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“L’anima buona di Cenno Cenni” negli anni del Risorgimento nella Romagna Toscana

24/11/2025

Intervento di Fabio Bertini mercoledì pomeriggio 19 novembre 2025 nella Sala di Firenze Capitale a Palazzo Vecchio in occasione della presentazione del libro di Caterina Minardi CENNI DAL LONTANO PASSATO

“L’anima buona di Cenno Cenni” negli anni del Risorgimento nella Romagna Toscana

Il libro “Cenni dal lontano passato”, edito da “Il Ponte Vecchio” nel 2025, e curato da Caterina Mambrini contiene, accanto al memoriale commentato di Cenno Cenni, un’appendice corposa di casi dalla grande eco nazionale che in modo più o meno diretto coinvolsero vicende della famiglia Cenni di Galeata. Erano quelle di Nicola Cenni: pubblico Ministero nel processo di Cristiano Lobbia (1869), con un ruolo non esaltante e Presidente del Tribunale nel processo ai Lazzarettisti di Arcidosso (1879). I materiali dei due eclatanti processi sono di grande rilievo e ad essi si aggiunge il bel ritratto femminile della Ernesta Cenni Bezzi Castellini, “donna discreta, devota, silenziosa” e caritatevole, con il cospicuo lascito alla Congregazione di carità di Galeata per il Ricovero dei vecchi. Ma io intendo occuparmi soprattutto della vicenda di Cenno Cenni.

Si riconosce, infatti, attraverso l’identità di un paese romagnolo, Galeata, un certo profilo del Risorgimento toscano, quello che passa per le piccole élites, nella continuità dei nomi e delle proprietà che porta dal riformismo leopoldino all’Unità nazionale e oltre. La sottoscrizione del gonfaloniere Francesco Cenni, nel 1834, per una statua a Pietro Leopoldo, aveva la doppia valenza, il riconoscersi in un percorso di mutamento progressivo e il dare un segnale al Granduca in carica, Leopoldo II. E in quello stesso anno la casa dei fratelli Cenni, Francesco, Alessandro e Bartolomeo, ospitava il Granduca, ed era un servizio alla Comunità che poté avere due anni dopo l’inizio dei lavori per la Traversa da Bagno di Romagna a Rocca San Casciano per Santa Sofia e Galeata.

Quello di Galeata era un notabilato che si rifletteva negli incarichi ai gonfalonieri, a lungo passati tra il notaio Carlo Virgili, Francesco Cenni, Carlo Virgili, Carlo Cenni fino al 1843, Bartolomeo Cenni fino al 1849. Ma i contesti non erano mai gli stessi. Bartolomeo (padre di Cenno Cenni) all’inizio del suo mandato, si trovò a gestire una cruciale fase politica, aperta in certo modo dall’arrivo a Galeata dei resti dei rivoluzionari delle Balze nel settembre 1845 e chiusa dalla caduta del Governo democratico Guerrazzi ad aprile 1849. Fase questa coincidente in gran parte con la formazione e la crescita politica di Cenno Cenni, iniziata nel 1841 a Firenze presso gli Scolopi, e proseguita dal 1842 nel Seminario di Pienza, poi ancora a Siena e ancora a Firenze, obbligato a indirizzarsi sul Notariato con qualche reticenza.

Fase di grandi fermenti che toccavano l’anima di Galeata: Ferdinando Zannetti protagonista politico e sanitario-militare a Curtatone, “precursore” della Croce Rossa; la contrapposizione tra i moderati e i democratici, visti dai primi come fautori del disordine e della rovina toscana, come se non vi fosse un via vai di eserciti in Italia, come per tutta l’Europa, impegnati a reprimere il desiderio liberale di cambiamento. Quella interpretazione si incontra negli appunti del Memoriale Cenni, del giovane Cenno Cenni, in cui si ritrova l’idea dell’era Guerrazzi come tempo di “sfrenate licenze”. Eppure, tra le righe del testo e si direbbe dell’inconscio, si individua anche la delusione per quel colpo di stato frutto dell’alleanza tra moderati e reazionari che aveva abbattuto Guerrazzi. Era stato creato in nome della Monarchia costituzionale e il Moderatismo progressista si ritrovava il «ritorno di Leopoldo II in Toscana, di Pio IX a Roma seguiti il primo dai tedeschi (ma avrebbe dovuto dire preceduto), il secondo dai francesi, e dall’abolizione dello Statuto», un risultato ben gradito ai reazionari. Commenta giustamente Caterina Mambriniche«il suo ideale (di Cenno Cenni) è quello di un cauto riformismo che proceda senza scosse e senza eccessi», l’ideale insomma dei moderati, cambiare lo Stato senza incrinare l’ordine sociale. Non immobilismo ma cauto procedere.

