
Il conflitto sui dazi commerciali fra le nazioni europee e gli Stati Uniti ha portato a una prima intesa, tutta ancora da definire nei dettagli, fra Ursula von der Leyen e Donald Trump.
L’accordo ha suscitato reazioni diverse tra gli stati membri dell’Unione: la Francia ha parlato di cedimento ai ricatti di Trump; Germania e Polonia hanno dato un giudizio sostanzialmente positivo per aver salvaguardato l’alleanza storica tra l’America e l’Europa; anche l’Italia ha visto nell’intesa un bicchiere mezzo pieno, pur auspicando successivi miglioramenti. C’è però chi ha messo in dubbio la leadership di Ursula von der Leyen, accusata di scarsa fermezza.
L’Europa non ha avuto sufficiente potere contrattuale perché dipende ancora dagli Usa per la sua difesa e per le tecnologie chiave, ma anche perché è indebolita da interessi divergenti tra i suoi Paesi membri e dai loro diversi orientamenti politici. Il fatto che Francia, Germania e Italia non abbiano fatto fronte comune e condiviso le linee strategiche del negoziato ha pesato sul risultato e mostra che la fragilità dell’Unione Europea non sta solo nei limiti delle sue competenze, ma soprattutto nella assenza di una vera unione politica.
E questa assenza si riscontra anche nella mancanza di una linea univoca in politica estera, in un momento in cui non si vede all’orizzonte alcun esito positivo di pace giusta sia per la guerra in Ucraina che per quella tra Israele e Hamas. Una pace che tuteli la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina con la sostanziale sconfitta di Putin da una parte e la salvaguardia dello stato democratico di Israele con la sconfitta di Hamas dall’altra.
Sarebbe da prendere in considerazione la prospettiva di far entrare nell’Unione Europea non solo l’Ucraina, ma anche Israele, come auspicava Pannella; un Israele liberato dalla guida di Netaniahu e dei partiti religiosi, ma protetto nel suo diritto a esistere da questa appartenenza. È però necessario che l’Europa sia non solo una potenza economica, ma anche militare. Gli europei devono prendere coscienza che il sogno di pace perpetua che avevano coltivato dopo la fine della Guerra fredda si è infranto e che i rapporti fra Stati Uniti e Europa non saranno più quelli che sono stati dalla nascita della Nato fino a tempi recenti. D’ora in poi, gli europei dovranno lavorare per costruire autonomamente ciò che al momento non c’è: un esercito europeo. È l’unico modo per garantirsi sicurezza, indipendenza e libertà e per non essere il vaso di coccio in un ferreo mondo multipolare.
In Italia si cita spesso come vangelo dell’Unità europea il Manifesto di Ventotene. Ma allo stesso tempo non si vuole sentir parlare di armi e di difesa. Se non che, gli estensori di quel Manifesto non erano degli sprovveduti. I tempi in cui vissero non lo avrebbero consentito. Era per loro chiaro che senza potenza militare non si va da nessuna parte, e, se vuoi la pace, devi far sapere a chi ti minaccia con le armi che sei armato quanto lui.
Negli ultimi rilevamenti delle agenzie di sondaggio si è riscontrato che il gradimento degli europei nei confronti dell’Unione è generalmente positivo, con la maggioranza dei cittadini che vede benefici nell’appartenenza all’UE e un desiderio di un’azione più unita per affrontare le sfide globali. La difesa e la sicurezza, così come la competitività, sono identificate come le massime priorità politiche, pur essendo ancora presenti in alcuni paesi come l’Italia sfumature di euroscetticismo e diffidenza verso le Istituzioni europee. Agli euroscettici va ricordato che proprio in Italia nasce il progetto di un’Europa federale e democratica, prima con Giuseppe Mazzini e poi con Altiero Spinelli.
Sergio Casprini



I credenti scoprirono la patria