Alberto Abrami – Pensalibero.it del 9 Febbraio
Il 10 febbraio è il giorno del ricordo della tragedia dell’esodo degli esuli istriani e dalmati. Una data certamente scomoda sotto qualsiasi profilo la si voglia considerare, poiché coincide con la fine ufficiale di una guerra perduta e con il diktat del Trattato di Parigi che, per l’Italia, significò la forzata rinunzia ai territori italiani situati a ridosso del confine orientale. Per i giuliani e per i dalmati significò molto di più: lo strappo tremendo dal suolo natio ,l’abbandono delle case e degli averi per affrontare il destino del campo profughi nelle diverse regioni d’Italia, o l’emigrazione verso i paesi esteri in particolare nel Sud-America e in Australia. Rimanere nelle terre di appartenenza significava, infatti, allora, subire un regime totalitario e discriminatorio nei loro confronti oppure, se si intendeva opporsi, finire ammazzati nelle foibe carsiche. Pochissimi decisero di rimanere, gli altri, con la dignità e la fierezza che hanno sempre distinto quelle popolazioni generose, affrontarono un futuro tutto da costruire fra incognite, incertezze e difficoltà di ogni natura.
Che significato ha oggi la giornata del 10 febbraio ? Ne ha uno solo, ma importantissimo, far sentire agli esuli nel mondo, la solidarietà dell’Italia e degli italiani e dire loro che il Paese non è immemore della loro tragedia perché essa rimane una ferita per l’intera Nazione.
Occorre riandare, dunque, agli anni dell’immediato dopo- guerra, quando il Maresciallo Tito, mettendo in atto una sistematica strategia del terrore, costringe la popolazione italiana a fuggire dalla penisola istriana, antica propaggine della Repubblica di Venezia.
E’ questo Il fine dell’operazione: mettere gli italiani nella condizione di dovere abbandonare i territori dove vivevano da secoli e secoli, in particolare lungo la costa, tant’è il che il verso di Dante poteva esclamare: ”là dove è Pola presso del Quarnaro dove Italia chiude e i suoi termini bagna.” L’abbandono degli italiani avrebbe così giustificato le pretese iugoslave, come, di fatti, avverrà di lì a poco col Trattato di pace che legittimerà l’usurpazione titina. Eppure su questa tragedia, che vide gettati nelle foibe migliaia di cittadini italiani e terrorizzare i rimanenti, costretti a lasciare case, terreni ed ogni altro bene di fronte ad un ‘ Italia indifferente e a loro matrigna, la classe politica italiana ha taciuto per cinquanta anni per riguardo verso il dittatore iugoslavo, ignorando completamente le ferite e il dolore degli esuli.
Oggi la Iugoslavia d’allora non esiste più, la Croazia e la Slovenia sono nell’Unione Europea partecipi del medesimo destino dell’ Italia : costruire l’Europa. E di ciò tutti dobbiamo essere consapevoli. Ma non per questo non dobbiamo conservare la memoria del nostro passato, senza peraltro rimanerne prigionieri, perché un popolo è tale se si riconosce non solo nel presente, ma sente vivo il proprio passato e riesce a proiettarsi verso il futuro attraverso un legame che unisce le generazioni presenti con le passate e con quelle che verranno.
Proprio in nome dell’Europa le due giovani Repubbliche di Slovenia e, particolarmente, di Croazia che estende la propria sovranità sulla maggior parte del territorio istriano, non possono permanere in una situazione di illegalità internazionale mantenendo verso i beni abbandonati dagli esuli una condizione di confisca. Prima ancora di una situazione di antigiuridicità, si tratta di un principio etico sul quale riposa la convivenza dei popoli e la fiducia verso le comuni Istituzioni europee altrimenti minate nelle loro fondamenta. Certo la diplomazia e la politica italiana devono mostrare quella autorevolezza che fino ad oggi è apparsa, in ogni occasione decisamente modesta e debole a fronte della durezza altrui. Occorre, insomma, che il nostro Governo si impegni finalmente: oppure per risolvere questa “annosa quaestio” è necessario nuovamente ricorrere alla risorsa Renzi?