• Passa alla navigazione primaria
  • Passa al contenuto principale
  • Passa alla barra laterale primaria
  • Passa al piè di pagina
  • Il Comitato Fiorentino per il Risorgimento
  • Redazione
  • Contatti
  • Photogallery
  • Link
  • Privacy Policy

Risorgimento Firenze

Il sito del Comitato Fiorentino per il Risorgimento.

  • Home
  • Focus
  • Tribuna
  • I luoghi
  • Mostre
  • Rassegna stampa
  • Pubblicazioni
  • Editoriale
Israeli right-wing protesters holding the national flag of Israel during a demonstration outside the residence of Israel's Prime Minister Benjamin Netanyahu in Jerusalem , Israel 05 October 2015. Thousands right-wing Israelis came to protest following recent attacks by Palestinians in the West Bank and Jerusalem that killed 4 Israelis calling the Prime Minister to take more aggressive security measures. ANSA/ABIR SULTAN

Israele, un sogno incompleto

18/06/2018 da Comitato Fiorentino per il Risorgimento

Ugo Tramballi  Sole 24 Ore  19 maggio

 

«I primi israeliani spesso non erano felici della loro vita privata ma credevano nel loro Paese e nel loro futuro. Avevano un sogno. Questa, forse, è la differenza più profonda fra gli israeliani di allora e quelli di oggi», scrive lo storico Tom Segev in 1949. The First Israelis (Free Press, 1998).

Cosa significhi essere un popolo felice è difficile da definire: forse è solo un’ambizione collettiva irrealizzabile nello stesso momento, per l’intera collettività di ogni Paese della Terra.

Ma se c’è un luogo della geopolitica oltre che dell’anima, dove ininterrottamente da 70 anni descrivere la felicità è più complicato, quello è Israele. Forse avevano più certezze gli 806mila ebrei di Palestina, molti dei quali scampati alla Shoah, che alle quattro del pomeriggio del 14 maggio 1948 (il sesto giorno di Iyar del 5708) ascoltarono alla radio la dichiarazione d’indipendenza. Loro più dei 6 milioni e 484mila ebrei d’Israele di oggi.

Alla Dizengoff House, il Museo di Tel Aviv in Rothschild Boulevard, David Ben Gurion annunciava «la fondazione di uno Stato Ebraico in Eretz Israel, che sarà conosciuto come Stato d’Israele». Oggi Rothschild è uno dei viali più smart della città: gli alberi sono ombrosi, circolano bici elettriche, si mangia il miglior sushi del mondo fuori dal Giappone e un appartamento costa al metro quadro quanto a Tribeca, New York. È difficile immaginare che a una ventina di chilometri in linea d’aria continui il conflitto con i palestinesi.

Allora Rothschild era lo specchio del socialismo spartano dello Stato ebraico nascente. Ed era in prima linea, a due passi dalla cittadina araba di Yaffa. Mentre Ben Gurion parlava alla radio, gli uomini erano già al fronte: un fronte in ogni wadi, piana e montagna del nuovo Paese, agli angoli delle strade di ogni città divisa in quartieri ebraici e arabi. Agli angoli di Rothschild si scavavano trincee e rifugi anti aerei.

Alle Nazioni Unite non era stato facile il lavoro diplomatico per arrivare a questo, e alle frontiere così insicure presto avrebbero premuto gli eserciti dei Paesi arabi. Eppure non è sbagliato affermare che gli israeliani di allora sognassero più di chi oggi vive in un Paese protetto dalle forze armate tecnologicamente inferiori solo alle americane; in un’economia fra le più avanzate che non ha smesso di crescere anche in mezzo alla crisi finanziaria globale, come in nessun altro Paese occidentale. Sentirsi in tutto e per tutto occidentali ma essere geograficamente in Medio Oriente, vivere nel posto giusto e contemporaneamente in quello sbagliato, è forse l’essenza del problema d’Israele.

Le origini dei coloni ebrei nati o andati in Palestina e la determinazione del loro insediarsi hanno una forza epica. Ma qualcosa non ha funzionato se sette decenni più tardi, celebrando un successo, lo Stato non ha ancora frontiere certe, riconosciute e sicure. Israele ha istituzioni, leggi, università, premi Nobel, autostrade, banche, fisco, startup e sindacati. Ma resta come lo Stato degli arabi palestinesi, che di tutto questo non ha nulla: un sogno incompleto. A causa della geopolitica di oggi che sta cambiando le alleanze regionali, e delle vittorie militari «il conflitto arabo-israeliano è di fatto terminato». Ma queste vicende «non hanno permesso di regolare quello con i palestinesi», sostiene il giovane storico David Elkaim (Histoire des guerres d’Israel, éditions Tallandier, Paris, 2018).

