Risorgimento Firenze
Leonardo da Vinci, l’ingegno, il tessuto
Museo del Tessuto via Puccetti Prato
16 dicembre 2018 / 26 maggio 2019
Si è aperta il 16 dicembre al Museo del Tessuto di Prato la mostra Leonardo da Vinci, l’ingegno, il tessuto”, dedicata al genio di Vinci che punta ad evidenziare l’interesse e la sensibilità dell’artista nella messa a punto e nell’invenzione di dispositivi e macchine per una delle attività economiche preponderanti del suo tempo: l’arte tessile.
La mostra – che si concluderà il 26 maggio del 2019 – vuole essere un efficace strumento di comprensione e divulgazione attraverso ricostruzioni 3d, apparati multimediali e modellini in scala, e anche un’occasione per valorizzare l’importanza dell’ingegneria meccanica applicata all’industria tessile.
Il percorso espositivo si apre con una prima sezione con le riproduzioni in grande scala di alcuni dipinti di Leonardo.I ritratti e soggetti religiosi presenti in mostra vengono letti con un taglio nuovo e inusuale per mettere in luce gli studi leonardeschi sul panneggio e le sue osservazioni per una migliore restituzione in pittura della consistenza delle stoffe e del movimento delle pieghe secondo i diversi tipi di tessuto.
Nella seconda sezione della mostra,uno scenografico allestimento evoca i meccanismi delle ruote dentate presenti nei disegni di Leonardo e introduce al tema degli studi sui dispositivi e sulle macchine tessili. Un primo multimediale immersivo illustra il processo produttivo della lana e della seta grazie ad una puntuale ricerca iconografica sui trattati e i manoscritti dell’epoca. Un secondo multimediale immersivo – che mescola i disegni di Leonardo presenti nel Codice Atlantico e Codice Madrid I e i modelli dinamici 3d del Museo Leonardiano di Vinci – presenta al pubblico in quale parte del processo produttivo laniero e serico dell’epoca si concentrano i progetti di Leonardo.
In mostra anche i modelli storici in legno e metallo concessi in prestito dal Museo Nazionale Scienza e Tecnologia Leonardo da Vinci di Milano.
ORARIO
Martedì – giovedì: 10-15
Venerdì e sabato: 10-19
Domenica: 15-19 Lunedì chiuso
L’ingresso al Museo è consentitofino a 30 min. prima della chiusura Aperture straordinarie per gruppi su prenotazione
Il museo effettua le seguenti chiusure annuali: 15 AGOSTO, 25 DICEMBRE
Orari delle festività natalizie 2018
Sabato 8 dicembre: 10-19
Martedì 25 dicembre: chiuso
Mercoledì 26 dicembre: 15-19
Martedì 1 gennaio: 15-19
Domenica 6 gennaio: 15-19
INGRESSO
Intero: 7 Euro visitatori singoli 7-65anni
Ridotto: 5 Euro visitatori oltre i 65 anni, studenti 7-26 anni
Gruppi: 5 Euro, superiori alle 10 unità
Scuole: 4 Euro, studenti di classi scolastiche
Gratuito: bambini fino a 6 anni, visitatori disabili e loro accompagnatori, accompagnatori dei gruppi (2 per gruppo max. 25 persone), guide turistiche, giornalisti accreditati, soci Associazione Amici del Museo del Tessuto, possessori Edumuseicard, soci ICOM
Perché la parola istituzione non fa più rima con Stato
ROBERTO ESPOSITO La Repubblica 14 dicembre
A cento anni esatti di distanza dalla sua prima stesura, l’editore Quodlibet ripubblica L’ordinamentogiuridico di Santi Romano (1875-1947), a cura di Mariano Croce. Considerato uno dei più grandi testi giuridici novecenteschi, il libro di Romano fu riedito nel 1946 da Sansoni in un’edizione ormai introvabile e tradotto in tedesco, francese, inglese e brasiliano. Ma a segnalarne l’assoluto rilievo è stato Carl Schmitt che, in un saggio del 1934 su I tre tipi di pensiero giuridico – normativista, decisionista e istituzionalista – lo colloca alle origini di quest’ultimo. Anziché la norma o la decisione, l’istituzionalismo pone al centro dell’orizzonte giuridico quello che Schmitt definisce «ordinamento concreto» o, appunto, «istituzione».Ma qual è la novità dirompente che questo approccio al diritto comporta?
