
Nelle società democratiche non è soltanto la storia in quanto disciplina ad essere in crisi. È in realtà la percezione stessa del passato che – per una serie di cause analizzate in questo libro – va scomparendo, a vantaggio di una nuova dimensione esperienziale e cognitiva incentrata sul presente come unica dimensione possibile. Questo implica una trasformazione gravida di conseguenze. È infatti il senso del passato, il rapporto con la storia, che dicono chi siamo, che aiutano una comunità ad avere una valutazione adeguata dei suoi problemi e delle sue possibilità, educano a una visione realistica delle cose. Conservare la percezione del passato, della profondità storica dalla quale proveniamo, è tanto più essenziale in un momento in cui avvenimenti inaspettati – dal ritorno della guerra nel nostro continente all’allontanamento tra le due sponde dell’Atlantico legato alla presidenza Trump – hanno risvegliato bruscamente l’Europa dall’illusione di poter continuare nella vita tranquilla, sonnacchiosa e pacifica in cui si era da tempo accomodata.
Giovanni Belardelli ha insegnato Storia delle dottrine politiche e Sistemi politici contemporanei all’Università di Perugia. Tra le sue pubblicazioni: Il Ventennio degli intellettuali. Cultura, politica, ideologia nell’Italia fascista (2005), Mazzini (2011), Il Corriere durante il fascismo. Profilo storico (2021). Per Marsilio ha curato L’Italia immaginata. Iconografia di una nazione (2020).
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IL PASSATO MESSO ALL’ANGOLO
Ernesto Galli della Loggia Corriere della Sera 19 settembre 2025
…S’intitola Il tramonto del passato. La crisi della storia nella società contemporanea (in libreria da oggi per Rubbettino) il saggio in questi giorni in libreria che Giovanni Belardelli dedica al tema della crisi della Storia . Per essere più precisi, all’insieme di questioni e di conseguenze, una più importante dell’altra, connesse a questa virtuale cancellazione del passato nelle società democratiche. Non a caso le sole colpite dal fenomeno. Il tutto in un testo dalla scrittura incisiva e accattivante, che mira all’essenziale, ricca di esempi, di fatti, di citazioni.
È stata la storia, com’è ovvio, la prima vittima del tramonto di cui stiamo dicendo. I dati forniti da un’inchiesta riguardante gli italiani adulti, pubblicata nel 2018, parlano da soli: l’ignoranza della storia sconfinando nei vasti territori dell’analfabetismo nazionale. Sicché ad esempio Carlo Magno è collocato da molti nell’Impero Romano (sarà forse per quell’aggettivo «magno»?), la civiltà greca si trova inopinatamente spostata in avanti di oltre quindici secoli nel Duecento e i «mecenati» vengono confusi tranquillamente con i «mercenari». All’origine c’è una scuola nella quale, come si sa, da anni l’insegnamento della storia non solo ha visto complessivamente diminuire il proprio orario di lezione, ma dove per lo sciagurato impulso di una cosiddetta didattica delle competenze — cioè, mirata non già al sapere ma al saper fare (come se poi le due cose potessero andare disgiunte…) — è stata dichiarata guerra, come scrive l’autore, all’«idea che la cultura sia utile in sé». Una scuola dove in nome della lotta al nozionismo ci si è fatto un punto d’onore nel non dare importanza alla conoscenza dei fatti e alle date: dimenticando però che senza tali premesse ogni sapere storico è di fatto impossibile.
In realtà, dall’Italia alla Spagna (dove leggiamo che addirittura «le direttive del governo prevedono che non s’insegni più la storia cronologicamente»), agli Stati Uniti (dove ormai non esiste più un insegnamento di «Storia dell’Europa» in alcuna delle grandi università), dappertutto, in una generale riduzione dello spazio riservato alle Humanities e quindi alla storia, l’occidente e il suo sistema d’istruzione celebrano il distacco dal passato, ormai ritenuto quasi una sorta di vuoto a perdere. Con una cruciale conseguenza, dirompente sul piano politico: la virtuale delegittimazione dello Stato nazionale.
È questo uno dei punti di questo libro destinato probabilmente a suscitare maggiore discussione. Ma è un fatto che l’idea stessa di nazione, la conseguente formazione e crescita dello Stato nazionale, e infine il consenso di massa intorno a questo, hanno avuto un rapporto strettissimo con il passato in genere e dunque con la storia in particolare. Attraverso la costruzione di un «discorso nazionale» dagli echi vastissimi, ripetuto e divulgato dalla scuola ma elaborato per un secolo e più da una mole impressionante di opere filosofiche, letterarie, musicali, di spettacoli, di canzoni, di film, e chi più ne ha più ne metta, ovviamente con tutto l’immaginabile corredo di mitologie e sanguinose sopraffazioni che sappiamo, anche se resta comunque il fatto — difficilmente oppugnabile e direi di una certa importanza — che fino ad oggi solo nello spazio nazionale il regime democratico ha trovato modo di svilupparsi: ed appare davvero difficile che da domani possa essere altrimenti…



XX SETTEMBRE 2025