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Una donna chiamata Patria

14/05/2020

Le nazioni sono raffigurate da sempre con sembianze femminili

Giovanni Belardelli Corriere della Sera 14 Maggio 2020

Durante la Rivoluzione francese, ha osservato Silke Wenk, «le personificazioni femminili rimpiazzano l’immagine del corpo del re, assumendo i significati di “centro sacro” del potere, nel mentre li stanno modificando».

Ma la centralità simbolica della nazione-donna, che si contrappone al sovrano e lo sostituisce, se è evidentissima in Francia e in ogni repubblica, ha effetti importanti anche negli Stati che restano monarchici ma, per così dire, si nazionalizzano, assorbono i nuovi principi di legittimità legati all’idea di nazione. Naturalmente, nelle monarchie si viene a stabilire una sorta di diarchia iconografica, poiché l’allegoria femminile della nazione deve convivere con l’immagine del sovrano. In questo nuovo clima, che pone al centro la nazione come cardine della vita associata, l’immagine della nazione-donna diventa se possibile ancora più importante, ancora più centrale il riferimento alla sua funzione generatrice. È lei la «grande madre» che nutre i suoi figli instillando in loro l’amore per la patria. È la nazione-donna a incarnare la trasmissione dei valori e delle tradizioni da una generazione all’altra, la continuità della nazione al di là dei regimi politici e della forma monarchica o repubblicana dello Stato, simboleggiando anzi il carattere perpetuo della sua esistenza.

La madrepatria non può essere che donna, anche perché non può essere che donna l’oggetto di un sentimento (l’amor di patria) che riguarda tutta la popolazione, ma è richiesto soprattutto alla sua componente maschile, che deve essere pronta a combattere per difendere la nazione. Il fatto che si tratti pressoché sempre di una donna giovane conferma questo e nel contempo fa di essa il simbolo di una nazione dinamica e piena di vita. Inoltre, l’allegoria femminile ha il pregio di rappresentare la nazione in modo insieme astratto e concreto, serve a dare una forma appunto concreta, facilmente intellegibile anche da parte delle classi meno istruite, a un’entità inevitabilmente ideale e astratta. Si tratta di una concretezza che, se necessario, ricorre un po’ in tutti i Paesi anche a esplicite allusioni sessuali, come avviene di frequente nella stampa satirica oppure, durante la Prima guerra mondiale, nelle cartoline e pubblicazioni per i soldati al fronte. Queste cartoline «raffiguravano spesso donne seduttive, addirittura provocanti: l’Italia era una matrona accogliente, dalle forme generose».

Spesso l’allegoria femminile di una nazione riprende l’immagine antica e mai scomparsa del tutto di una donna con il capo cinto da una corona di mura e torri. Questo accade nel caso di molte città e Stati d’Europa: per limitarci ai secondi, abbiamo raffigurazioni del genere in riferimento alla Francia, al Belgio, alla Germania, alla Spagna. Ma solo nel caso dell’Italia l’iconografia della donna turrita è stata così pervasiva, fino ad affermarsi, come è ben noto, quale caratterizzazione peculiare del Paese (continuando peraltro a simboleggiare anche questa o quella città). La ragione è piuttosto evidente e ha a che fare con l’importanza che il proliferare dei centri urbani ebbe fin dall’epoca romana e poi con l’esperienza comunale, che caratterizzò con le sue città protette da mura e torri tutta l’area centro-settentrionale della Penisola. Per i modi in cui si costituì nel 1861 e per la scelta di un sistema amministrativo di tipo centralistico, il nuovo Stato non diede alcuno spazio all’Italia delle «cento città», secondo la celebre definizione di Carlo Cattaneo, cioè a quel policentrismo urbano (e urbano-regionale) che era stato nei secoli una delle peculiarità della Penisola. In qualche modo, il carattere policentrico della storia italiana e il localismo che a esso si accompagnava trovavano invece un riconoscimento sul piano simbolico, diventando l’attributo principale dell’allegoria della nazione.

Soprattutto in determinati periodi la raffigurazione dell’Italia segue pure un altro modello femminile, anch’esso diffusissimo nella tradizione della statuaria e dell’iconografia europea fin dalla Grecia classica: l’immagine di Atena/minerva, la vergine guerriera più volte utilizzata per sottolineare la potenza militare di una nazione. Questo modello, nel caso italiano, è generalmente riservato alla raffigurazione di Roma che concentra su di sé gli attributi guerrieri, diluendone per così dire la presenza nell’iconografia dell’Italia. Ma il richiamo a Roma è così forte già nella tradizione risorgimentale (si pensi all’Italia che indossa l’«elmo di Scipio» nell’inno di Mameli e alla «terza Roma» di Mazzini) da introdurre spesso un’incertezza o una duplicità nell’iconografia nazionale.

A volte infatti troviamo Roma accanto all’Italia, come nelle due statue in bronzo alla base del monumento romano a Cavour del 1895; ma altre volte — quando si vuole celebrare la guerra di Libia, l’impegno nel primo conflitto mondiale oppure la nuova nazione guerriera auspicata dal fascismo, o ancora quando si intende enfatizzare la dimensione dello Stato e della sua autorità — è l’Italia stessa che riassorbe in sé gli attributi della romanità. In questo secondo caso, quello di un’Italia che è insieme anche Roma, la nazione-donna ha il capo non più cinto da una corona di torri, ma coperto dall’elmo e porta altri inequivocabili attributi della sua vocazione guerriera: lo scudo, la spada (spesso il gladio romano), una corazza che le copre il busto. Questa evoluzione è evidente durante il fascismo, quando oltretutto assistiamo a un sotterraneo conflitto simbolico e visivo tra l’immagine della nazionedonna e quella della nazione impersonata dal Duce.

Giovanni Belardelli,  professore ordinario di Storia delle dottrine politiche all’Università degli Studi di Perugia. Scrive per il «Corriere della Sera». Ha pubblicato tra l’altro i volumi: Il Ventennio degli intellettuali. Cultura, politica, ideologia nell’Italia fascista (2005), Mazzini (2011) e La catastrofe della politica nell’Italia contemporanea. Per una storia della Seconda repubblica (2014).

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Parte dell’Introduzione di Giovanni Belardelli per il volume  da lui curato L’Italia immaginata. Iconografia di una nazione

L’Italia immaginata. Iconografia di una nazione (Marsilio, pagine 348, € 22,00)

La raccolta comprende contributi di diversi autori: Cristina Baldassini, Nicoletta Bazzano, Alessandro Campi, Eugenio Capozzi, Marco Damiani, Loreto Di Nucci, Cristina Galassi, Ermina Irace, Claudia Mantovani, Francesco Marcattili, Andrea Possieri, Fausto Proietti, Nicoletta Stradaioli

 

 

 

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