montanara e quelle che mossero gli interventisti nel maggio del 1915 contro i neutralisti ed il governo italiano che non si decideva a dichiarare guerra all’Austria.

 Carlo Carrà Manifestazione interventista 1914

Al direttore

A proposito dell’editoriale sulle Radiose giornate di maggio, secondo me non è possibile darne un giudizio senz’altro positivo e addirittura da commemorare come momento  fondamentale della storia patria. Non parlo dell’interventismo e tanto meno di quello democratico, ma quelle giornate, che vennero dopo un lungo dibattito nel paese che era diviso a metà e con in carica un parlamento in prevalenza neutralista, furono fortemente segnate da manifestazioni cariche di minacce verso i neutralisti, con in testa l’odiato Giolitti, che D’Annunzio invitava ad uccidere chiamandolo “boia labbrone”, con il questore che dichiarava di non poter garantire la sua incolumità, con la folla che invase la Camera intimidendo i deputati, tanto che  Nitti, anni dopo, ne parlò come un’occasione in cui lo Statuto fu violato e la libertà conculcata. Insomma, niente che si possa mettere sullo stesso piano di Curtatone e Montanara.

Naturalmente questo non modifica il mio apprezzamento per l’efficace impegno e la passione con cui il Comitato Fiorentino per il Risorgimento ha contribuito a valorizzare la storia risorgimentale.

Giorgio Ragazzini

 

Al direttore

Nell’editoriale  è stata collegata con chiarezza la retorica dannunziana

( violenta e volgare nella fattispecie del 1914/1915 ) a quella, successiva

del regime. Giorgio Ragazzini fa bene ad evidenziare le differenze

fra la situazione e il clima del 1848 e quella del 1915.

Resta il fatto che le motivazioni ideali – e le convinzioni – delle migliaia e

migliaia di giovani ( e meno giovani, perché c’è chi chiese di partire

per il fronte cinquantenne o sessantenne ) volontari nella grande guerra

furono motivazioni di derivazione risorgimentale . E questo mi pare che anche

 Ragazzini lo ammetta, riconoscendo il valore dell’irredentismo,

dell’interventismo democratico. Sul tema esiste – tra i tanti – il capolavoro

di Adolfo Omodeo, ” Momenti della vita di guerra , dai diari e dalle lettere

dei Caduti, Laterza 1934 e poi Einaudi, 1968.

Grandi liberali come Giolitti e Croce erano favorevoli alla neutralità.

Circa trecento parlamentari fecero avere allo stesso Giolitti i loro

biglietti da visita , in segno di vicinanza di fronte agli attacchi sguaiati

di nazionalisti e futuristi ; ma non andarono molto oltre.

Adalberto Scarlino

Archiviato in:Tribuna Contrassegnato con: Austria, Grande Guerra

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L’editoriale del direttore

La sempiterna questione meridionale

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