Per capirlo dobbiamo sottrarci all’abitudine mentale inveterata che ci porta a ricondurre ogni istituzione nell’orbita dello Stato: lo Stato come unica, o almeno la prima delle istituzioni, contenente tutte le altre.
È proprio questo presupposto che Santi Romano contesta. Fin dal saggio del 1909, intitolato Lo Stato moderno e la sua crisi, egli riconosce con straordinaria preveggenza le crepe che si vanno aprendo nella macchina statale, intesa come sede unica del potere politico e della produzione di diritto.
Nonostante il consolidamento della democrazia, testimoniato dall’allargamento del suffragio elettorale, già agli inizi del Novecento lo Stato liberale comincia a perdere il monopolio delle decisioni politiche e delle norme giuridiche. Sia al suo interno che all’esterno crescono altri organismi – partiti, sindacati, organizzazioni finanziarie, associazioni civili – che esercitano un peso sempre maggiore,destinato in breve tempo a spezzare la bipolarità esclusiva tra Stato e cittadini. Tra l’uno e gli altri s’insediano ormai una serie di istituzioni che esprimono dinamiche e conflitti sociali a fianco e talora anche oltre l’organismo statale. Diritto e Stato non fanno più rima, come sostiene Widar Cesarini Sforza in un altro libro importante del 1929, Il diritto dei privati, anch’esso adesso ripubblicato da Quodlibeta cura di Michele Spanò. Se il diritto plasma la vita, questa a sua volta produce e trasforma il diritto.
La tesi, assolutamente originale, di Santi Romano è che ogni istituzione ha lo stesso grado di legittimità di quella statale. Da un punto di vista formale – cioè giuridico – lo Stato è un ordinamento portatore di diritto non più di qualsiasi altra organizzazione collettiva, di una congregazione religiosa, una società sportiva o perfino una banda criminale. Naturalmente quest’ultima si colloca fuori dall’ordine legale ed etico, ma senza perdere il proprio carattere digiuridicità interna.
Oltre al fatto – aggiunge Romano – che un’associazione che si proponesse di rivoluzionare uno Stato non conforme ai principi di giustizia «dovrebbe essere giudicata in modo piùfavorevole che lo Stato stesso». Si può immaginare il peso di dichiarazioni del genere pronunciate non solo da uno dei fondatori del diritto costituzionalei taliano, ma anche da colui che, in pieno regime fascista, ha occupato il ruolo di presidente del Consiglio di Stato dal 1929 al 1943. Nominato Senatore del Regno e Accademico dei Lincei, Santi Romano non aderì nel 1944 alla Repubblica Sociale Italiana. Ma ciò non gli evitò, a guerra finita, di essere accusato di aver appoggiato il fascismo e di essere radiato dall’Accademia dei Lincei. Come osserva il curatore nella postfazione, evidentemente Romano sopravvalutò l’autonomia della tecnica giuridica, immaginando di potere gestire il rapportocon un regime che aveva sottomesso completamente il diritto alla politica –alla propria politica. Ma ciò non toglie niente della formidabile attualità del suo saggio. Egli colse, con quasi cento anni di anticipo, non soltanto l’indebolimento dello Stato nei confronti di istituzioni e ordinamenti che sempre più ne sfidano le prerogative esclusive.
Ma anche il ruolo creativo di nuovi ordini normativi che i linguaggi del diritto possono esercitare in una situazione di transizione dall’antico monopolio degli Stati sovrani a una nuova trama di relazioni sociali nazionali e internazionali.
Villa Renatico-Martini
Via Gragnano 349, località Renatico Monsummano Terme ( Pistoia)
La villa risale al 1887, quando venne fatta erigere dal giornalista e uomo politico risorgimentale Ferdinando Martini, originario di Monsummano. L’edificio ha forma di grande parallelepipedo, con tre facciate (nord, ovest e sud) arricchite da esuberanti scalinate esterne in stile neorinascimentale. La fasciadel basamento ha un paramento a bugnato, mentre quelle superiori, del pianonobile e del secondo piano, hanno cornici marcapiano e finestre ad arco entrocornici rettangolari in pietra serena, che riprendono lo stile delle villetoscane tradizionali. Sul lato est si apre una grande trifora con archi a tuttosesto e oculi. Le scale esterne, che mettono in comunicazione con il parco, sono cinque, tra le quali quellasulla facciata principale è a doppia rampa.
