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Spadolini, vocazioni di un laico

13/06/2025

Cent’anni fa a Firenze nasceva il futuro segretario del Partito repubblicano e capo del governo che fu anche direttore del Corriere della Sera

Dopo che per più di 35 anni la presidenza del Consiglio era stata monopolio della Democrazia cristiana, nel 1981 approdò a Palazzo Chigi un laico: il fiorentino Giovanni Spadolini, segretario del Partito repubblicano ed ex direttore del «Corriere della Sera». All’epoca aveva 56 anni, essendo nato il 21 giugno 1925: tra pochi giorni ricorrerà il centenario.

Se si chiede a quale modello Spadolini si sia ispirato come uomo di governo, i pareri sembrano concordi. Il suo punto di riferimento ideale era Giovanni Giolitti, lo statista liberale che aveva traghettato l’Italia dalla crisi di fine Ottocento, con il rischio di una svolta autoritaria, verso una lunga fase di crescita economica e di progresso civile. Un mediatore, ma capace anche di prendere decisioni impegnative. «Lo stile di governo giolittiano — osserva Cosimo Ceccuti, presidente della Fondazione Spadolini Nuova Antologia — gli era congeniale: vagliare tutte le forze in campo e poi cercare un minimo comune denominatore indirizzato a far avanzare l’Italia. Inoltre, Spadolini aveva studiato attentamente la condotta dei cattolici nel periodo postunitario e aveva apprezzato la capacità mostrata da Giolitti di attuare una sorta di conciliazione silenziosa con la Chiesa, favorendo l’ingresso dei credenti con un ruolo attivo nella vita politica. Da presidente del Consiglio, Spadolini preparò la revisione del Concordato del 1929, che poi fu condotta in porto da Bettino Craxi».

Un altro tratto della politica giolittiana era stato il rapporto costruttivo instaurato con il movimento operaio. E anche l’ex direttore del «Corriere» agì in quel senso, ricorda Paolo Soddu, curatore del volume di prossima pubblicazione Ugo La Malfa e Giovanni Spadolini, la storia e le memorie pubbliche (Viella). «Siamo nel periodo del pentapartito — ricorda — e si trattava di gestire equilibri delicati dovuti alla conflittualità tra Dc e Psi. Ma Spadolini, che aveva instaurato un rapporto molto positivo con il presidente della Repubblica socialista Sandro Pertini, si confrontava spesso anche con il leader comunista Enrico Berlinguer, che incontrava riservatamente nell’appartamento di Antonio Maccanico, segretario generale del Quirinale».

Prima dello Spadolini politico e direttore di quotidiani viene tuttavia lo storico. Uno studioso molto precoce e innovativo, sottolinea Ceccuti: «Pubblica i suoi primi saggi poco più che ventenne. Nel 1948 esce Il ’48. Realtà e leggenda di una rivoluzione: lui lo manda a Gaetano Salvemini, che si dichiara entusiasta, e a Benedetto Croce, che è più cauto, ma ne apprezza l’ardore giovanile. Nello stesso anno Spadolini comincia a scrivere sul “Messaggero” diretto da Mario Missiroli e nel 1949 sul settimanale “Il Mondo” di Mario Pannunzio». In questa fase, prosegue Ceccuti, il suo campo di ricerca privilegiato è il mondo cattolico: «Nel 1950 pubblica Il papato socialista, un libro che viene attaccato dai gesuiti. Erano tempi di guerra fredda e di scomuniche. Eppure, l’intento di Spadolini era proprio valorizzare la dottrina sociale della Chiesa, a cominciare dall’enciclica Rerum novarum emessa nel 1891 da Leone XIII. In questo seguiva un suggerimento di Pannunzio: fino a quel momento la storiografia sull’Ottocento si era occupata soprattutto dei governi e della diplomazia, aveva esplorato l’opera della classe dirigente liberale, ma bisognava adesso ricostruire le vicende delle forze più rappresentative dei ceti popolari. Quindi, dopo diversi saggi sui cattolici, Spadolini pubblicò nel 1960 I repubblicani dopo l’unità, per illustrare l’attività svolta dai seguaci di Giuseppe Mazzini, con le cooperative e le società di mutuo soccorso, nei primi decenni dello Stato monarchico in cui non si riconoscevano».

