
La mente non ha bisogno come un vaso di essere riempita, ma piuttosto come legna di una scintilla che l’accenda e vi infonda l’impulso della ricerca e un amore ardente per la verità. Plutarco, Moralia
Mercoledì 15 ottobre la Commissione Cultura della Camera ha dato il via libera a un emendamento della Lega che introduce regole restrittive sull’educazione sessuo-affettiva nelle scuole italiane. Si stabilisce infatti che potrà essere impartita esclusivamente negli istituti superiori e solo dopo aver ottenuto l’autorizzazione esplicita dei genitori. Non solo: le famiglie dovranno essere preventivamente informate sui contenuti che verranno trattati e sul materiale didattico che sarà utilizzato durante le lezioni. Nelle scuole primarie e nelle secondarie di primo grado, invece, viene introdotto un divieto categorico: niente educazione alla sessualità in aula e, soprattutto, nessun intervento da parte di “attivisti ideologizzati” o “esperti esterni“. Subito a sinistra il Pd ha gridato allo scandalo (“Torniamo al Medioevo”) e anche la Cgil Scuola ha dichiarato la “grave ingerenza in materia di autonomia scolastica e libertà di insegnamento, lesiva del diritto di bambine, bambini e adolescenti ad una formazione finalizzata allo sviluppo globale della personalità”.
Al di là delle polemiche politico-ideologiche di destra e sinistra su tematiche pedagogiche, resta il vero problema posto dallo psichiatra e sociologo Paolo Crepet, che in un’intervista rilasciata al giornale “Il Tempo”, si è domandato: “Ma cosa siintende al di là dello slogan? Per dire: nei temi c’è un titolo e poi c’è uno svolgimento. Qual è lo svolgimento? Cosa vuole dire l’educazione sessuale-affettiva obbligatoria alle scuole medie? Chi va a insegnare e con quale curriculum? L’educazione di questo tipo ai ragazzi la fa il prete? Oppure l’insegnante di biologia? O un altro? Chi?”
Tra l’altro questo argomento si aggiunge a una molteplicità di “educazioni” che nel corso degli anni sono state introdotte nelle scuole e che tolgono ore di lezione alle materie curricolari, cioè quelle fondamentali per la formazione culturale e professionale che caratterizza ciascun indirizzo di studio. Tutto questo sembra non tenere conto che il numero delle ore di scuola rimane lo stesso; quindi, qualche argomento curricolare dovrà essere sacrificato. Aggiungiamo anche il ritorno dell’Educazione Civica, che, un tempo monopolio dell’insegnante di lettere, è stata “spalmata” su tutti i docenti, che dovranno suddividersi gli argomenti del programma, a scapito delle proprie discipline. Le ragioni di questo stravolgimento della didattica con il proliferare di molteplici urgenze educative stanno in primo luogo nell’aver affidato una funzione salvifica alla scuola rispetto alla società con le sue contraddizioni e i suoi mali, dalla guerra al femminicidio. Si tratta invece di rispettare la crescita cognitiva degli allievi, non considerandoli (cito Plutarco) un vaso da riempire con prescrizioni e precetti, ma piuttosto legna da accendere con una scintilla per creare in loro il desiderio di conoscenza, tramite il rigore e la disciplina dello studio.
È bene infine ricordare che, per poter svolgere pienamente i suoi compiti formativi, la comunità scolastica ha bisogno di comportamenti corretti nel rapporto fra gli studenti e tra gli studenti e i docenti; e non a caso negli ultimi tempi è tornato a valere il voto di condotta per sanzionare eventuali trasgressioni. Stare in modo rispettoso a scuola vuol dire di fatto sviluppare il senso civico tra gli allievi e di conseguenza il senso di appartenenza alla comunità scolastica e quindi poi alla comunità nazionale. E far rispettare le regole, questo sì è bene che lo facciano tutti docenti.
Proprio per queste ragioni, negli anni della costruzione della nazione italiana, di fronte all’alto tasso di analfabetismo e al monopolio dell’istruzione da parte della Chiesa cattolica, il giovane Stato italiano progressivamente promosse l’obbligo scolastico, istituendo la scuola pubblica a partire da quella elementare. E non esisteva allora l’aggiunta delle mille “educazioni”: si chiedeva solo ai giovani italiani di diventare dei buoni cittadini, di riconoscersi nei valori costitutivi della loro Patria, di “saper scrivere e far di conto” e di conoscere la storia del loro paese.
Sergio Casprini



Il segno delle donne di fine Ottocento