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Cosa salvare del ‘15-18 Una risposta a Feltri

05/02/2018

Aldo Cazzullo  Corriere della Sera 30 gennaio

Caro Aldo,  Vittorio Feltri su Libero la pizzica sulla sua condanna del fascismo. Scrive in sostanza: è vero, la Seconda guerra mondiale fu un disastro; ma perché la stessa condanna non cala sui responsabili della Prima, che sparse ancora più morti? A me pare che l’obiezione di Feltri sia fondata.  Franco Campi, Roma

Caro Franco, Quando un grande giornalista come Vittorio Feltri ti critica, è sempre una buona notizia: intanto vuol dire che ti ha letto, e poi le critiche sono sempre più utili degli elogi. Anche a me l’obiezione pare fondata. Ci siamo già detti in questa pagina che ci sono troppe vie Luigi Cadorna in giro per l’Italia. Il nostro Paese entrò nella Grande Guerra in seguito a una forzatura ai limiti del colpo di Stato, che esautorò un Parlamento in maggioranza contrario al conflitto. I grandi partiti che si erano delineati con la recente introduzione del suffragio universale maschile, i popolari e i socialisti, alla guerra erano – con qualche eccezione – contrarissimi.

La responsabilità dell’intervento italiano però non fu di un dittatore, che non c’era, ma dei nazionalisti, di una parte della vecchia classe dirigente liberale – non Giolitti però –, di qualche ex socialista rivoluzionario come lo stesso Mussolini, degli intellettuali come D’Annunzio e Marinetti che avevano infiammato molti studenti. Va detto che non si trattava di attaccare la Grecia o la Francia, l’Inghilterra o la Russia, ma di liberare Trento e Trieste, città italiane per lingua, cultura, sentimenti (anche se a Trieste viveva una forte comunità slava). Nella primavera del 1915 tutte le medie e grandi potenze europee stavano già combattendo.

Fu però folle e criminale non tenere alcun conto delle lezioni che la guerra aveva già impartito, e mandare migliaia di uomini a morire contro i reticolati, seguendo una tattica sbagliata e assurda. Ma di quella guerra c’è una cosa che va salvata: il Piave. La patria nacque allora, nelle trincee. L’Italia poteva essere spazzata via; resistette. Dimostrò di non essere un’espressione geografica, ma un popolo, una nazione. I fanti contadini fecero quel che sapevano fare: badare alla terra, alla famiglia; evitare che anche alle donne da questa parte del Piave venisse fatto quel che stavano subendo le friulane e le venete sull’altra sponda del fiume. Per questo è giusto celebrare i cent’anni di Vittorio Veneto. E di questo non saremo mai abbastanza grati ai ragazzi del ’99, ai nostri nonni. Aldo Cazzullo

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La condanna e l’orgoglio possono stare insieme?

I lettori scrivono ad Aldo Cazzullo  Corriere della Sera 31 gennaio

A proposito della sua risposta sui ragazzi del ’15-18, penso anch’io che dovremmo sempre essere grati ai ragazzi di quella generazione che seppero difendere il nostro territorio e riscattare l’onore ferito dopo Caporetto. Furono loro, al di fuori da ogni retorica, a prendere per mano una Nazione in preda allo scoramento e a condurla alla vittoria. Io, per primo, sono pronto a criticare le nostre mancanze come popolo, ma è anche vero che qui si esagera, sempre pronti a disprezzare pure quanto di buono si può trovare.
Fabio Todini

Mio padre ha combattuto come tenente la battaglia del Piave in quella guerra che ci ha consacrato come Nazione. Allora l’Italia dimostrò di non essere un’espressione geografica, ma un popolo con una bandiera, una lingua, una storia. Dobbiamo perciò essere orgogliosi e grati ai nostri avi che si sono sacrificati per farci diventare come siamo. Tutto il resto è disfattismo.
Francesco Italo Russo

È giusto ricordare la vittoria del 1918 e i nostri avi immolati per la Patria spesso per l’incapacità dei comandanti. Ed è un vero peccato che, pochi anni dopo, quella stessa Patria sia stata consegnata a una dittatura ventennale culminata con un altro massacro dei figli di quei nonni.
Giuseppe Zaro

Tra i motivi a favore del consenso patriottico degli italiani vorrei ricordare il ricorso ai sei Prestiti nazionali lanciati dai governi che si erano succeduti tra il 1915 e il 1918 che ricevettero ampio consenso dai nostri connazionali.
Pier Giorgio Cozzi

Quando si parla giustamente del riscatto sul Piave, dobbiamo ricordarci dei meriti del generale Diaz, che cambiò la tattica assurda usata nei primi anni di guerra.
Enrico Orlando

Prima che neutralisti, i parlamentari di allora furono monarchici e governativi, sapendo che il principale leader neutralista, Giolitti, mai avrebbe sconfessato il re.
GianPaolo Ferraioli

Pubblicato in: Rassegna stampa
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