Nel frattempo, Spadolini era diventato direttore del «Resto del Carlino» a soli trent’anni, nel 1955. E nel 1968 approdò in via Solferino. Secondo Raffaele Liucci, autore con Pierluigi Allotti del saggio storico Il «Corriere della Sera» (il Mulino, 2021), forse sarebbe stato meglio per lui arrivarci prima, come del resto era stato ipotizzato: «Spadolini era un uomo di elevata statura culturale, ma la sua mentalità un po’ ottocentesca lo lasciò spiazzato di fronte alla contestazione giovanile del Sessantotto. Lesse le agitazioni come uno scontro tra opposti estremismi, mentre all’epoca, tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta, la violenza di destra era molto più diffusa e aggressiva di quella di sinistra. Però si è esagerato nel criticare il “Corriere” di quel periodo in quanto sostenitore della pista anarchica per la strage di piazza Fontana. Gli indizi contro Pietro Valpreda erano significativi e anzi io tendo a credere che non fosse del tutto estraneo ai fatti, anche se di certo a organizzare l’eccidio furono i neofascisti».

Nel 1972 Spadolini fu sostituito da Piero Ottone alla guida del «Corriere». Ma subito gli arrivò la proposta di candidatura al Senato nelle liste del Pri. «Ugo La Malfa — nota Soddu — capì che si trattava di una personalità dalla spiccata vocazione politica, che avrebbe rafforzato l’autorevolezza dei repubblicani». Non a caso Spadolini entrò al governo poco dopo, nel 1974, e istituì il ministero dei Beni culturali, riprendendo le battaglie che il suo «Corriere» aveva combattuto per la difesa del patrimonio artistico e ambientale — «in particolare sotto l’impulso di Giulia Maria Crespi», ricorda Liucci — con gli articoli di Antonio Cederna e Indro Montanelli. Quindi nel 1979 Spadolini fu eletto segretario del Pri. E proprio Montanelli, che a volte lo punzecchiava amichevolmente, allora lo lusingò con un fondo sul «Giornale». «L’articolo — rammenta Ceccuti — s’intitolava Il segretario fiorentino, quindi richiamava la figura di Niccolò Machiavelli. Spadolini impazzì di gioia. Proprio in quel periodo, pur in aspettativa dall’università, stava intensificando i suoi studi sulla storia di Firenze, alla quale era fortemente legato. Nel 1977 aveva trasferito nella città toscana, da Roma, la storica rivista “Nuova Antologia”, di cui era uno dei principali animatori già da molti anni e che diresse fino alla morte nel 1994».

Il suo prestigio culturale, sostiene Soddu, contribuì anche a rafforzarne la popolarità all’epoca dei due governi da lui diretti, tra il 1981 e il 1982: «Appariva un politico diverso rispetto a quelli cresciuti negli ambienti di partito. E l’appartenenza alla società dei colti gli era riconosciuta anche nel mondo intellettuale, per esempio da molti ex esponenti del Partito d’azione: non solo quelli vicini al Pri, come Leo Valiani, ma anche il filosofo torinese di orientamento socialista Norberto Bobbio. D’altronde Spadolini da presidente del Consiglio s’impegnò seriamente sul piano della questione morale, all’indomani dello scandalo P2, sostituendo i vertici militari inquinati dalla loggia di Licio Gelli». Un’altra sua caratteristica spiccata era l’atlantismo: «Lavorò sempre — conclude Soddu — per mantenere salda l’alleanza tra l’Italia e gli Stati Uniti, peraltro in sintonia con l’eredità di La Malfa. Importante fu anche la fermezza di Spadolini verso il terrorismo internazionale, che lo distingueva rispetto agli atteggiamenti di indulgenza verso il mondo arabo di leader come Craxi e Giulio Andreotti».

Antonio Carioti   Corriere della Sera 12 giugno 2025

Pubblicato in: Tribuna
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