
Carlo Levi Autoritratto 1941/ 45
Nel capoluogo toscano lo scrittore torinese morto 50 anni fa scrisse «Cristo si è fermato a Eboli» e fu lì che venne arrestato e incarcerato alle Murate nel 1943 come «ebreo sovversivo»
Di agiata e colta famiglia ebraica, educato nell’ambiente illuminato dell’antifascismo sabaudo (la madre è sorella del deputato socialista Claudio Treves, morto in esilio in Francia nel 1933), Carlo, laureato in Medicina nel 1924, rinuncia alla professione per dedicarsi alle due passioni più congeniali, la pittura e la politica. Solidale con Piero Gobetti, collabora a Rivoluzione liberale, stringe amicizia con i fratelli Rosselli e aderisce a «Giustizia e Libertà». Nel 1923, l’incontro con Felice Casorati ne orienta l’indirizzo artistico, come mostrano le tele esposte nel 1924 e nel 1926 alla XIV e alla XV Biennale di Venezia. La svolta dalla quale è destino che nasca lo scrittore, avviene nel maggio 1935, quando è arrestato (per delazione del concittadino letterato ebreo Dino Segre, noto come Pitigrilli, spia dell’Ovra con lo stipendio di 5.000 lire mensili) in quanto «uomo di primissimo piano» dell’antifascismo torinese e in luglio è condannato a tre anni di confino in Lucania, prima a Grassano poi a Aliano. Torna libero nel maggio 1936, grazie all’amnistia concessa per la proclamazione dell’Impero. Nei dieci mesi di prigionia in terra lucana scrive poesie, porta a termine 70 dipinti, raccoglie pagine di appunti.
Si trasferisce a Firenze nel 1941 e vi resta (salvo regolari rientri a Torino) fino al 1945. Viene dalla Francia (dove s’è rifugiato dopo le leggi razziali del 1938) per avvicinarsi alla compagna alla quale è segretamente legato da anni, Paola Levi, che dal 1940 vive a S. Domenico di Fiesole («un vero paradiso terrestre», come lei gli confida). Donna libera e risoluta, Paola, sorella di Natalia Ginzburg e moglie (separata) di Adriano Olivetti, nonché nipote di Drusilla Tanzi (la futura consorte di Montale), è affezionata a Carlo ma non ne condivide la militanza politica. Invece a Firenze, la città dei fratelli Rosselli, Levi intende non mollare, perseverando nell’azione antifascista. Affitta uno studio in piazzale Donatello 18 e si dedica a ritratti su commissione (tra i tanti altri, Montale, Gadda, Pratolini, Cancogni, Tobino), mentre è attivo con ruolo di primo piano nel Partito d’Azione e nella lotta clandestina. Paola nel 1943 conosce Mario Tobino e a lui si lega con una lunga relazione.
Arrestato come «ebreo sovversivo», Carlo è recluso alle Murate nel giugno-luglio 1943 e dopo l’8 settembre, ricercato come azionista, abbandona lo studio di piazzale Donatello e ripara presso vari amici, ma soprattutto trova rifugio nella casa-pensione di Anna Maria Ichino (19121970), al civico 14 di Piazza Pitti. Anna Maria è una giovane fiorentina, vivace e coraggiosamente generosa. Nel suo grande appartamento (14 stanze) transita buona parte della dissidenza antifascista residente a Firenze. Tra gli altri, anche Umberto Saba, con la moglie Lina e la figlia Linuccia (1910-1980), con la quale Carlo avvia dal 1945 una lunga consuetudine d‘affetto. In questa casa, davanti a Palazzo Pitti, dal dicembre 1943 al luglio 1944, Levi riprende i vecchi appunti lucani e scrive Cristo si è fermato a Eboli.
È sintomatico che uno dei testi capitali del meridionalismo novecentesco nasca a Firenze, nella città che ha assistito al battesimo della questione meridionale con l’Inchiesta in Sicilia di Franchetti e Sonnino, edita da Barbera nel 1877 (da cui Verga trae indicazioni preziose per Rosso Malpelo del 1878), con le Lettere meridionali di Pasquale Villari uscite da Le Monnier nel 1878, l’anno stesso, presso lo stesso editore, di Napoli a occhio nudo di Renato Fucini. Ma Cristo si è fermato a Eboli è molto di più d’un documento neorealistico, così come il verghiano Rosso Malpelo è molto di più d’un documento verista. Il Cristo è un libro ibrido e stratificato, tra romanzo e reportage, tra studio antropologico e saggio di costume. La sofferente Lucania si rivela terra senza Dio (Cristo, dicono laggiù, non è arrivato da noi, ma si è fermato in Campania, a Eboli), landa desolata di arretratezza e ingiustizia civile in attesa di riscatto, ma anche terra primitiva dotata d’un mitico patrimonio di energia vitale e di antichissima sapienza contadina: un arcano universo di riti magici e valori umani che vanno salvaguardati. Di qui le due linee fondamentali dell’impegno politico di Levi nel dopoguerra: la lotta di classe e la denuncia anticapitalistica, il risentimento contro la riduzione dell’individuo a ingranaggio produttivo.
Ma non basta, in merito alla stagione fiorentina dello scrittore. Nell’aprile 1944, nella fase di stesura del Cristo, Levi soggiorna a Fiesole, ospite nella Villa Nerini, dove lavora come governante Teresa Bardi, originaria di Vallucciole, ai piedi del Falterona, un minuscolo villaggio casentinese sopra Stia. L’amico Nerini, amante della natura, decanta a Carlo le bellezze del Casentino. Qui, in casa Nerini, Carlo apprende dalla viva voce di Giovanni, il marito di Teresa, i particolari della strage nazifascista di Vallucciole, avvenuta il 13 aprile 1944, dalla quale Giovanni, esterrefatto testimone oculare, è scampato per miracolo. Carlo se ne ricorda più tardi, quando scrive La Pasqua di Vallucciole ,un memorabile resoconto di quell’eccidio (edito su Il Contemporaneo del 24 aprile 1954), nel quale vennero trucidati 109 civili, tra donne, vecchi e bambini (trovandosi gli adulti per lo più alla macchia). Dinanzi agli occhi del lettore, si dispiegano, come al rallentatore, le sequenze terrificanti di una violenza disumana di cui nessuno dei responsabili ha pagato neanche un giorno di carcere.
Gino Tellini Corriere Fiorentino 26 agosto 2025
Lapide sulla facciata della casa-pensione di Anna Maria Ichino al n.14 di Piazza Pitti

Lapide sulla facciata della casa- pensione di Anna Maria di Piazza Pitti
Lapide sulla facciata della casa- pensione di Anna Maria Ichino n. 14 di Piazza Pitti


Se il patriottismo è dentro un foulard