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Un buon cittadino deve saper leggere e scrivere  

01/12/2021 da Sergio Casprini

…Pinocchio, con il suo Abbecedario nuovo sotto il braccio prese la strada e strada facendo discorreva tra sé: “Oggi, alla scuola, voglio subito imparare a leggere; domani poi imparerò a scrivere e domani l’altro imparerò a fare di conto…” Collodi, Le Avventure di Pinocchio 

 

Carlo Lorenzini in una caricatura di Angiolo Tricca del 1875

 “A S.E. il Ministro Coppino… È appunto per questi e per molti altri motivi, che sarebbe bene gridare fin d’ora: rispettiamo gli analfabeti! L’analfabeta, con una splendida similitudine, venne paragonato a un candido foglio, vergine e puro da ogni macchia d’inchiostro e da ogni lettera dell’alfabeto: sicché dunque, a conti fatti, l’Italia può vantarsi presentemente di possedere diciassette milioni di fogli candidi come la neve. Signor Ministro! Un po’ di carità per tutte queste risme di carta bianca!” Così scriveva Carlo Lorenzini, detto Collodi, nell’ottobre1877 in una lettera di protesta al ministro della Pubblica Istruzione Michele Coppino, reo di aver promosso la legge, approvata dalla Camera il 15 luglio 1877, con cui l’istruzione elementare diventò obbligatoria e gratuita dai 6 ai 9 anni.

La lettera rivela lo spirito irriverente e goliardico di uno scrittore noto per i suoi trascorsi libertari e bohémien nella Firenze dei Lorena, pur avendo studiato nel prestigioso liceo religioso degli Scolopi insieme a Giosuè Carducci, Diego Martelli e Telemaco Signorini; e che da patriota aveva combattuto a Curtatone e Montanara nel 1848 e poi partecipato alla seconda guerra d’Indipendenza del 1859.

Michele Coppino

Per capire quel momento storico va però ricordata l’urgenza per il giovane stato italiano, formatosi nel 1861, di creare un’identità nazionale tramite una lingua, una cultura, un’educazione per un popolo di ben 17 milioni di analfabeti, come ricordava lo stesso Collodi. La legge Coppino rispondeva a questa esigenza. Si creò, conseguentemente una grande domanda di libri di testo, che gli editori italiani cominciarono a soddisfare. E proprio in quegli anni Collodi, contraddicendo le sue provocatorie affermazioni contro la scolarizzazione di massa, iniziò a dedicarsi alla letteratura per infanzia e in particolare scrisse dei racconti con finalità pedagogiche, creando la figura di Giannettino, che spiegava ai bambini l’Abbaco, la Geografia e nozioni di economia e scienza della nuova Italia. Se negli anni del Risorgimento il laico Lorenzini aveva fatto, sia pure in forma ironica da par suo, sorprendenti affermazioni elitarie sull’alfabetizzazione di massa, era scontato invece che la Chiesa cattolica, che fino ad allora aveva avuto il monopolio dell’istruzione per i più abbienti, facesse inizialmente resistenza alla nascita di una scuola elementare pubblica e gratuita per tutti, dove imparare a leggere, scrivere e far di conto.

Dalla legge Coppino in poi, durante la Monarchia e poi con la Repubblica, si è sviluppato invece un processo virtuoso di riforme scolastiche, che ha promosso l’alfabetizzazione del popolo italiano, portando l’obbligo scolastico progressivamente ai gradi superiori dell’istruzione, di modo che la scuola potesse così garantire la formazione di tutti e la selezione dei migliori nell’ambito di un sistema didattico in cui avessero pari valore le lezioni e le verifiche dell’apprendimento. Questo processo di riforme nel suo cammino ha incontrato resistenze e difficoltà nella sua attuazione, senza però che alcun politico o intellettuale, e tantomeno la Chiesa, ponessero in discussione il valore fondante dell’istruzione pubblica italiana, almeno fino alla riforma della media unica nel 1962.

Con il Sessantotto i giovani contestatori nell’università e nelle medie superiori videro nella scuola, in un’ottica radicale e ideologica, uno strumento di selezione di classe. Furono quindi criticati i canoni tradizionali della cultura e della pratica didattica, anche attraverso l’organizzazione di corsi alternativi e spesso con la promozione generalizzata attraverso i voti “politici”. Anche se poi il movimento di contestazione ebbe termine, nella sua parte più politicizzata rimasero vivi anche negli anni successivi alcuni principi e valori nel campo della didattica, rafforzati dall’arrivo di nuove concezioni pedagogiche nella scuola italiana. Le quali sostenevano (e sostengono) che il compito della scuola non è tanto quello di trasmettere conoscenze o mere nozioni, ma di far sì che gli studenti acquisiscano “competenze trasversali”, utili anche orientarsi nel mondo del lavoro, a scapito degli insegnamenti disciplinari, di cui si riducono ore e contenuti; e soprattutto non devono subire mortificazioni psicologiche con voti negativi e bocciature.

Questo ha comportato che gli studenti conoscano sempre meno la loro lingua madre, che cioè non sappiano più né leggere né scrivere correttamente, al punto che attualmente le università sono costrette a istituire corsi recupero di italiano. Paradossalmente lo conferma il testo zoppicante di una petizione che ha raggiunto le 40.000 firme, in cui “gli studenti maturandi chiedono l’eliminazione delle prove scritte agli esami di maturità del 2022, poiché trovano ingiusto e infruttuoso andare a sostenere degli esami scritti in quanto pleonastici, i professori curricolari nei cinque anni trascorsi, hanno avuto modo di toccare con mano e saggiare le loro capacità”. Se pure si possono capire, dato il clima buonista che vige nella scuola attualmente e la permanenza di residui sessantottini, la protesta e l’irresponsabilità dei giovani firmatari (che per inciso costituiscono una piccola minoranza), non è giustificabile l’indulgenza nei loro confronti da parte dei rappresentanti delle istituzioni scolastiche, in primis il ministro in carica Patrizio Bianchi, immemore dei comportamenti seri e responsabili dei suoi predecessori.

Nicola Coppino, Gaetano De Sanctis, Giovanni Gentile, Aldo Moro, citando alcuni ministri della Pubblica Istruzione in tempi diversi nella storia del Nostro Paese, avevano svolto con spirito di servizio il loro compito di rappresentanti dello Stato, in quanto erano consapevoli che la nazione affida alla scuola il mandato sociale di formare buoni cittadini, dotati di competenze culturali e professionali, che sappiano leggere e scrivere bene, siano rispettosi delle leggi dello Stato e abbiano un forte senso di appartenenza alla comunità nazionale.

 

 

 

 

 

 

 

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