Il parco che circonda la villa, pianeggiante davanti alla villa e in declivio verso valle,venne concepito sia come luogo ameno, con aiuole fiorite, sia come collezione dendrologica,con alberi ad alto fusto (soprattutto platani, tigli, lecci), specie esotiche epiante ornamentali, come alloro e piante da fiore.
La villa è oggi di proprietà pubblica ed ospita un Museo di Arte Contempranea e del Novecento.
La legislazione diretta del Popolo, o la vera democrazia.
Autore Moritz Rittinghausen
Editore Giappichelli
A cura di Fausto Proietti
Anno 2018
Pagine 200
Formato brossura
Prezzo € 19,00
Si presenta qui in prima vera traduzione italiana integrale lo scritto più importante di Rittinghausen: “La legislazione diretta del popolo, o la vera democrazia” del 1850, contenente una proposta volta a superare quelli che erano, agli occhi del socialista renano, i difetti più evidenti del neonato sistema democratico-rappresentativo.
Proprio questa dimensione pratica e “realistica” assegnata dall’autore allo strumento della legislazione diretta costituisce la cifra distintiva di un testo destinato a una notevole fortuna internazionale per molti decenni, e a un oblio altrettanto clamoroso, nonchè repentino, in seguito.
Nello studio introduttivo vengono ricostruiti i momenti salienti di questa parabola, che si concretizza – a cavallo tra Otto e Novecento – in un duraturo lascito tanto ideologico (l’articolazione di una compiuta retorica antiparlamentare) quanto istuzionale (l’adozione del referendum, dell’iniziativa legislativa popolare e del recall).
Moritz Rittinghausen ( 1814, HuckesWagen – 1890, Ath , Belgio) era un avvocato e teorico della democrazia diretta , un socialista e un politico.
Rittinghausen visse temporaneamente in Belgio durante il periodo precedente alla Rivoluzione di marzo e vi emerse come pensatore di spicco della politica sociale. Ha preso parte attiva alle rivoluzioni tedesche del 1848-49 come democratico. Dopo aver lasciato il paese durante la reazione successiva alla rivoluzione, in seguito tornò in Germania e iniziò a prendere parte al movimento operaio. Fu tra i fondatori del Partito socialdemocratico dei lavoratori della Germania , prima di essere cacciato dal partito per divergenze politiche.
Orizzonti d’acqua tra Pittura e Arti Decorative
Galileo Chini e altri protagonisti del primo Novecento
PALP Palazzo Pretorio Pontedera
8 dicembre 2018 – 28 aprile 2019
Dall’8 dicembre 2018, il PALP Palazzo Pretorio di Pontedera, ospita la mostra Orizzonti
d’acqua tra Pittura e Arti Decorative. Galileo Chini e altri protagonisti del primo Novecento, curata da Filippo Bacci di Capaci e Maurizia Bonatti Bacchini e promossa dalla Fondazione per la Cultura Pontedera, dal Comune di Pontedera, dalla Fondazione Pisa, con il patrocinio e il contributo della Regione Toscana.
La mostra, che proseguirà sino al 28 aprile 2019, ha come protagonista Galileo Chini, una delle figure di maggior rilievo del Modernismo internazionale, e alcuni artisti che hanno condiviso con lui le esperienze del periodo, dal Simbolismo al Liberty, dalla Secessione viennese alle suggestioni dell’Orientalismo. Il tema dell’esposizione sarà l’acqua, soggetto ricorrente in quei movimenti artistici che, tra Otto e Novecento, si sono identificati con il Simbolismo e il Divisionismo.