Stendere la dichiarazione d’indipendenza del 1948 non era stato un compito facile. Come definire i confini del nuovo Stato: accontentarsi di quello che il piano di spartizione delle Nazioni Unite aveva fissato o mettere già nero su bianco le future ambizioni territoriali? E Stato ebraico era una definizione politica o anche religiosa? Doveva prevalere l’essenza laica e socialista del “nuovo ebreo” o la fede antica della quale era stata fatta rinascere la lingua, tornata a essere l’idioma ufficiale in pieno XX secolo? Accanto ai fondatori, i coloni, i kibutznikim che dovevano conquistare, coltivare e difendere la terra («Siamo una generazione di coloni, eppure senza un’arma da fuoco non riusciremo a piantare un albero», diceva Moshe Dayan), inaspettatamente arrivarono dai ghetti europei migliaia di ultra ortodossi e di haredim, i timorati di Dio. Loro non condividevano l’impresa sionista. Per evitare uno scontro fra religione e Stato, si evitò di scrivere una Costituzione.

Forse è per questo che 70 anni più tardi l’ultima generazione d’israeliani fatica a sognare quanto i first Israelis. Frontiere e fede erano le grandi incertezze nella stesura dell’indipendenza, frontiere e fede sono ancora i due grandi nodi irrisolti alla fine del secondo decennio del XXI secolo. «Il movimento giovanile e le sue camicie blu, il kibbutz, le gite e l’archeologia. E poi, più tardi: la partecipazione alla politica, le relazioni arabo-ebraiche, il dialogo israelo-palestinese. Lo scontro tra falchi e colombe. Ho lasciato fuori qualcosa?», ha scritto l’intellettuale e politologo Meron Benvenisti, fotografando settant’anni di storia d’Israele.

Sotto la pressione dei conflitti Israele ha conosciuto nazionalismo e nativismo molto prima di europei e americani. Da oltre una trentina d’anni le destre e il movimento dei coloni hanno connesso ciò che il socialismo dei fondatori aveva volutamente tenuto separati: la fede e il nazionalismo. Il grande tema di oggi è come definire «lo Stato-nazione ebraico» di fronte a una minoranza araba del 20% e ai 2,9 milioni di palestinesi della Cisgiordania occupata. Il problema esiste da sempre ma era un tabù: nessuno sapeva come risolvere il dilemma fra avere tutta la terra per gli ebrei e restare uno Stato democratico. La demografia dice che in meno di mezzo secolo fra il Mediterraneo e il fiume Giordano, i palestinesi saranno di più. «C’è la possibilità di mantenere una maggioranza ebraica anche al prezzo di violare i diritti» e la Corte Suprema deve trovare «lo strumento costituzionale» per farlo nella legalità, aveva detto qualche mese fa alla Knesset la giovane ministra della Giustizia Ayelet Shaked, una pasionaria di Eretz Israel, non del suo carattere democratico.

È difficile che Israele viva per altri 70 anni senza risolvere questo dilemma.

Correlati

Archiviato in:Rassegna stampa Contrassegnato con: mondo

Segui il Comitato su Facebook

Segui il Comitato su Facebook

Barra laterale primaria

il Comitato Fiorentino per il Risorgimento
è associato al Coordinamento nazionale Associazioni Risorgimentali FERRUCCIO

L’editoriale del direttore

Auguri per un felice 2023 e per la libertà e la democrazia nel mondo

Video

Ubaldino Peruzzi Sindaco, il video integrale del Convegno

Prossimi appuntamenti

“Mazzini in Ucraina” alle Oblate di Firenze

25/01/2023

Lettere al Direttore

La coscienza ecologica tra passato e presente

07/12/2022

Focus

È GIUSTO CHE DANTE RIPOSI A RAVENNA

23/12/2022

Tribuna

Il PASSATORE, mito della Romagna

26/12/2022

Luoghi

LA FORTEZZA DEL RISORGIMENTO A BRESCIA

23/01/2023

Mostre

ST. JAVELIN

17/01/2023

Rassegna stampa

L’ERRORE DI SALVEMINI

27/01/2023

Pubblicazioni

I Garibaldi dopo Garibaldi

20/12/2022

RisorgimentoFirenze.it nella tua mail

E' possibile ricevere un messaggio e-mail ad ogni nuova pubblicazione sul nostro sito.
Basta inserire il proprio indirizzo di posta elettronica nella casella sottostante. Il servizio è gratuito e può essere interrotto in ogni momento.

Unisciti a 87 altri iscritti

Footer

Archivio articoli

Archivio rubriche

Area amministrativa

  • Accedi
  • Feed dei contenuti
  • Feed dei commenti
  • WordPress.org

Blogroll

  • Arte del Poggio
  • Comitato livornese per la promozione dei valori risorgimentali
  • PensaLibero.it, quotidiano on line dei laici e dei liberali della Toscana.
  • Risorgimento Toscana
  • Sito ufficiale delle celebrazioni per il 150° anniversario

Direttore Sergio Casprini | Responsabile della Comunicazione Irene Foraboschi | Webmaster Claudio Tirinnanzi