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Piero Calamandrei e la Grande Guerra

11/09/2014 da Sergio Casprini

La Grande Guerra fu un’«inutile strage», come la definì fin dall’inizio il Papa del tempo ,Benedetto XV? Ancor prima che comincino le commemorazioni il prossimo anno del centenario dell’entrata in guerra dell’Italia nel conflitto degli stati prima a livello europeo e poi a scala mondiale stanno uscendo nel nostro paese pubblicazioni ed articoli di giornali che confermano questo netto giudizio del papa, denunciando le cecità dei politici di quegli anni, le bugie della propaganda, gli orrori delle trincee, la crudeltà degli ordini, i disagi disumani della vita quotidiana, la carneficina degli assalti.

La Grande Guerra viene così spogliata di qualunque significato storico-politico suo proprio.

Alcuni quotidiani hanno riportato recentemente l’episodio dell’estate del 1916 che vide protagonista Piero Calamandrei (Firenze, 21 aprile 1889 – Firenze, 27 settembre 1956) ,allora 27enne, fresco ordinario di procedura civile a Messina e di stanza al fronte col grado di tenente.

Otto disgraziati fantaccini persisi nelle notti della Valmorbia – il Trentino e le trincee labirintiche della Grande Guerra -, dovevano essere condannati per diserzione. E almeno uno di essi doveva essere fucilato, così, «per dare l’esempio». La storia, autobiografica, è al centro del racconto Il mio primo processo, che lo stesso Calamandrei pubblicò nel 1956 sulla sua rivista, «Il Ponte », ed ora esce di nuovo nelle Edizioni Henry Beyle ( pp.42, euro 22) . Il futuro grande giurista, proprio in virtù della sua presunta abilità avvocatizia, venne scelto come difensore nel processo contro gli otto disertori. Calamandrei vinse sollevando un errore di procedura: «secondo l’art. 559 del codice penale militare i tribunali straordinari si convocano «per dare un pronto esempio di miliare giustizia». Qui il fatto è avvenuto già da tre settimane: tutti questi soldati per tre settimane hanno fatto il loro dovere in trincea, due sono anche morti. L’urgenza dell’esempio non c’è più…», espose.Nella tensione generale il giovane difensore trovò sponda nel pm -un avvocato di Padova-; il giudizio fu sospeso, i soldati in seguito assolti.Quindi se Calamandrei ebbe ragione nei confronti delle alte gerarchie militari, che senza dubbio mostrarono in questo caso come in altri episodi ottusità di giudizio ed ingiustificato autoritarismo, in altri suoi scritti racconta le marce, l’addestramento militare, le esercitazioni tattiche, il trambusto durante le offensive, e contemporaneamente descrive la bellezza dei paesaggi e dei luoghi della guerra che vorrebbe visitare quando questa sarà finita. Calamandrei, peraltro, fu il primo ufficiale italiano ad entrare nella città di Trento ormai liberata. Così scriveva il 4 novembre 1918. “Ieri alle 13,30 sono stato io il primo soldato italiano a entrare in Trento ancora tenuta dalla marmaglia austriaca, ora siamo quì tutti in tumulto di festa

Infine in un altro contesto storico, durante la seconda guerra mondiale in una pagina del suo diario del maggio 1940, andando con la mente all’ingresso in guerra dell’Italia contro l’Austria Ungheria ventidue anni prima, ricorda con malinconia struggente l’atmosfera del giorno dell’intervento, del 24 maggio del 1915: “La notte fummo fino a tarda ora a cantare Trento e Trieste per le vie del centro. C’erano con noi Mazzini, Garibaldi, Carducci…e Battisti vivo: e tutto il Risorgimento e tutta la nostra civiltà!”, riaffermando così le ragioni del suo interventismo di allora e del suo amor patrio.

Perché è vero, tutte le guerre sono un’«inutile strage»: ma si dà il caso che esse abbiano quasi sempre il notevole effetto di cambiare il mondo. Ed è per questo che meritano di essere ricordate e studiate appunto storicamente.. Non già nel modo in cui noi stiamo per ricordare la Grande Guerra, nel quale si riflette quasi esclusivamente la nostra temperie culturale di oggi.

Quindi se è vero che ad ogni fatto del passato non possiamo che guardare con i nostri valori, è pur vero che tale prospettiva dovrebbe però trovare il suo limite nella capacità di calarci nel passato stesso, di storicizzare, come si dice. Cioè di non giudicare meccanicamente le cose di ieri con il metro di oggi. Ai milioni di morti della Grande Guerra e al loro sacrificio almeno questo lo dovremmo !

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