Fil rouge che accompagna il visitatore lungo tutto il percorso espositivo, l’acqua costituisce una nota costante in tutta la produzione di Chini e racconta la sintonia dell’artista con gli sfondi ora fluviali, ora marini, dall’Arno al fiume di Bangkok, da Venezia ai centri balneari e termali di Viareggio, Montecatini e Salsomaggiore. Non ne è esente neppure la produzione ceramica, l’ambito, tra i molteplici in cui Chini si espresse, che gli diede l’opportunità di entrare nel circuito internazionale e di imporsi fin dal 1898 tra i primi interpreti del Liberty in Italia: i soggetti della faunamarina sono protagonisti nella decorazione di vasi, piatti, formelle dove l’artista gareggia con lanatura nella varietà delle composizioni e nella resa cromatica attraverso stupefacenti smalti a lustro.
Ad aprire la mostra, nella prima sala, il quadro “La quiete”, esposto nel 1901 alla quarta edizione della Biennale Internazionale di Venezia, manifestazione che in maggior misura ha contribuito ai successi dell’artista e alla sua dimensione cosmopolita. Fu infatti nella città lagunare che nel 1907 il re del Siam ebbe modo di apprezzare l’allestimento della Sala del Sogno, decidendo di affidare a
questo artista poliedrico, distintosi oltre che come ceramista anche come illustratore, scenografo, pittore e decoratore, la decorazione del nuovo Palazzo del Trono a Bangkok. L’esperienza thailandese influì in modo determinante sul suo bagaglio artistico, coinvolgendo la pittura di cavalletto, la decorazione e la produzione ceramica: proprio l’incontro diretto con l’Oriente, che fruttò a Chini anche l’attribuzione da parte di Puccini dell’allestimento scenico della Turandot, rese il suo un orientalismo non di maniera.
La mostra è divisa in quattro sezioni: Simbolismo e Divisionismo, L’acqua come soggetto della produzione decorativa, l’Orientalismo e la fase Secessionistica e klimtiana, ognuna delle quali presenterà dipinti, bozzetti e manufatti ceramici per accostare il visitatore alla complessità del fare artistico di Galileo Chini. E al suo fianco, in un costante confronto, le opere degli altri grandi protagonisti del Novecento italiano, a lui legati da amicizia, lavoro o sintonia culturale: Plinio Nomellini, amico fraterno, con cui condivise l’impresa della Sala del Sogno, Giorgio Kienerk, che fu precoce divulgatore del Liberty in ambito toscano, Leonardo Bistolfi, tra i promotori dell’Esposizione Internazionale d’Arte Decorativa Moderna organizzata a Torino nel 1902, Duilio Cambellotti, il maggior rappresentante del Decò a Roma e, ancora, l’emiliano Aroldo Bonzagni e i toscani Moses Levy, Lorenzo Viani e Salvino Tofanari. In mostra anche un arazzo di Vittorio Zecchin, l’artista veneziano.maggiormente ha tradotto in Italia lo spirito klimtiano e, come Chini, ha filtrato il linguaggio decorativo della Secessione viennese. Ci sarà infine anche uno straordinario ritrovamento: il gesso di Auguste Rodin La Danaide, oggetto di scambio tra lo scultore e Galileo Chini in occasione di un loro incontro, avvenuto probabilmente a Venezia nel 1901.
PALP Palazzo Pretorio Pontedera
Piazza Curtatone e Montanara, Pontedera (PI)
Orario: da martedì a venerdì 10-19, sabato, domenica e festivi 10-20, lunedì chiuso
Ingresso: intero € 8, ridotto € 6
Tel. +39 0587 468487 – +39 331 1542017
e.mail info@pontederaperlacultura.it – www.palp-pontedera.it
Fiume Città di Passione
Autore Raoul Pupo
Editore Laterza
Anno 2018
Pagine 328
Prezzo € 24,00
Fiume, piccola città in cima all’Adriatico, sembra addensarsi tutta la storia del Novecento europeo.
