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Tre interventi su donne e potere in Italia ed in Europa

03/08/2019 da Sergio Casprini

Caro Direttore,

 il tuo editoriale di agosto è molto interessante, purtroppo in Italia negli ultimi anni  le cose non vanno così!
 Mi soffermo sulla storia recente il 20 giugno del 1979 Nilde Iotti, viene eletta presidente della Camera, prima donna nella storia dell’Italia repubblicana a ricoprire la terza carica dello Stato, anche la prima e unica a riconfermare l’incarico  per tre legislature fino  al 1992, il più lungo incarico nella storia repubblicana. Il 29 luglio del 1976 Tina Anselmi democristiana prima donna a ricoprire l’incarico di ministro del lavoro, ricordo queste due donne protagoniste perché in questi mesi-giorni ne abbiamo celebrato le ricorrenze. Eppure oggi nel nostro paese, nonostante donne presenti in cariche istituzionali e di governo si è  persa quella carica propulsiva innovativa di genere e resta impensabile l’accesso di queste alla guida del paese come alla leadership di forze politiche importanti.
Servirà un grande impegno di uomini e donne perché quella “freschezza di idee “ tenacia, passione e competenza possa  attecchire anche nel nostro Paese
Teresa Pasqui

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Caro Direttore,

hai fatto bene a dedicare l’editoriale agostano alla crescente presenza femminile nella sfera politica e alle sue radici. È una storia appassionante quella delle battaglie che hanno portato, nella parte del mondo più evoluta, a importanti conquiste; una storia tra l’altro raccontata in diversi bei film. Purtroppo a un certo punto è stata imboccata la scorciatoia della cosiddetta “discriminazione positiva” (l’esempio più noto è quello delle “quote rosa”). Con il determinante contributo dei maschi, evidentemente afflitti da senso di colpa, si è deciso che se le donne nelle istituzioni sono poche significa senza dubbio che vengono discriminate. Sarebbe come diagnosticare una meningite solo perché uno ha la febbre. Argomenti a sostegno della tesi: zero. Domanda: e se invece per diversi motivi le donne si interessassero e partecipassero di meno alla politica?

Gli studi in merito avanzano tre principali ipotesi:

– La prima: le vicende storiche hanno fatto sì che la politica venga considerata un territorio maschile e che ad associare alla leadership  ci siano qualità più “maschili” come competitività, aggressività, capacità di comando.

– La seconda ipotesi, che può benissimo convivere con la prima, è quella secondo la quale le donne hanno difficoltà a conciliare gli impegni familiari con l’attività politica.

– A conferma della terza ipotesi (sarebbero i colleghi maschi a impedire alle donne di accedere alle massime cariche), fino al 2006, anno delle mie ultime letture in proposito, si poteva portare una sola ricerca del 1995 sui comitati di selezione delle candidature in Gran Bretagna…

In ogni caso, la teoria della discriminazione sarebbe plausibile se ai livelli medio-bassi la presenza e la partecipazione femminile fosse analoga a quella maschile. Ma non è così. Per diversi anni, per esempio, io e te abbiamo fatto parte della Gilda degli Insegnanti e, a dispetto della forte femminilizzazione della categoria, la presenza maschile negli organi direttivi è sempre stata maggioritaria; e si stentava a coprire i posti disponibili…

Ma un’indicazione secondo me decisiva ce la può fornire la percentuale delle iscritte ai partiti. Se infatti risultasse che a questo livello minimo di partecipazione la presenza femminile è più o meno pari a quella maschile, l’ipotesi della discriminazione ne risulterebbe indirettamente suffragata.

Nel 2005 feci una mini-inchiesta sugli iscritti ai partiti. Solo due mi fornirono i dati. I Ds avevano il 69% di uomini e solo il 31% di donne. Quanto a Radicali Italiani, la quota di donne fra gli iscritti era ancora più ridotta: solo il 20%, nonostante la nota tradizione di avanguardia dei radicali in questo campo.

Dunque le misure che garantiscono una maggiore presenza delle donne negli organi di partito e nelle liste elettorali hanno una base farlocca (ultima quella, veramente illiberale, che vieta di utilizzare tutte le preferenze per candidati dello stesso sesso). E, quel che è peggio, introducono una distorsione del criterio che dovrebbe guidare queste scelte, cioè la selezione dei candidati sull’esclusiva base del merito.

Giorgio Ragazzini


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Caro Direttore,

come al solito fai un editoriale stimolante. Abbiamo appena discusso del libro sull’Emancipazione tra Europa e Toscana e mi sembra confermato come l’Ottocento sia stato fondamentale in quel processo in tutta Europa e non solo, con una progressiva conquista di posizioni. Prima di tutto il superamento di una presunta inferiorità antropologica  e intellettiva della donna; poi l’affermazione dei diritti in famiglia e nella società; il diritto all’istruzione; il diritto all’inserimento negli studi, poi nelle professioni e negli ordini professionali. In definitiva, il suffragismo non fu il primo dei pensieri delle donne più evolute, ma, naturalmente, era un giusto obbiettivo e fu sostanzialmente il Novecento ad affermarlo. Oggi tu poni il tema del potere. Il tema è più complesso perché il tema del potere riguarda effettivamente una parificazione che si va raggiungendo, ma, a mio avviso, la si raggiunge all’interno di un sistema di potere che resta ristretto e poco coerente con il sistema democratico.

Credo che ora si tratti di completare il processo accompagnandolo “per mano” in un più complesso sistema di garanzia e di affermazione della democrazia per tutti, secondo criteri di merito a prescindere, secondo la qualità dell’offerta politica che ha bisogno di ideali e gli ideali non hanno un genere ma richiedono grande impegno e sforzo corale di una società che dia a tutti le medesime possibilità di partenza e gli strumenti per affermarsi. A Occidente come a Oriente

Fabio Bertini

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