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LA DALMAZIA VENETA DA MAZZINI A PREZZOLINI

30/05/2012 da Comitato Fiorentino per il Risorgimento

Lettere a Sergio Romano                                   Corriere della sera del 26 maggio

Mi riferisco alla sua risposta su Venezia e l’italianità della Dalmazia e dell’Istria. Secondo Prezzolini, Venezia avrebbe occupato le città della costa e le isole «per evitare che quei borghi diventassero fastidiosi concorrenti», e la sua funzione di sostegno all’italianità di quelle terre sarebbe stata «un’invenzione degli intellettuali del Risorgimento». È opinione più che affermata che quelle stesse città, che avevano invocato già nel Mille la protezione di Venezia contro gli slavi, si diedero poi a Venezia per la stessa ragione, e che Venezia assicurò la preservazione della loro civiltà, da sempre italiana. Chissà dove, poi, Prezzolini ha appreso che alla caduta della Repubblica la Dalmazia era «un Paese povero, malarico, barbaro, senza strade, senza scuole, senza giustizia». Nella sua documentatissima Storia della Dalmazia Giuseppe Praga scrive che nel 1795 gli abitanti non erano 25.000 come scrive Prezzolini, ma 288.320, che nel ’700 erano state attuate grandi bonifiche, costruite due importanti strade, la produzione agricola era molto cresciuta e così quella industriale, in tutti i centri maggiori c’erano scuole primarie, i rettori veneziani amministravano la giustizia col maggior rigore e «la terra era equamente distribuita fra i lavoratori». L’Istria invece faceva tutt’uno con Venezia fin dall’epoca romana e gli istriani fino ai nostri giorni erano rimasti legatissimi a Venezia. Migliaia di italiani dell’Istria hanno dovuto andarsene, e il trattato di Osimo rimane una ferita dolorosa e insanabile.

Alvise Zorzi

 

Caro Zorzi,

 La sua lettera è la prima fra quelle ricevute negli scorsi giorni. Altrettanto appassionate e documentate sono quelle di Franco Luxardo, Renzo de’ Vidovich e Lucio Toth, vice presidente della Federazione delle associazioni degli esuli istriani, giuliani e dalmati (che può essere letta sul sito dell’Associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia). Giuseppe Prezzolini fu certamente un «debunker», come gli inglesi e gli americani definiscono gli intellettuali quando si compiacciono di ridimensionare e smitizzare certe versioni storiche non sufficientemente verificate o troppo frequentemente ripetute. Il suo libro sulla Dalmazia fu influenzato dal clima sovreccitato del nazionalismo e dell’interventismo italiano tra l’inizio del Novecento e la Grande guerra. Non gli piaceva l’uso che una certa politica italiana stava facendo della questione dalmata e gettò sull’intera vicenda, a modo suo, un secchio di acqua fredda. La sua inchiesta, quindi, è certamente discutibile. Ma ebbe il merito, a mio avviso, di suggerire al lettore che la presenza veneziana nelle città dalmate era anche il risultato di calcoli politici, interessi economici ed equilibri regionali. Continuo a pensare che Venezia fu soltanto in parte uno Stato italiano e che la sua storia più importante è quella di un impero multietnico, proiettato su una regione che va dall’Adriatico al Mar Nero. Il concetto di «Venezia patriotticamente italiana » nasce dopo la morte della Repubblica, si rafforza durante l’occupazione austriaca e la sfortunata impresa di Daniele Manin ed è stato largamente usato per giustificare le rivendicazioni dalmate di quanti hanno costruito, dopo la Grande guerra, il mito della vittoria mutilata. Per Giuseppe Mazzini l’Italia, dopo l’Unità, non avrebbe dovuto aspirare alla «riconquista » dei possedimenti veneziani. Nei suoi scritti sul mondo slavo (ora raccolti in Lettere slave e altri scritti, a cura di Giovanni Brancaccio, Biblion edizioni), la missione dell’Italia era quella di accompagnare e favorire, come sorella maggiore, il Risorgimento slavo e in particolare quello degli slavi meridionali. In un saggio del 1866 (Missione italiana – Vita Internazionale) definì l’Istria «italiana» e la Dalmazia «italo-slava»; e nello stesso saggio immaginò una guerra comune contro l’Impero asburgico in cui gli Slavi meridionali avrebbero potuto tenere per sé Carlopago, Zara, Ragusa, Cattaro, Dulcigno. In uno scritto precedente (1857) aveva ricordato con ammirazione che nel 1845 un’Assemblea croata, a Zagabria, aveva chiesto «arditamente» all’Imperatore un governo locale indipendente per la Croazia e la Slavonia, e che «a siffatta nuova amministrazione fossero riunite la Dalmazia, Zara e Ragusa». Mi sono spesso chiesto come Mazzini avrebbe giudicato gli accordi di Londra del 1915 con cui l’Italia chiese e ottenne tra l’altro, per entrare in guerra, la Dalmazia. Ma è una domanda impossibile, quindi irrilevante.

 

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