«Città di passione»: con queste parole Gabriele D’Annunzio battezza Fiume nel primo dopoguerra, imponendola all’attenzione internazionale assieme al mito della ‘vittoria mutilata’. Altre e più tragiche passioni si scatenano nel secondo dopoguerra. Questa volta nel silenzio e nella distrazione della patria ferita, molti dei fiumani devono prendere la via dell’esilio. Il guscio della città però rimane in piedi e Fiume condivide il suo destino con le altre ‘città cambiate’, Salonicco, Smirne, Königsberg: le città poste lungo quei confini attorno ai quali si sono accesi i maggiori conflitti europei del XX secolo. Parlare di Fiume vuol dire tuffarsi nel vortice della ‘grande semplificazione’ che ha travolto l’Europa centro-orientale. Vuol dire anche parlare delle storie accadute tra le pieghe di quelle più appariscenti: accanto alla vicenda di un fiero municipalismo che cerca di resistere al trionfo degli stati-nazione, c’è la storia di una grande illusione. Quella di un piccolo nucleo di operai e intellettuali italiani che, in epoca di guerra fredda, lasciano la madrepatria per edificare il socialismo in una Fiume diventata jugoslava. Ma non vi è lieto fine. Raoul Pupo, raccontandoci la storia di una città-simbolo del ’900, ci accompagna attraverso le inquiete transizioni europee del secolo scorso.
Raoul Pupo insegna Storia contemporanea presso il Dipartimento di Scienze politiche e sociali dell’Università di Trieste. Si occupa di storia della politica estera italiana, della frontiera adriatica, delle occupazioni italiane nei Balcani e degli spostamenti forzati di popolazioni in Europa nel Novecento. Tra le sue più recenti pubblicazioni: Il lungo esodo (Milano 2005); Il confine scomparso (Trieste 2007); Naufraghi della pace (a cura di, con G. Crainz e S. Salvatici, Roma 2008); Due vie per riconciliare il passato delle nazioni? Dalle Commissioni storico culturali italo-slovena e italo-croata alle giornate memoriali (in “Italia contemporanea” N. 282, 2016); Logiche della violenza politica nei dopoguerra del Novecento nell’Adriatico orientale (in “Storia e problemi contemporanei” N. 74, 2017).
Red Land-Rosso d’Istria
Regia di Maximiliano Hernando Bruno, con Selene Grandi, Franco Nero, Geraldine Chaplin, Sandra Ceccarelli, Romeo Grebensek , Italia 2018
Un film storico dalla buona qualità spettacolare, che ricorda il passato per costruire un futuro diverso.
Giancarlo Zappoli MYMOVIES 13 novembre 2018
Estate del 1943. Il 25 luglio Mussolini viene arrestato e l’8 settembre l’Italia firma quell’armistizio separato con gli angloamericani che condurrà al caos. L’esercito non sa più chi è il nemico e chi l’alleato. Il dramma si trasforma in tragedia per i soldati abbandonati a se stessi nei teatri di guerra ma anche e soprattutto per le popolazioni civili Istriane, Fiumane, Giuliane e Dalmate, che si trovano ad affrontare un nuovo nemico: i partigiani di Tito che avanzano in quelle terre, spinti da una furia anti-italiana. In questo drammatico contesto storico, avrà risalto la figura di Norma Cossetto, giovane studentessa istriana, laureanda all’Università di Padova, barbaramente violentata e uccisa dai partigiani titini avndo la sola colpa di essere Italiana e figlia di un dirigente locale del partito fascista.
Ventun anni dopo il film Porzus di Renzo Martinelli, che narrava vicende accadute in Friuli nello stesso periodo storico sollevando il velo su una pagina oscura della Resistenza, non era facile affrontare un tema come quello di quanto accaduto tra il 1943 e il 1945 agli italiani che vivevano in Istria senza alimentare polemiche di parte.
Maximiliano Hernando Bruno è riuscito a trovare in buona misura la chiave giusta per raccontare quei giorni e quelle vicende, cioè per adempiere ad uno dei molteplici compiti del cinema: fare memoria. Diciamo in buona misura perché qualche accentuazione melodrammatica non manca (il capobanda titino è il Male assoluto così come al comunista italiano vengono offerti i tratti del traditore della propria gente, anche per risentimento amoroso, con possibilità di riscatto finale come nell’opera lirica).
Nel complesso però la sceneggiatura sa mostrare con equilibrio sia la sensazione di smarrimento conseguente all’8 settembre, sia ciò che anima nell’intimo le varie parti in causa. Il generale Esposito espone tutte le perplessità dell’Esercito dinanzi a una guerra sbagliata voluta dal fascismo così come non viene taciuta l’italianizzazione forzata dell’area condotta negli anni dal regime.
