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«Mio bisnonno D’Annunzio» e una guerra sbagliata

12/11/2018

Lettere al Corriere della Sera 10 novembre 2018

Caro Aldo, sono il pronipote di Gabriele d’Annunzio.  Mi permetta di suggerirle un percorso di lettura. Prima un testo minore, Giovanni Episcopo, una scrittura piana e inaspettata che nasconde tutti i fuochi successivi. Poi si immerga ne L’innocente, un dramma violento, truce ed ossessivo. E si lasci conquistare dalla infinita dolcezza dell’Alcyone. Forse il sentimento nella poesia di d’Annunzio le regalerà una maggiore intimità con i suoi stessi sentimenti. Egli amava la nostra Patria e volle una guerra che si voleva rapidissima e fu invece un eclisse. Ma fu un eroe moderno. E mi creda. Mai, mai, mai fu assassino. Conosco Gabriele da molti anni, negli splendidi o pessimi dettagli. Ma l’amore per la vita restò un valico insormontabile, sino alla fine, sino alla scrittura del suo ultimo Diario Segreto, il canto di un uomo vinto, aggrappato al futuro, alla nuova lingua che stava crescendo e che avrebbe voluto attecchisse sul suo tronco ormai arido. Ma uccidere no. Non gli faccia questo torto. Gabriele d’Annunzio è ancora da scoprire, e troveremo forse solo del bene. Perché del male si è scritto anche troppo.  Federico d’Annunzio

Caro Federico, Grazie per le sue parole signorili e cortesi, così distanti da quelle volgari e ingiuriose di chi ha sollevato la questione. Non discuto la grandezza letteraria di suo bisnonno, né l’ho mai definito assassino. È oggettivo però che d’Annunzio provocò la morte di centinaia di fanti nell’assalto impossibile al castello di Duino, e più in generale ebbe un ruolo importante nel trascinare l’Italia nel più spaventoso conflitto che l’umanità avesse mai conosciuto. Altro che «guerra rapidissima»; nel maggio 1915 la guerra si era già rivelata una spaventosa carneficina, di cui non si vedeva la fine. Resto convinto che prendervi parte fu un errore, che provocò 650 mila morti, patimenti inauditi, e gravi conseguenze politiche. Questo non impedisce né di celebrare il sacrificio dei nostri nonni, né di riconoscere il carattere fondativo che quella guerra finì per avere. Su questo punto sono stato garbatamente criticato da Eugenio Scalfari, secondo cui «una guerra non fa una nazione». Si potrebbe sostenere il contrario: gli Stati nazione sono nati quasi sempre dalle guerre. L’Italia invece è nata dalla cultura, dall’arte, dalla bellezza. Ma il Piave è un elemento dell’identità nazionale. La Grande Guerra fu la prima prova dell’Italia unita. Potevamo essere spazzati via; dimostrammo di essere un popolo, una nazione. Aldo Cazzullo

Pubblicato in: Rassegna stampaTag: bellezza
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