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8 marzo. Storia di due donne, la rivoluzionaria francese e l’italiana garibaldina.

08/03/2018

Oh! Liberté, que des crimes on commet en ton nom.

Lo disse l’8 novembre 1793 Marie-Jeanne Roland de la Platiere, mentre la carretta dei condannati a morte, su cui lei si trovava contre son gré, passava davanti alla statua della Libertà. Quando veniva condotta alla ghigliottina la viscontessa Marie-Jeanne Roland era una bella signora di trentanove anni, nata Manon Philipon, chiamata da molti semplicemente Madame Roland. Era moglie non-sottomessa, amica e consigliera di Jean Marie Roland, visconte de la Platière, Ministro dell’interno di Luigi XVI, di vent’anni più anziano di lei, che sposò giovanissima.  Progressista e simpatizzante del Grande Cambiamento del 1789, Madame Roland era divenuta l’animatrice dei salotti girondini. Dopo la caduta dei girondini venne arrestata e condannata a morte: condotta alla ghigliottina, passando dinanzi alla statua della Libertà avrebbe pronunciato quella frase: Oh Libertà, quanti delitti si commettono in tuo nome!

Il marito, sfuggito fortunosamente alla ghigliottina, si suicidò pochi giorni dopo la morte della moglie. Non aveva la tempra di lei, ma l’amava. 

Se non sacrifichiamo la nostra vita per la libertà, presto non potremo fare altro che piangere per essa. È un’altra frase di Madame Roland, di qualche tempo prima. Forse pensava già da allora a come le cose avrebbero potuto andare, aveva qualche timore per sé e per i suoi amici, ma la coscienza non le lasciava altra scelta.

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E se non fosse stato che era donna…

Siamo ancora in  marzo, non più in Francia ma in Toscana, ed è passato più di un secolo. All’inizio di questa  primavera del 1862, a Firenze, il freddo ancora si fa sentire, e Tonina Masanello, di anni ventinove, sta morendo di tisi.

 L’abbiam deposta, la Garibaldina

all’ombra della Torre di San Miniato

con la faccia rivolta alla marina

perché pensi a Venezia, al lido amato.

Era bionda, era bella, era piccina

ma avea cor di leone e di soldato.

E se non fosse stato che era donna

le spalline avria avute e non la gonna

e poserebbe sul funereo letto

con la medaglia del valor sul petto.

Ma che fa la medaglia e tutto il resto?

Pugnò con Garibaldi, e basti questo!

Sembrano le strofe di un cantastorie le parole di addio del poeta garibaldino Francesco dall’Ongaro, autore dell’epitaffio di Antonia Masanello.

Le stesse parole, scritte sulla pietra, si leggono  nel Quadrato Garibaldino del cimitero fiorentino di Trespiano, verso il Monte Morello, la montagna partigiana.

Lei, Antonia detta Tonina, era nata nel 1833 nel padovano da una famiglia contadina. Iniziò giovanissima a cospirare contro gli austriaci insieme all’uomo che avrebbe sposato, certo Marinello. La coppia aiutava liberali e sovversivi ad espatriare dal Lombardo-Veneto e raggiungere il Piemonte. Sospettati dalla polizia di essere attivisti mazziniani, sarebbero stati certamente arrestati se all’inizio del 1860 non si fossero trasferiti a Modena.

In quei mesi si stava preparando la spedizione dei Mille in Sicilia. Antonia e il marito lasciarono la figlioletta nata da poco ad un amico modenese e raggiunsero Genova, dove appresero che le navi “Piemonte” e “Lombardo”, su cui erano imbarcati i garibaldini, erano appena salpate per la Sicilia.

Non si persero d’animo, si imbarcarono poco dopo  al seguito della spedizione di rinforzo, guidata dal  pavese Gaetano Sacchi, che doveva unirsi ai garibaldini in Sicilia. 

Raggiunsero i Mille a Salemi il 16 maggio, all’indomani della Battaglia di Calatafimi. Tonina si arruolò, fingendosi uomo, come  Antonio Marinello, nome del fratello del marito, e venne inquadrata nel terzo reggimento della Brigata Sacchi, partecipando a tutta la campagna di liberazione del Sud Italia. Fu con ogni probabilità la sola donna garibaldina del 1860, se si esclude la moglie di Francesco Crispi, che aveva seguito i Mille dallo scoglio di Quarto. Pochissimi conoscevano la sua reale identità: il maggiore Bossi, il colonnello Ferracini e lo stesso Garibaldi, che l’avrebbe vista con i capelli sciolti, nel mezzo di uno scontro a fuoco. Quando tutto fu finito, con le vittorie che consentirono a Garibaldi di consegnare il sud Italia a Vittorio Emanuele, in obbedienza al Re le camicie rosse furono smobilitate. Antonia Masanello conseguì i gradi di caporale e il “congedo con onore” sotto il falso nome di Antonio Marinello. Poi lei e il marito tornarono a Modena, ripresero la loro bambina e si trasferirono a Firenze. Apparentemente dimenticati, vissero in povertà, come già avevano vissuto. Quando Tonina si ammalò, morì e fu sepolta nel cimitero fiorentino di San Miniato.

Livio Ghelli

 

Pubblicato in: Lettere al Direttore
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