L’Italia esisteva già prima di diventare Stato
Lettere al Corriere della sera
30 novembre 2018
Caro Aldo, leggo sul Corriere che «gli austriaci avevano occupato l’Italia militarmente impiccando i patrioti». Lo Stato italiano esiste dal 21 marzo 1861 e non trovo traccia di occupazioni austriache del nostro territorio. Per completezza del suo ragguaglio, vorrei conoscere le date delle suddette incursioni. Nerio de Carlo
Caro Nerio, È vero che lo Stato unitario esiste solo dal 1861. Ma l’Italia esisteva già. Questo ha di straordinario la nostra patria. Non è nata da una guerra o da un matrimonio dinastico, non dagli intrighi della politica e della diplomazia. È nata dalla letteratura, dall’arte, dalla bellezza, dalla cultura. È nata dai versi di Dante – «ahi, serva Italia, di dolore ostello…» – e di Petrarca: «Italia mia, benché ‘l parlar sia indarno…». Alla vigilia della guerra di Chioggia, Petrarca scrisse una lettera ai dogi di Venezia e di Genova, per scongiurarli di non combattersi, con l’argomento che le due Repubbliche erano gli occhi d’Italia, e all’Italia servivano entrambi. La missiva non fu tenuta in nessun conto; eppure un seme era stato gettato. «Italia e libertà» era scritto sugli scudi dell’esercito della Serenissima, sconfitto nel 1509 ad Agnadello, alle porte di Milano. Ai tempi del Risorgimento, di cui forse dovremmo essere più orgogliosi, gli austriaci occupavano militarmente il Lombardo-Veneto, impiccando i patrioti (ricorda i martiri di Belfiore? E Amatore Sciesa, che si fa condurre alla forca rifiutando di fare i nomi dei compagni?), e controllavano più o meno direttamente il resto della penisola, tranne il Piemonte.
Non a caso, sconfitti gli austriaci a Solferino e San Martino, il loro dominio sull’Italia viene giù come un castello di carte. Continuarono anche dopo il 1861 a occupare il Veneto, e quando nel 1866 si ritirarono da Verona spararono sulla folla in festa, uccidendo una donna di 25 anni incinta, Carlotta Aschieri. Continuarono a occupare Trento e Trieste fino al 1918: l’immagine dei soldati che scherniscono Cesare Battisti sulla forca contribuì alla mobilitazione nazionale nella Grande Guerra. Invasero l’Italia fino al Piave, uccisero civili, violentarono migliaia di donne. E c’erano ovviamente soldati austriaci tra le truppe tedesche che occuparono il nostro Paese dopo l’8 settembre 1943. Ora siamo diventati amici. Ma non è una buona ragione per dimenticare gli italiani per cui l’Italia era una cosa seria, che valeva la vita. Aldo Cazzullo
Welcome to Florenceland
Nel maggio del 2017 fu approvato dal Comune di Firenze un NUOVO REGOLAMENTO di MISURE PER LA TUTELA DEL CENTRO STORICO, patrimonio mondiale UNESCO; un Regolamento, che aveva come finalità generali quella di… “perseguire la tutela del Centro Storico Patrimonio Mondiale UNESCO di Firenze, area di particolare pregio ed interesse storico, artistico, architettonico e ambientale della città, attraverso una generale lotta al degrado contro quegli elementi e quei comportamenti che portano alla lesione di interessi generali, quali la salute pubblica, la civile convivenza, il decoro urbano, il paesaggio urbano storico, l’identità culturale e storico-architettonica del centro della città, anche in coerenza con i programmi di viabilità urbana, con le limitazioni o interdizioni del traffico veicolare e la prevenzione dell’inquinamento sia atmosferico che acustico”.
