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I MOTI DI MILANO NEL 1898: UNA CITTÀ IN STATO D’ASSEDIO

17/11/2015

milano_1898Lettere a Sergio Romano       Corriere della Sera 9 novembre

A scuola mi avevano insegnato che la repressione avvenuta a Milano nel 1898 era stato un segno di politica reazionaria del governo che schiacciava le giuste istanze della popolazione. Non che arrivassero a concludere che 2 anni dopo il re Umberto I avesse avuto la giusta punizione, ma certamente nessun professore aveva condiviso l’azione di Bava Beccaris. Mi ha sorpreso perciò leggere che Verga, che pure nei suoi romanzi aveva mostrato tanta sensibilità verso i poveri siciliani, in quel frangente si schierò con la repressione. Può spiegarmi il motivo?

Porfirio Russo

Caro Russo, la lettura di un evento storico può cambiare da una generazione all’altra. Non so quando lei abbia fatto i suoi studi, ma ho l’impressione che i suoi insegnanti rispecchiassero l’interpretazione prevalente negli ultimi decenni del Novecento. Credo che i moti milanesi del 1898 e la repressione del governo presieduto da Antonio di Rudinì possano essere compresi soltanto se inquadrati in un più largo contesto. Due anni prima un cattivo raccolto mondiale del grano aveva provocato l’aumento del prezzo del pane. In molte regioni italiane vi furono dimostrazioni e proteste contro il rincaro del costo della vita. Il partito socialista italiano, fondato nel 1892, cominciava a riscuotere maggiori consensi. Nelle elezioni del marzo 1897 aveva raddoppiato i voti ed era rappresentato alla Camera da un drappello di 16 deputati, a cui si aggiungevano alcune decine della estrema sinistra. Il corrispondente del Times da Roma, H. Wickham Steed, scriverà più tardi, nelle sue memorie: «Le organizzazioni rivoluzionarie credettero che fosse arrivato il momento per una azione a fondo. Approfittando dell’acquiescenza della polizia e delle autorità militari, i rivoluzionari provocarono disordini in Puglia, nelle Marche, in Toscana, in Romagna e in Lombardia. Il moto si diffuse rapidamente lungo le principali linee ferroviarie e raggiunse infine Milano dove gli insorti misero a sacco varie case private, alzarono barricate e impegnarono una vera e propria battaglia con la guarnigione. Dopo una serie di duri scontri le truppe impiegarono l’artiglieria: le barricate furono demolite e i ribelli disfatti. Secondo la relazione militare ufficiale, otto barricate furono conquistate con altrettanti assalti alla baionetta; mentre gruppi di fucilieri erano costretti a occupare i tetti delle case per eliminare i franchi tiratori. Il numero dei morti e dei feriti non fu mai comunicato: ma non c’è dubbio che si trattò di parecchie centinaia». Il testo di Wickham Steed riflette probabilmente il clima di un periodo in cui la borghesia europea assisteva preoccupata alla crescita dei partiti operai e temeva la prospettiva di una nuova fase rivoluzionaria. Bava Beccaris non avrebbe agito con tanta durezza se non fosse stato ancora vivo il ricordo di ciò che era accaduto a Parigi nel 1870 quando i «comunardi», dopo la sconfitta del Secondo impero nella guerra franco-prussiana, si erano impadroniti della capitale francese. Anche a Milano, come a Parigi, le reazioni dei governi, quando ripresero il controllo della situazione, furono particolarmente dure. I primi ad accorgersene e ad auspicare un cambiamento di rotta furono gli ambienti liberali della borghesia lombarda e piemontese. Con l’avvento al trono di Vittorio Emanuele III, dopo l’uccisione di Umberto, e con il ritorno al potere di Giovanni Giolitti, comincerà presto una nuova fase della politica italiana.

Sergio Romano

Pubblicato in: Rassegna stampa
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