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2015: tre anniversari che Firenze deve saper onorare

01/01/2015 da Sergio Casprini

editorialesergio

Il 24 maggio del 1915 l’Italia dichiarò guerra all’Austria e quindi il prossimo anno si commemora il centenario di questo evento, che al momento ha suscitato solo in parte l’interesse dei media, dai libri,  agli articoli sui giornali, a qualche film, ed ha lasciato indifferenti le nostre istituzioni sia a livello nazionale che locale.

Gli italiani a differenza dei Francesi e degli inglesi , pur avendola vinta, non amano ricordarla anche se è stato uno dei momenti fondativi della nostra Unità Nazionale.

La ragione sta soprattutto nell’ideologia pacifista, ormai da anni religione civile della nostra cultura popolare. Secondo questa visione irenica ed astorica ogni guerra è ingiusta, a maggior ragione la Grande Guerra condannata allora da Benedetto XV come un’inutile strage e che oggi infatti viene spesso ricordata come il frutto di un impazzimento collettivo, una” follia armata”come si legge per esempio nella presentazione della mostra su Viani e la Grande Guerra , recentemente inaugurata a Viareggio. Il mondo della chiesa non fu però compatto dietro le posizioni del pontefice e vanno ricordati i molti sacerdoti che come cappellani militari andarono a servire la Patria sul fronte bellico.

A Firenze nel 1912 Don Giulio Facibeni era viceparroco a Rifredi nella pieve di S. Stefano in Pane, zona popolare e operaia di Firenze. Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale don Giulio pensò di alleviare il disagio delle famiglie rimaste senza gli uomini, aprendo il 1° luglio 1915, presso la Pieve di S. Stefano, un ‘nido per i figli dei richiamati’, cioè un asilo gratuito e gestito dai volontari della parrocchia. Anche don Facibeni però dovette partire per la zona di guerra; come cappellano militare nel luglio 1916 era sul fronte dell’Isonzo e poi sul Monte Grappa. Per la sua dedizione ai fanti in trincea gli fu concessa la medaglia d’argento. Ritornò a Rifredi nel 1919 e nel 1923 don Giulio pensò di occuparsi dei bambini orfani di guerra e pose la prima pietra dell’Opera della Divina Provvidenza Madonnina del Grappa. Ricordare tra i tanti umili eroi di quel drammatico conflitto Don Facibeni sarebbe appunto l’occasione per ridare il giusto valore, anche a Firenze, a quel significativo evento storico che fu la Grande Guerra.

Dal 1865 fino al 1870 Firenze fu capitale del giovane stato italiano, non fu un’esperienza indolore, dovendosi trasformare da una Firenzina Granducale e medievale ad una città moderna ed europea, ma altresì fu l’occasione per promuovere un intenso rinnovamento culturale ed economico senza rinnegare la tradizione di città d’arte e soprattutto per progettare una nuova forma urbis che avrebbe poi condizionato il successivo sviluppo di Firenze. L’architetto Giuseppe Poggi fu il principale artefice della trasformazione urbanistica della città, un progetto che negli anni successivi suscitò critiche presso storici ed architetti per aver dato luogo ad operazioni speculative ed immobiliari, riducendo al lastrico le finanze cittadine, ed aver risanato il centro storico, cancellando le antiche vestigia medievali.

Pur tuttavia il degrado attuale del centro storico, dalla movida selvaggia di notte ad un turismo di massa di giorno senza regole, dalla scomparsa di teatri, caffè e negozi storici all’invasione di locali commerciali, volgari e senza identità, fa rimpiangere il decoro urbano, la modernità della Firenze ottocentesca.

Nel 2015 le celebrazioni per i 150 anni di Firenze Capitale possono essere quindi l’occasione per riflettere sulle sfide urbanistiche che attendono la città nel prossimo futuro a partire da un nuovo risanamento del centro storico, senza ripetere gli errori del passato in fatto di trasparenza di appalti e di commesse, ma recuperando anche quel senso di misura e di equilibrio, tipicamente fiorentini, di cui aveva dato prova Giuseppe Poggi nel metter mano al suo piano urbanistico.

A maggio del 2015 ricorrono i 750 anni della nascita di Dante e ed in suo onore sono previste manifestazioni non solo a Firenze ma anche a livello nazionale. Tra l’altro proprio il 14 maggio del 1865 l’inaugurazione del suo monumento in piazza Santa Croce alla presenza del re Vittorio Emanuele II sancì ufficialmente l’inizio dell’esperienza di Firenze Capitale.

La statua del sommo poeta, che nei canti della Divina Commedia aveva incarnato l’idea dell’Unità della Patria, era l’immagine più degna per onorare in quegli anni i valori e le idealità del Risorgimento

Dante va ricordato soprattutto come padre  della lingua italiana.

… nella Commedia, ha talmente potenziato la giovane lingua italiana da lasciare in eredità agli scrittori che sono venuti dopo di lui uno strumento che permetteva di parlare di tutto, mentre, come l’aveva ricevuta lui dai predecessori, era capace di parlare solo di poche cose. È stato calcolato che il 90% del lessico fondamentale dell’italiano in uso oggi (cioè il 90% delle 2000 parole più frequenti, che a loro volta costituiscono il 90% di tutto ciò che si dice, si legge o si scrive ogni giorno) è già nella Commedia … ( Mirko Tavoni- Enciclopedia Treccani)

In tempi oggi di globalizzazione economica e culturale la lingua italiana, impoverita da anglismi e fonemi digitali, non testimonia più come una volta l’identità nazionale e questo avviene soprattutto nelle aule scolastiche, quando invece la scuola pubblica in Italia è nata con il compito di trasmettere un’idea forte del nostro Paese, i caratteri e le vicende della collettività che lo abita, la sua tradizione artistica e culturale.

Il prossimo anno sulla Grande Guerra, Firenze e Dante a Firenze sono previste manifestazioni commemorative, che rischiano però di essere retoriche e meramente rievocative se non si riuscirà a coinvolgere in maniera attiva i cittadini, chiamandoli a riflettere sui destini dell’Italia e della loro città.

A partire quindi dalle scuole chiamate anche esse ad onorare i tre anniversari del 2015: senza amor di Patria, senza la conoscenza delle tradizioni storiche e della madrelingua, i giovani italiani saranno sicuramente più indifesi sul piano politico e culturale rispetto ai loro coetanei europei ed incapaci quindi di affrontare le sfide difficili della modernità dei nostri tempi!

 

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