Ma intanto la sconfitta dei democratici regolava i conti riguardanti Galeata. Se il concittadino professor Ferdinando Zannetti perdeva la cattedra per ritorsione sulle posizioni politiche, a Galeata tornava la consueta stabilità, quel tic tac dei Gonfalonieri che alternò Carlo Virgili dal 1850 al 1853, poi Alessandro Cenni, ancora Carlo Virgili, e così via. In quel quadro, per Cenno Cenni, al formarsi ormai ben definito dell’ideale politico, il “moderato progresso senza avventure”, si accompagnava la vicenda umana, la famiglia che cresceva, l’apprendistato notarile presso l’altro notabile, Carlo Virgili, le vicende della Comunità piegata da colera del 1855 che «fortunatamente» non fece «nessuna vittima nella nostra famiglia». Le analisi dei primi coraggiosi medici sociali del tempo, ancora non definibili così, ma tali di fatto, spiegarono a sufficienza allora perché le vittime erano più nelle catapecchie senza aria dei contadini e specialmente dei braccianti che nelle ariose ville padronali.

Ma si era appena all’inizio di un percorso su cui il ceto moderato dirigente più responsabile acquisiva consapevolezze sociali mentre cominciava a battere strade nuove. Caterina Mambrini registra con grande accuratezza le strategie economiche, compresi i sacrifici patrimoniali, intraprese da Cenno Cenni per dare un deciso indirizzo mezzadrile al patrimonio familiare, da governare in mezzo ai tanti fili ereditari e parentali. E spiega anche la scelta dell’investimento nella Filanda, coerente con una idea nuova dello sviluppo economico del territorio. Mezzadria e seta, chiave di volta di un processo di modernizzazione nella Romagna rurale, a disegnare il profilo del borghese moderno: notaio, agricoltore e manifatturiero cui era necessario misurarsi con la moderna idea bancaria.

 Cenno Cenni è personaggio adattissimo a dare il senso dei processi politici in corso, che lo resero protagonista sul piano politico da commissario per la Società Nazionale Italiana, nella fase che condusse alla Rivoluzione toscana del 27 aprile 1859, da guidare pur sempre come una “rivoluzione senza rivoluzione”. Le Memorie svolgevano il principio accennato sopra del “moderato progresso senza avventure”, ma celebravano Napoleone III, verso il quale sarebbe occorso, a giudizio di Cenno Cenni, riconoscere “un sacro debito di gratitudine”. Chiosa giustamente Caterina Mambrini giudicando ingenuo il ritratto di un Napoleone III “generoso” entrato in guerra con il solo fine dell’aiuto al Piemonte e, indirettamente all’Italia, come non avesse avuto una sua strategia di potenza europea, ma non va trascurato che l’Imperatore dei francesi costituiva anche un modello politico, la guida “autoritaria” di una dinamica moderna dello sviluppo.

Ma in fondo non era quello dell’analista politico il profilo più forte di Cenno Cenni che rimaneva sempre quello del coraggioso imprenditore. Non si può che essere d’accordo con Caterina Mambrini quando sottolinea il valore positivo del Cenno Cenni innovatore in agricoltura, presente alla Esposizione italiana agricola, industriale e artistica di Firenze del 1861, con grano, canapa, Trebbiano, Moscatello, Vin santo amabile, acqua minerale purgativa del Porfino e campioni di pietra da costruzioni. Appare questo il principale valore aggiunto, il senso di una modernizzazione da compiere che passa anche per la proposta alla Camera di riforma delle Condotte Medico – Chirurgiche. Il discendente Flavio Cenni ricorda giustamente in un rapido appunto, l’intento di sollecitare una migliore condizione degli ufficiali sanitari, dal salario alla pensione, il che voleva dire garantire meglio l’igiene anche nei paesi più isolati.

