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Autoritratto di Verdi, genio con i piedi per terra

12/01/2013

Lettere a Sergio Romano Corriere della Sera domenica 6 gennaio 

Quest’anno tutto il mondo celebrerà il bicentenario della nascita di Giuseppe Verdi. Pur essendo di umili condizioni sociali, Verdi riuscì a trasferirsi a Milano, allora capitale della musica, ed a emergere nonostante la mancata ammissione al Conservatorio.

 Non pensa che la sua figura possa essere di esempio per i nostri giovani?

Giuseppina Rasini

va pensiero..Cara Signora, Verdi fu anzitutto un grande artista; e gli artisti non sono necessariamente modelli di vita. Hanno un alto concetto di sé, sono spesso narcisisti, vanitosi, collerici, sensibili alle adulazioni, ma anche fragili e vulnerabili. Alcuni di questi tratti sono presenti in Verdi, ma combinati con altre doti di carattere: una grande concretezza, una forte capacità organizzativa e una straordinaria passione per la sua tenuta agricola. A coloro che vogliono rendersi conto di come Verdi vivesse e lavorasse, segnalo che esiste ora una sorta di autoritratto: le settecento lettere impeccabilmente raccolte e annotate da Eduardo Rescigno per un grande volume dei Millenni di Einaudi. Il lettore scoprirà che Verdi, come ricorda Rescigno nella sua introduzione, ebbe tra l’altro il merito di mettere ordine in un mondo dominato da impresari spregiudicati, da editori di spartiti musicali che lasciavano ai compositori le briciole dei loro guadagni e da censori che scrutavano i libretti per eliminare tutto ciò che ai poteri di allora sembrava eversivo, rivoluzionario o «lascivo». È in buona parte merito di Verdi se i musicisti italiani, nel corso dell’Ottocento, riuscirono a conquistare maggiori garanzie giuridiche e un maggiore rispetto per il loro mestiere. Il suo editore, la famiglia Ricordi, capì che i tempi erano cambiati e divenne il suo partner in affari. Fu anche un patriota e un buon cittadino? Non credo che le passioni politiche abbiano dominato la sua esistenza, ma dalla raccolta delle lettere emerge la figura di un conservatore risorgimentale che ammirava Cavour, lamentò che Venezia nel 1866 venisse data all’Italia per il tramite della Francia anziché direttamente, pianse la morte di Vittorio Emanuele II nel 1878, ma ebbe un cordiale scambio di visite con il generale Bava Beccaris dopo i moti milanesi del 1898. Il popolo lo aveva promosso al ruolo di profeta del Risorgimento nazionale e Verdi ricambiò mettendo la sua musica al servizio del Paese. Ebbe una vivace polemica con Eugène Scribe quando lo scrittore francese, nel libretto dei Vespri siciliani, descrisse i personaggi italiani come cospiratori armati di pugnale. Scrisse il Requiem per la morte di Alessandro Manzoni e prese qualche appunto per musicare la preghiera scritta dalla regina Margherita in morte di Umberto I, ucciso a Monza il 29 luglio 1900. Ma gli mancarono le forze per proseguire. Morì a Milano sei mesi dopo, il 27 gennaio

Pubblicato in: Rassegna stampaTag: mondo
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