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LA CAMORRA DOPO L’UNITÀ VISTA DA UNO STUDIOSO FRANCESE

07/06/2013 da Comitato Fiorentino per il Risorgimento

Lettere a Sergio Romano

Ho acquistato un libretto modesto nell’aspetto e un po’ rovinato dal tempo, ma interessante nel contenuto, La Camorra, di Marco Monnier, del 1863. Penso che sia stato un successo editoriale nel da poco unificato Regno d’Italia, perché ebbe tre edizioni in due anni in un Paese dove l’analfabetismo sfiorava l’85%. A parte i sanguinari riti di iniziazione tipici delle società segrete, mi ha colpito la capillare rete di esattori che riuscivano a ottenere il 10% di tutte (tutte!) le transazioni. Trascrivo l’incipit: «La Camorra potrebbe essere definita l’estorsione organizzata: essa è una società segreta popolare, cui è fine il male». È interessante paragonare la minuziosa descrizione di struttura, organizzazione, riti e modalità, al recente libro di Saviano. Sembra che poco sia cambiato in un secolo e mezzo, e chissà da quanto tempo continuava.  

         Rodolfo Pardi  Milano

10317260Caro Pardi, insieme ad Alexandre Dumas e Maxime du Camp, Marc Monnier appartiene a quel gruppo di francesi che furono attratti dalla unificazione italiana, assistettero ad alcuni dei momenti più importanti e ne scrissero per i loro connazionali. Monnier si distingue dagli altri, tuttavia, per la sua maggiore familiarità con il Paese. Nacque a Napoli da padre francese e madre ginevrina, fece i suoi primi studi nella città, ma completò l’educazione nelle università di Parigi, Heidelberg e Berlino. A Ginevra, dove passò gran parte della sua vita, insegnò letteratura comparata e fu anche per qualche tempo vicerettore dell’Università. Fu uno scrittore perfettamente bilingue con una penna molto giornalistica e una spiccata attenzione per i problemi sociali. Alcuni dei suoi libri apparvero in francese, altri in italiano. L’Italie est-elle la terre des morts? (L’Italia è Ella terra dei morti?) apparve prima in francese, poi in italiano fra il 1860 e il 1863; Garibaldi: rivoluzione delle Due Sicilie nel 1861, prima in italiano poi in francese. La Camorra è un grande reportage napoletano scritto a caldo tre anni dopo il crollo del Regno borbonico e due anni dopo l’Unità. Contiene un interessante quadro sociale della criminalità campana, ma anche giudizi politici molto interessanti sui rapporti fra il nuovo Regno e le sue province meridionali. Monnier cerca di dare una risposta a domande che già allora si udivano frequentemente nel dibattito politico nazionale. Esiste una opposizione meridionale al nuovo Regno? Esistono partiti che cercano di dare un pratico sbocco alle loro posizioni? Monnier non crede all’esistenza di un partito «murattista » (dal nome di Gioacchino Murat, re di Napoli durante l’epoca napoleonica). È convinto che non esista un partito autonomista e sostiene che l’idea di una Italia federale è coltivata soprattutto da quei cattolici francesi che vorrebbero mettere Pio IX alla guida della penisola. Esiste allora un partito borbonico? No. Secondo Monnier, i borbonici, «quando sono onesti, vale a dire antichi servitori, fedeli alla causa de’ vinti, al re caduto, si contentano di protestare col silenzio e colle lacrime contro l’”usurpazione” (così la chiamano) della nuova dinastia». E nei casi in cui non si accontentano di protestare e vogliono combattere, «suppliscono alla forza di cui difettano sollevando e assoldando tutti i malfattori di queste contrade». Monnier scriveva quando era ormai cominciata da parecchi mesi la guerra del brigantaggio in cui qualche storico, negli ultimi decenni, ha visto un movimento di liberazione. È un argomento a cui l’autore de La Camorra dedicò nello stesso anno uno studio intitolato «Notizie storiche documentate sul brigantaggio nelle province napoletane dai tempi di Fra Diavolo ai nostri giorni aggiuntovi l’intero Giornale di Borges finora inedito». Borges è Josè Borjes, un ufficiale spagnolo legittimista giunto in Italia per assumere il comando delle bande di Carmine Crocco e in breve tempo scandalizzato dalla crudeltà dell’uomo con cui avrebbe dovuto combattere. Fu catturato dalle truppe italiane e fucilato. Meritava una sorte migliore e, almeno, l’onore delle armi. Con la pubblicazione del suo diario Monnier gli restituì il rispetto a cui aveva diritto.                  Sergio Romano    Corriere della Sera 2 giugno

 

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