Ed era quella la cifra del riformatore illuminato e progressista, fautore delle scuole serali per adulti in cui lui stesso insegnò «Diritti e doveri del cittadino», altri l’Igiene e la Storia naturale, altri ancora Storia patria, Geografia fisica e politica e Tecnologia. Non sempre facile la vita del Gonfaloniere Cenno Cenni, dimissionario nel 1867 in polemica con lo Stato, lento e cattivo fornitore dei rimborsi ai Comuni per le spese sociali, nel continuo alzarsi del baricentro politico che si spostava verso il Collegio elettorale per la Camera. In virtù dei meccanismi elettorali, si selezionavano personaggi al di sopra del “Campanile”, come il Cirillo Monzani vittorioso alle Elezioni di Bagno di Romagna del 1867 e da allora a lungo dominatore.

Cenno Cenni rimaneva l’uomo della politica locale governata dai notabili, ma con strumenti nuovi, come la Banca di Depositi e prestiti di Santa Sofia fondata anche da lui nel 1870, indispensabile per lo sviluppo di quell’area romagnola che guardava ad Est. Anche il pensiero politico doveva necessariamente avere a punto di riferimento il quadro nazionale ed era cosa che Cenno Cenni riversava nelle “Memorie” di un conservatore illuminato, l’ammirazione per il Garibaldi dei Mille e di Teano versus  l’esecrazione per il Garibaldi di Mentana; l’amore per Vittorio Emanuele II espresso con il cordoglio per il «principe magnanimo, ardimentoso guerriero, acuto e saggio politico» a gennaio 1878 e il mese dopo la comprensione per il deceduto Pio IX, «padre serenamente amoroso, gran patriota», un patriottismo rovinato dallo stendhaliano rosso e nero, dalle “furie” del Clero oscurantista, non tanto di per se stesso, quanto «imbaldanzito dalle intemperanze dei democratici», così che il teorema illustrato per il tempo di Guerrazzi rimaneva valido nel 1878. Era sempre lo stesso, con i democratici sorta di cancrena di un buon quadro politico.

Con quelle coordinate ideologiche, Cenno Cenni tornava sindaco nel 1879, in una dinamica che avrà trovato inquietante, la penetrazione nel giovane modo delle Società operaie dei primi sintomi di internazionalismo e socialismo, variante delle radici mazziniane e garibaldine che pure restavano ancora fondamentali, in una società divisiva tra la borghesia massonica, e il popolo avvinto ai valori cattolici, di cui era buon esemplare il fabbricante di scarpe Giuseppe Facibeni, molto attivo e organizzatore di associazioni cattoliche legate al lavoro.

Un insieme di intrecci riguardava Cenno Cenni, politicamente vicino negli anni Ottanta all’esponente della destra reazionaria Luigi Guglielmo Cambray Digny (Caterina Mambrini lo definisce liberale moderato ma si potrebbe discutere); sindaco della Banca di depositi e prestiti di Santa Sofia insieme ad Antonio Facibeni, fratello del citato cattolicissimo Giuseppe, al centro dunque di una rete complessa e in movimento che rispecchiava la dinamica di un’area geografica anch’essa in movimento. Quel mondo era Galeata, a fine secolo ancora centro boschivo e agricolo, basato sull’economia del pascolo, del castagno, dei cereali, del gelso, ma con la filanda a vapore di Cenno Cenni, e con altre manifatture o attività artigiane. E soprattutto una Galeata dove era forte il peso dei fautori di un distacco dalla Provincia di Firenze, una sorta di secessionismo guidato dall’ufficiale proto-nazionalista Ruffillo Perini.

Un mondo profondamente cambiato nel trascorrere delle generazioni familiari da un Niccolò Cenni dell’epoca napoleonica, al Cenno Cenni descritto, ma ci si era arrivati spostandosi sempre più dal Campanile alla Nazione. Nella fase finale di Cenno Cenni il baricentro era più che mai a livello del Collegio elettorale nel quale emergeva in quegli ultimi anni un nuovo astro, il radicale ma non troppo Adolfo Bruincardi, l’uomo delle Ferrovie e delle infrastrutture, altra roba insomma rispetto al tempo che si chiudeva con la morte di Cenno Cenni, il 16 marzo 1898. Era stato uomo del suo tempo e l’essere stato insieme conservatore e progressista poteva consentire un verdetto positivo. Sei anni dopo la morte, all’inaugurazione di un suo ricordo marmoreo, il giornale socialista «Avanti!» scrisse di Cenno Cenni «anima buona che seppe meritarsi la gratitudine di tutto un paese per le sue opere di beneficenza

Fabio Bertini

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