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Troppe norme, spesso inutili: 200 mila leggi dal 1861 in poi

23/02/2018 da Comitato Fiorentino per il Risorgimento

Il Poligrafico dello Stato ha appena terminato la digitalizzazione di tutti gli atti normativi e questo ha consentito di calcolare il numero di norme adottate in Italia

Sabino Cassese    Corriere della Sera 11 febbraio

La legge di Bilancio per il 2018 contiene più di 150 mila parole, equivalenti a due terzi dei vocaboli usati da Alessandro Manzoni per scrivere «I promessi sposi». Il Poligrafico dello Stato ha terminato nei giorni scorsi la digitalizzazione di tutti gli atti normativi, dal 1861 in poi. Questo ha consentito finalmente di calcolare con sufficiente precisione il numero di norme adottate (sono poco più di 200 mila, il maggior numero risalenti ai due lunghi dopoguerra) e di quelle in vigore (sono poco più di 110 mila). I programmi dei partiti promettono nuove leggi.

Nonostante tanta abbondanza di norme (alle quali bisogna aggiungere dal 1970 leggi e regolamenti delle venti Regioni), la loro efficacia è ridotta. Una volta pubblicata la legge, bisogna attendere le circolari; emanate le circolari, aspettare i giornali e le riviste specializzate, per chiarire arcani e contraddizioni. Il presidente del Consiglio di Stato, nei giorni scorsi, ha segnalato che più leggi regolano spesso la stessa materia; vi sono deroghe che rendono incerta l’applicazione di disposizioni generali; norme successive si sovrappongono a quelle precedenti senza abrogarle espressamente. Tutto questo produce incertezza del diritto.

Perché tante norme, e tanto poco chiare e rispettate? Quali gli effetti di questa situazione di confusione normativa? La prima causa sta nel Parlamento, che, per diffidenza nei confronti dell’esecutivo, ha la pretesa di approvare leggi autoapplicative, rubando così il mestiere a governo e amministrazione pubblica, e trasformandosi esso stesso in amministratore, oppure riducendo ai minimi termini lo spazio del potere esecutivo, che viene vincolato da automatismi. Così, gli organi legislativi divengono anche negoziatori delle norme, médiano interessi, entrando nei più minuti dettagli, colloquiano con le «lobbies», guadagnando potere, ma spesso rimanendone succubi o venendo catturati da gruppi di interesse, che conoscono situazioni e fatti sempre meglio dei parlamentari.

Una terza causa dell’inflazione legislativa è la legislazione stessa: più si legifera, più si è costretti a legiferare, in un circolo vizioso che potrebbe non avere mai fine. Lo spostamento sul Parlamento di tante decisioni produce effetti negativi. Fa diventare politiche anche questioni puramente tecniche, e che potrebbero essere meglio risolte a livello amministrativo o governativo. È lì che ci sono gli esperti, mentre i legislatori sono «amateurs», non hanno a loro disposizione strutture di ausilio, possono al massimo svolgere audizioni di competenti o convocarli dinanzi a commissioni di inchiesta conoscitiva. Portare a livello legislativo tante decisioni produce un secondo effetto negativo, quello di irrigidire i processi di decisione, perché ogni modifica richiede un altro intervento del Parlamento, che — specialmente in un sistema bicamerale — esige tempo. Contemporaneamente, un Parlamento così impegnato non riesce ad affrontare i grandi problemi sociali che richiedono l’intervento dei rappresentati della nazione, problemi che finiscono per approdare nelle aule dei tribunali. Questi ultimi svolgono così una supplenza per la quale si attirano molte critiche.

L’ultima conseguenza paradossale della situazione è che tale groviglio di cause ed effetti viene imputato alla burocrazia, considerata un Moloch immobile. L’accusa alla burocrazia ha una spiegazione perché è essa che deve alla fine erogare i servizi ai cittadini, anche quando non è la principale responsabile dei ritardi o dei blocchi. Questo però non assolve completamente un personale amministrativo spesso scelto male o non selezionato, poco motivato, impaurito dalle troppe responsabilità, per lo più capace di fronteggiare le emergenze ma non di reggere la gestione ordinaria, né di riuscire a progettare un migliore funzionamento della macchina burocratica.

Per uscire da questo circuito infernale, bisognerebbe almeno cominciare con un tentativo di razionalizzazione. I francesi ci sono riusciti: una buona parte della loro normazione è ora raccolta in 75 codici (codificazione a diritto costante). Per prepararli hanno impiegato poco più di un quarto di secolo. Poi, come per il debito, bisogna che aumenti l’avanzo primario: in 157 anni dall’unificazione, le norme prodotte superano quelle abrogate; bisognerebbe ora invertire il rapporto.

Il Parlamento che ci accingiamo a eleggere assumerà questo compito?

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