Da allora per rispondere alle finalità di questo regolamento e alle esigenze dei fiorentini di risiedere in una città con meno degrado, più decoro e migliore qualità della vita, l’amministrazione di Firenze ha fatto delle delibere attuative, soprattutto per regolare e razionalizzare il turismo di massa che negli ultimi anni ha invaso il centro storico, occupato quotidianamente da torme di visitatori e gremito di servizi commerciali a fini turistici, con il conseguente deterioramento ambientale e la crescita dell’inquinamento acustico. Qualche numero di questa invasione: nel 2017 il territorio metropolitano è stato caratterizzato da una crescita sia degli arrivi (+ 295 mila unità, pari a + 5,9%) sia delle presenze (+ 804 mila pernottamenti pari a +5,7%, per un totale di 15 milioni!), grazie agli arrivi di tantissimi turisti stranieri, ma anche di molti italiani. (Dati delle rilevazioni ufficiali del Servizio Statistica dell’Ufficio Attività Produttive e Turismo della Città Metropolitana di Firenze ed elaborati dal Centro Studi Turistici di Firenze)
Per cercare di far fronte a questa situazione, un recente Consiglio comunale ha deliberato lo stop ai ‘bagarini’ davanti ai musei, la limitazione della circolazione dei risciò solo in alcune zone del centro e una nuova stretta contro i ‘furbetti’ del trasferimento e dell’ampliamento delle attività alimentari in area Unesco; infine limiti alla circolazione dei cosiddetti ‘bussoni’ turistici nelle aree di particolare sensibilità del centro storico.
Per alleggerire poi la pressione turistica, di concerto con i comuni della Città Metropolitana, con la Regione Toscana e coordinandosi anche con le città italiane ed europee a maggiore vocazione turistica, il Comune sta ipotizzando un intervento di governo e di orientamento dei flussi turistici, offrendo al visitatore che arriva a Firenze valide alternative alle “icone” di Botticelli e di Leonardo agli Uffizi e di Michelangelo alle Gallerie dell’Accademia. Anche le associazioni degli albergatori e le agenzie del marketing culturale chiedono alle istituzioni cittadine di governare il mercato del turismo di massa utilizzando maggiormente gli strumenti digitali per orientare i flussi dell’overtourism.
Pur apprezzando l’impegno del Comune nel cercare soluzioni possibili per un fenomeno, quello del turismo selvaggio, sempre più drammatico, negli amministratori fiorentini non sembra esserci la consapevolezza che, dati i numeri sempre crescenti, bisogna ormai decidersi a ridurre gli accessi turistici nel centro storico, pena il suo degrado irreversibile. Non si tratta certo di rialzare le mura medievali che l’architetto Poggi negli anni di Firenze Capitale buttò giù in nome del decoro urbano e di moderne infrastrutture, degne appunto di un città che doveva confrontarsi con le altre cosmopolitiche capitali europee; né tantomeno proporre balzelli onerosi a chi entra in città.
Si dovrebbe invece individuare una strategia per ridurre il numero di ingressi quotidiani agli Uffizi e all’Accademia, cioè i musei di maggior richiamo per i visitatori sia italiani che stranieri, per esempio (d’accordo col Ministero dei Beni culturali che li gestisce) tramite prenotazioni obbligatorie , con periodiche aperture riservate ai residenti della Città metropolitana e ai giovani italiani e stranieri, a prezzi ovviamente ridotti. Solo così avremmo un orientamento virtuoso dei flussi turistici e di fatto una minore pressione sul centro storico.
Ma allora il turismo come risorsa economica, come occasione di reddito e di occupazione? E l’immagine di Firenze con il suo valore umanistico di bellezza universale, di una città che non può anacronisticamente chiudersi in se stessa quando oggi ormai viviamo in una società aperta e globale? Queste e altre ancora sarebbero le obiezioni che sicuramente verrebbero fatte a chi propone una politica di contenimento del turismo di massa per la salvaguardia della identità urbana, della memoria storica di una città come Firenze. Non si tratta però di mettere in discussione il valore del turismo, ma solo di regolarlo in modo più razionale. Altrimenti l’unica seria alternativa a questa situazione di implosione del centro storico sarebbe quella di decidere che i fiorentini risiedono altrove, al di là delle mura e dei viali di circonvallazione, riservando ai soli turisti il Centro Storico Patrimonio Mondiale UNESCO, facendolo così diventare definitivamente un nonluogo, secondo la felice definizione del sociologo francese Marc Augé, come gli aeroporti e i grandi centri commerciali, dove la gente transita, consuma, ma non ci vive.
E nei fine settimana anche i fiorentini residenti in periferia potrebbero andare a visitare Florenceland e a fare shopping, come fanno le famiglie parigine che in mezz’ora vanno a Disneyland Paris.
Sergio Casprini